Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16921 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 16921 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 32656-2018 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE;
-intimato –
avverso la sentenza n. 199/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 30/05/2018 R.G.N. 87/2017;
R.G.N. 32656/2018
COGNOME.
Rep.
Ud. 23/04/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/04/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
la Corte d’appello di Ancona ha confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda dell’odierno ricorrente volta ad ottenere il diritto alla pensione consortile, ai sensi dell’art. 156 C.C. N.L. per i dipendenti dei RAGIONE_SOCIALE, in caso di soppressione del posto di lavoro;
per la Corte di appello era decisiva l ‘assenza del requisito costitutivo del diritto, integrato dall’assunzione in ruolo alla data del 31 luglio del 1994 o dalla sussistenza, alla medesima data, di un rapporto a tempo indeterminato pari o superiori a vent’anni. I documenti prodotti in giudizio non comprovavano il dato in esame;
in particolare, non avevano rilievo le delibere consortili del 2014 relative alla risoluzione del rapporto in cui si riconosceva che il ricorrente -come pure gli altri soggetti interessati- aveva i requisiti di qualifica e di anzianità richiesti dalla norma contrattuale. Per la Corte, il documento esprimeva una valutazione e non dati di fatto, tanto più necessari in presenza di un rapporto di lavoro che, ai fini della sua costituzione, richiedeva modalità particolari;
i giudici territoriali osservavano inoltre come non fosse possibile provare, a mezzo prova testimoniale, fatti contrari a quelli emergenti dalle prove documentali che «peraltro nel caso di specie (era) del tutto inammissibile, in quanto, per la parte riguardante (i) fatti rilevanti demanda (va) al teste delle valutazioni circa l’assunzione in ruolo o m eno » . Per le stesse ragioni era priva di rilievo la dichiarazione sottoscritta dal Presidente dell’ente, trattandosi anche in questo caso di una dichiarazione rilasciata per
iscritto al di fuori dal processo e senza contraddittorio e avente comunque ad oggetto valutazioni non vincolanti per i terzi e per il giudice;
avverso tale sentenza, ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, con due motivi, illustrati con memoria, cui ha resistito, con controricorso, l’Ente in epigrafe che ha poi depositato anche memoria;
il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni dall’adozione della decisione in Camera di consiglio.
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della Cost. ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;
deduce il ricorrente che, ai sensi dell’art. 2 del CCNL 3 agosto 1990, vigente al mom ento dell’assunzione del COGNOME, il personale era distinto in tre categorie -di ruolo, con rapporto a tempo indeterminato e con rapporto a tempo determinato- e che, ai sensi dell’art. 38 del medesimo CCNL, il contratto di lavoro avrebbe dovuto indicare la natura del rapporto instaurato. Assume che, nei fatti, il RAGIONE_SOCIALEo non aveva osservato le indicazioni contrattuali. Censura, però, la decisione della Corte di Appello che non ha attribuito rilevanza ai documenti consorziali favorevoli alla concessione del trattamento pensionistico, in quanto successivi all’anno 1994, nonostante documenti analoghi, in altri giudizi, erano valsi a dimostrare il presupposto costitutivo del diritto ai lavoratori in esubero;
in particolare, è criticata l’affermazione dei giudici di appello secondo cui dalle delibere prodotte poteva «al limite
desumersi che il COGNOME era di ruolo alla data di soppressione del posto, ossia nel 2014». Tale conclusione non considerava, infatti, che l’istituto del «ruolo» era stato soppresso con le modifiche contrattuali del 31 luglio 1994 e che, pertanto, il riconoscimento di un rapporto di lavoro di ruolo non poteva che essere riferito al periodo antecedente al 31.7.1994, sicché doveva ritenersi integrato il requisito normativo ;
il motivo, come prospettato, si arresta ad un rilievo di inammissibilità;
a tacer del fatto che si è in presenza di una pronuncia cd. doppia conforme, i rilievi esulano del tutto dall’errore riconducibile al paradigma normativo dell’art. 360, comma 1, nr. 5 cod.proc.civ. ( come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012), secondo l’interpretazione costantemente resa da questa Corte (tra le tantissime v. Cass. nr. 2268 del 2022 sulla scia di Cass. sez.un. nn. 8053 e 8054 del 2014);
in ogni caso, anche a voler «riqualificare» le censure in termini di errore di diritto, le stesse sono genericamente argomentate. Il motivo non riproduce in modo adeguato le delibere valutate dai Giudici e neppure illustra, con la dovuta precisione, tutte le disposizioni (legali e/o contrattuali), in ipotesi, rilevanti ai fini della verifica di correttezza della decisione sul piano della sua «coerenza logica»;
con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2724 cod.civ. in tema di eccezioni al divieto di prova testimoniale;
è censurata la statuizione secondo cui non sarebbe possibile provare mediante prova testimoniali fatti contrari a quelli risultanti dai documenti;
anche il secondo motivo è inammissibile;
la Corte territoriale ha giudicato comunque («peraltro») inammissibile la prova testimoniale richiesta perché avente ad oggetto valutazioni e non fatti;
si tratta di un’autonoma ratio decidendi , non efficacemente censurata. Il motivo di ricorso non chiarisce, infatti, le ragioni per le quali la Corte distrettuale avrebbe dovuto ammettere la prova. E’ sufficiente osservare che le censure non riproducono i capitolati di prova (vedi Cass. nr. 15409 del 2020; Cass. nr. n. 8204 del 2018) indispensabili per verificare gli eventuali errori commessi;
18. in definitiva, la Corte di appello ha deciso la causa sulla base degli offerti elementi di prova che ha valutato in base al suo libero convincimento (in argomento, ex plurimis, Cass nr.12395 del 2023). Il controllo del giudice di legittimità è, in questi casi, confinato in ristretti limiti; le censure, come sviluppate, sottraggono il decisum ad ogni rilievo;
in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile; 20. le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza nei rapporti con la parte controricorrente. Nulla deve provvedersi in relazione alla parte rimasta intimata che non ha svolto difese.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, in Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla legge nr. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il dello stesso art. 13, se dovuto.
ricorso a norma dell’art. 1bis, Così deciso, nell’adunanza camerale del 23 aprile 2024.