Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7384 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7384 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 837/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOMECOGNOME NOME
-controricorrente-
avverso RAGIONE_SOCIALE di CORTE D’APPELLO MILANO n. 4053/2019 depositata il 28/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. – Il ricorso riguarda tanto l’ordinanza con cui la Corte d’appello di Milano ha dichiarato l’inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c. del gravame proposto quanto – ex art. 348 ter comma 3 c.p.c.- la sentenza gravata, con cui il locale Tribunale ha respinto le domande proposte dalla RAGIONE_SOCIALE Bagnocavallo e RAGIONE_SOCIALE nei confronti di Intesa Sanpaolo s.p.a. volte, in via principale, alla dichiarazione di nullità del contratto di mutuo fondiario avente ad oggetto l’erogazione di una somma di euro 3.936.000,00 (da rimborsarsi in 36 rate trimestrali) per usurarietà del tasso convenuto, e, in subordine, alla declaratoria di nullità della clausola del contratto recante la disciplina della penale di estinzione anticipata, con conseguente domanda restitutoria.
2. – Il Tribunale di Milano ha motivato il rigetto escludendo che il contratto di mutuo potesse considerarsi usurario in forza della sommatoria tra penale di estinzione anticipata e tasso di interesse corrispettivo o, in alternativa, tra penale di estinzione anticipata e TAEG, e ciò in ragione della natura meramente eventuale di tale onere, dipendente esclusivamente dalla volontà del mutuatario; quanto alla dedotta nullità della clausola contenente la disciplina della penale di estinzione anticipata – e all’annessa domanda subordinata di riduzione ex articolo 1384 c.c. – ha osservato che detta previsione « non contrasta con alcuna norma imperativa e non si palesa contraria a norme di ordine pubblico di buoncostume rispondendo a un interesse meritevole di tutela volto a far sì che alla banca venga corrisposta la restituzione di capitale di interessi nei termini divisato in contratto ».
– La Corte d’appello ha dichiarato inammissibile il gravame in quanto non presentava alcuna ragionevole probabilità di accoglimento.
Premesso che l’appallante non aveva preso in esame la ratio decidendi né contrapposto argomentazioni giuridiche nuove a quanto affermato dal primo giudice ma solo riproposto quelle già avanzate e respinte, ha osservato che:
la penale di estinzione anticipata non è rilevante ai fini della verifica di usurarietà del contratto in ragione della sua natura di costo meramente eventuale che non può qualificarsi come onere connesso all’erogazione del credito, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1 della l. n. 108/96;
la penale di estinzione svolge una funzione meritevole di tutela in quanto incentiva il rispetto delle modalità di rimborso pattuite;
correttamente il giudice di prime cure aveva respinto l’istanza di CTU contabile essendo la stessa superflua in ragione dell’estraneità della penale di estinzione anticipata rispetto alla verifica di usurarietà del contratto
– Contro la sentenza ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE Bagnocavallo e RAGIONE_SOCIALE affidandolo a cinque motivi di cassazione. Intesa Sanpaolo s.p.a. ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Va preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per avere la ricorrente impugnato, oltre che la sentenza di prime cure anche l’ordinanza resa ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c. poiché con riguardo a quest’ultima il ricorrente muove la specifica censura che la decisione avrebbe dovuto essere assunta con sentenza, sottendendo una valutazione di merito della fondatezza del gravame, ed in tale prospettiva la ricorrente ne propone autonoma impugnazione, in conformità a quanto affermato dalla
giurisprudenza di legittimità di questa Corte (v. Sez. Un. n. 7273/2014: « l’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348 ter cod. proc. civ., se emanata nell’ambito suo proprio, cioè per manifesta infondatezza nel merito del gravame, non è ricorribile per cassazione, non avendo carattere definitivo, giacché il terzo comma del medesimo art. 348 ter consente di impugnare per cassazione il provvedimento di primo grado. Viceversa, tale ordinanza è ricorribile per cassazione ove dichiari l’inammissibilità dell’appello per ragioni processuali (nella specie, per genericità dei motivi), essa avendo, in tal caso, carattere definitivo e valore di sentenza, in quanto la declaratoria di inammissibilità dell’appello per questioni di rito non può essere impugnata col provvedimento di primo grado e, ai sensi dell’art. 348 bis cod. proc. civ., deve essere pronunciata con sentenza »; conforme Cass. n. 16396/2015); ferma l’astratta ammissibilità, la diversa questione della fondatezza del ricorso va vagliata alla luce dei motivi dedotti.
Parimenti va respinta l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso per violazione delle norme di cui all’articolo 360 bis c.p.c. e 366 c.p.c., trattandosi di censure che vanno esaminate con riguardo ai singoli motivi di gravame.
2. – Il primo motivo di ricorso riguarda l’ordinanza della Corte d’appello e denuncia violazione falsa applicazione ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. degli artt. 101, 348 bis , 342, 350 e 352 c.p.c. in relazione all’art. 132 n. 4 c.p.c. per avere la Corte predetta dichiarato (anche) l’omessa proposizione da parte dell’appellante di argomentazioni idonee a contestare la ratio decidendi e la genericità dei motivi d’appello, così assumendo una decisione di merito di inammissibilità in ordine alla carenza dei requisiti di cui all’art. 342 c.p.c. che doveva essere resa con sentenza motivata previa trattazione della causa e, quindi, nel rispetto del contraddittorio.
2.1. – Il motivo è manifestamente infondato in quanto la Corte territoriale – dopo aver ripercorso e condiviso le ragioni della decisione di prime cure – espressamente afferma che « l’appello proposto non presenta alcuna ragionevole probabilità di accoglimento, e va pertanto dichiarata inammissibile ai sensi dell’art. 348 bis e ter c.p.c. », né il generico inciso d’esordio della motivazione dell’ordinanza cui fa riferimento la ricorrente vale a interferire con tale chiara ratio decidendi .
– Il secondo motivo – rivolto contro la sentenza di primo grado – denuncia violazione o falsa applicazione in relazione all’art. 360 comma 1 n.3 c.p.c. degli artt. 1421 e 1815 c.c., e 644 c.p.c., 1 comma V e 2 della l. n. 108/96, per avere la sentenza impugnata escluso dal TEG l’onere della commissione di estinzione anticipata del mutuo e ritenuto non superato il tasso soglia dell’usura.
La ricorrente deduce che l’onere della anticipata estinzione del mutuo doveva essere computato trattandosi di un costo che non è limitato a compensare o indennizzare il mutuante, bensì a remunerare l’attività dello stesso con un nuovo bilanciamento degli interessi quale succedaneo delle remunerazioni contrattuali perdute dalla banca; osserva anche che l’introduzione di questa clausola introdurrebbe nel contratto due alternative: la prima « di andare a scadenza » corrispondendo il tasso convenzionale, la seconda « di estinguere anticipatamente il contratto » corrispondendo al tasso convenzionale fino al momento dell’estinzione anticipata, e che quindi il controllo del superamento di del TSU deve essere fatto su entrambi gli scenari alternativi, essendo anche il secondo dei due programmi in astratto di usura originaria e non sopravvenuta.
Deduce poi che la sentenza sarebbe errata nella parte in cui ha ritenuto non provato il superamento del tasso soglia usura alla luce delle perizie dimesse agli atti, che contemplavano la commissione
di estinzione anticipata unitamente agli interessi di mora previsti per il caso di mancato pagamento delle rate
3.1. – Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis numero 1 c.p.c.
La sentenza ha, infatti, correttamente deciso la questione di diritto oggetto della controversia in conformità con la giurisprudenza consolidata di questa Corte per cui « In tema di usura bancaria, ai fini del superamento del “tasso soglia” previsto dalla disciplina antiusura, non è possibile procedere alla sommatoria degli interessi moratori con la commissione di estinzione anticipata del finanziamento, non costituendo quest’ultima una remunerazione, a favore della banca, dipendente dalla durata dell’effettiva utilizzazione del denaro da parte del cliente, bensì un corrispettivo previsto per lo scioglimento anticipato degli impegni a quella connessi » (Cass. n. 7352/2022; confermata anche con riguardo alla sommatoria degli interessi corrispettivi da Cass. n. 23866/2022; Cass. n. 18497/2024; Cass. n. 27139/2024;)
Come rilevato nella motivazione della sentenza, con argomenti che il Collegio condivide, assume rilevanza la differenziazione delle componenti del costo del credito, « sicché ai fini della determinazione del tasso soglia, non è ad esempio possibile procedere al cumulo materiale delle somme dovute alla banca a titolo di interessi corrispettivi e di interessi moratori, stante la diversa funzione che gli stessi perseguono in relazione alla natura appunto corrispettiva dei primi e di penale per l’inadempimento dei secondi (che peraltro ai primi succedono per il debito scaduto (…), essendo necessario procedere al calcolo separato della loro relativa incidenza (…) (Cass., 04/11/2021, n. 31615); questo impianto ricostruttivo delle complessive scelte legislative, riafferma il principio di simmetria, secondo cui non sono accomunabili, nella comparazione necessaria alla verifica delle soglie usuraie, voci del
costo del credito corrispondenti a distinte funzioni (cfr., in tema di commissione di massimo scoperto, Cass., Sez. U., 20/06/2018, n. 16303, cui adde Cass., 18/01/2019, n. 1464) »; perciò, dall’applicazione di questi principi deriva l’impossibilità di cumulare la commissione di estinzione anticipata con gli interessi corrispettivi e/o moratori, poiché « la prima costituisce una clausola penale di recesso, che viene richiesta dal creditore e pattuita in contratto per consentire al mutuatario di liberarsi anticipatamente dagli impegni di durata, per i liberi motivi di ritenuta convenienza più diversi, e per compensare, viceversa, il venir meno dei vantaggi finanziari che il mutuante aveva previsto, accordando il prestito, di avere dal negozio »; mentre i secondi, come noto, costituiscono – quelli corrispettivi – la remunerazione fisiologica della prestazione della somma accordata – quelli moratori – una clausola penale risarcitoria volta a compensare il ritardo nella restituzione del denaro ricevuto, atti a sostituire, incrementati, gli interessi corrispettivi. Perciò proprio la natura della commissione convenuta per l’estinzione anticipata, comporta che si tratta di voce non computabile ai fini della verifica di non usurarietà, « non essendo collegata se non indirettamente all’erogazione del credito, e non rientrando tra i flussi di rimborso, maggiorato del correlativo corrispettivo o del costo di mora per il ritardo nella corresponsione di quello ; non si è di fronte, cioè, a ‘una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente’ (arg. ex art. 2bis , d.l. n. 185 del 2008, quale convertito), posto che, al contrario, si tratta del corrispettivo previsto per sciogliere gli impegni connessi a quella; di qui l’infondatezza della censura ».
3.2. – Quanto agli ulteriori argomenti con cui la ricorrente censura la sentenza (per non aver ritenuto provato il superamento del tasso soglia nonostante le perizie dimesse agli atti con l’atto introduttivo) si tratta di censure del tutto inammissibili in quanto
versate in fatto non riconducibili al vizio di legittimità di violazione o falsa applicazione di legge dedotto, mancanti oltretutto dei requisiti di specificità e autosufficienza di cui all’art. 366 n. 4 e 6 c.p.c. non essendo neppure richiamata la parte della decisione che si intende gravata.
4. – Il terzo motivo denuncia violazione o falsa applicazione in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. degli artt. 2697 c.c. 112, 115, e 191 c.p.c. in relazione alle norme di cui agli articoli 1421 c.c., 1815 c.c., 644 c.p., 2 l. n.108/96 per non aver ammesso il giudice di prime cure la CTU richiesta; secondo il ricorrente nonostante la prova precostituita che la società avrebbe fornito il giudice avrebbe disatteso erroneamente la richiesta di consulenza tecnica a riprova della correttezza dei conteggi posti a base della domanda giudiziale, trattandosi un accertamento di fatto – la ricostruzione di un rapporto bancario – che può effettuarsi soltanto con l’ausilio di speciali cognizioni di natura tecnico contabile.
4.1. – Il motivo è inammissibile.
Con riguardo all’uso della CTU, questa Corte ha ribadito in diverse pronunce che la consulenza tecnica d’ufficio è atto processuale istruttorio che svolge funzione di ausilio del giudice nella valutazione dei fatti e degli elementi acquisiti (consulenza c .d. deducente) ovvero, in determinati casi (come in ambito di responsabilità sanitaria), fonte di prova per l’accertamento dei fatti (consulenza c.d. percipiente), elemento istruttorio da cui è possibile, cioè, trarre il «fatto storico», rilevato e/o accertato dal consulente (v. ex multis Cass. n. 12387/2020).
Tanto premesso, va ricordato che il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, cui spetta alla luce di un ragionamento decisorio che attiene alla valutazione delle specifiche emergenze probatorie del caso – l’apprezzamento delle circostanze che consentano nel caso specifico di ammettere o
escludere che il relativo espletamento possa condurre ai risultati perseguiti dalla parte istante (v. Cass. n. 20820/2006; Cass. n. 72/2011; Cass. n. 17399/2015; Cass. n. 7472/2017).
Inoltre va ricordato che detta decisione è, di regola, incensurabile in Cassazione (Cass. n. 4853/2007; Cass. n. 7472/2017): se è vero, infatti, che, come detto, il giudice di merito è tenuto a motivare adeguatamente, caso per caso, il rigetto dell’istanza di ammissione della consulenza proveniente da una delle parti, nel vigore nella nuova formulazione dell’art. 360, n. 5 c.p.c. (risultante dall’art. 54 d.l. n. 83/2012, convertito in I. n. 134/2012) è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella « mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico », nella « motivazione apparente », nel « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili » e nella « motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile », esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053). E che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, 1° co., n. 6, e 369, 2° co., n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il « fatto storico », il cui esame sia stato omesso, il « dato », testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il « come » e il « quando » tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua « decisività », fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053 cit.).
Fermi i principi predetti nel caso di specie è sufficiente osservare che il rigetto dell’istanza è stato oggetto di motivazione, e che questa è fondata sul fatto che la CTU era approfondimento istruttorio superfluo in ragione dell’infondatezza della pretesa di computare nel calcolo del TSU la commissione convenuta per il caso di estinzione anticipata. Sicché la ricorrente si dilunga inutilmente sui risultati della perizia di parte prodotta in giudizio, senza confrontarsi con la questione dirimente rappresentata dalla ratio decidendi che sorregge il rigetto della richiesta istruttoria.
– Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. degli artt. 112 c.p.c., 1322, 1384, 1421 c.c., in quanto erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto meritevole di tutela la clausola contenente la commissione di estinzione anticipata ex art. 1322 c.c. in quanto diretta a garantire alla banca il capitale e gli interessi pattuiti e gli altri vantaggi contrattuali, dimenticando che gli importi previsti erano eccessivi anche in considerazione del fatto che il capitale erogato era garantito da ipoteca volontaria e quindi non era conforme ai principi di equità sostanziale e di ordine pubblico; il giudizio di meritevolezza, infatti non potrebbe esaurirsi nella liceità del contratto, del suo oggetto e della sua causa investire il risultato perseguito dal contratto, in tal caso non meritevole in quanto di entità del tutto sproporzionata rispetto al rischio di insolvenza per l’intermediario finanziario, del tutto assente nella specie stante la presenza di specifiche garanzia ipotecaria, e quindi; in subordine il giudice avrebbe dovuto applicare in via analogica all’art. 1384 c.c. statuendo quantomeno una riduzione equitativa dell’importo pattuito per l’estinzione anticipata.
– Anche detto motivo è inammissibile per diverse e concorrenti ragioni.
Premesso che la parte ricorrente con le argomentazioni illustrate sollecita, in effetti, in questa sede di legittimità del tutto
impropriamente una valutazione di merito da parte della Corte di cassazione diversa da quella operata dal Tribunale, il mezzo non ha nulla a che vedere neppure con la ratio decidendi, poiché il Tribunale non ha compiuto un giudizio di meritevolezza sul contenuto specifico della clausola, bensì sulla clausola in sé, in ciò conformandosi alla giurisprudenza di legittimità poco sopra richiamata, che la considera funzionale a disciplinare – nell’ambito dell’autonomia negoziale delle parti -la possibilità che il mutuatario receda anticipatamente dall’impegno assunto con il contratto, corrispondendo una somma che valga a compensare il mutuante dalla perdita del corrispettivo atteso per l’impegno assunto di mettere a disposizione immediatamente del mutuante la somma convenuta che verrà restituita in un tempo determinato.
Quanto alla doglianza che si riferisce al rigetto della domanda subordinata di riduzione ad equità della penale ex art. 1384 c.c., anche a prescindere dalla questione della fondatezza nella specie di siffatta pretesa – dal momento che la clausola in questione regola l’estinzione anticipata del mutuo ovvero un ipotesi di recesso dal contratto espressamente negoziato, non le conseguenze dell’inadempimento al contratto quale forma anticipata di liquidazione del danno – giova osservare che, anche ammettendo che la parte possa ricorrere a detto rimedio, la censura è comunque infondata, poiché la ricorrente pretende una riduzione della clausola invocandone la sua eccessività e l’incidenza sul proprio patrimonio senza considerare in alcun modo l’interesse di controparte, laddove è consolidato da tempo il principio per cui « il criterio cui il giudice deve fare riferimento per esercitare il potere di riduzione della penale non è la valutazione della prestazione in sé astrattamente considerata, ma l’interesse che la parte ha, secondo le circostanze, all’adempimento della prestazione cui ha diritto, tenendosi conto delle ripercussioni dell’inadempimento sull’equilibrio delle prestazioni e della sua effettiva incidenza sulla
situazione contrattuale concreta » (Cass. 7835/2006; Cass. 10626/2007; Cass. 7180/2012); il giudice di merito deve, cioè, tener conto « non tanto, degli effetti che il pagamento della penale può avere sul patrimonio del debitore, bensì del fatto che essa sia giustificata alla luce dell’interesse del creditore all’adempimento alla data di stipulazione del contratto » (Cass. n. 17731/2015; principi ribaditi da Cass. n.19492/2023; Cass. n. 26901/2023; Cass. n. 14706/2024).
6. – Il quinto motivo denuncia violazione falsa applicazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. dell’art. 92 comma 2 c.p.c. in quanto, tanto l’ordinanza quanto la sentenza impugnate, sarebbero errate nella parte in cui, nonostante la novità della materia trattata e gli orientamenti giurisprudenziali mutevoli, non hanno disposto la compensazione delle spese di lite del giudizio.
6.1. – Il motivo è inammissibile quanto alla sentenza di primo grado poiché si tratta di una questione nuova, non dedotta con i motivi d’appello, presupponendo l’impugnazione rivolta contro la sentenza di primo grado, ai sensi del previgente art. 348ter , terzo comma, c.p.c., l’insussistenza di un giudicato interno sulle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimità e già prospettate al giudice del gravame (Cass. 23 dicembre 2016, n. 26936; e già Cass. 15 maggio 2014, n. 10722; Cass. 9 giugno 2014, n. 12936; Cass. 18 marzo 2015, n. 5341; Cass. 7 maggio 2015, n. 9241; Cass., Sez. Un., 27 maggio 2015, n. 10876; Cass. 10 luglio 2015, n. 14496; Cass. 21 luglio 2015, nn. 15240 e 15241; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21322; Cass. 10 dicembre 2015, n. 24926; Cass. 23 febbraio 2016, n. 3532; Cass. 24 febbraio 2016, nn. 3560 e 3678; Cass. 18 marzo 2016, n. 5365; Cass. 10 maggio 2016, nn. 9441 e 9443; Cass. 12 maggio 2016, nn. 9799 e 9800).
È inammissibile anche con riguardo all’ordinanza, per il noto e consolidato principio per cui, mentre il provvedimento di
compensazione delle spese di lite è entro certi limiti, che non interessa rammentare, sindacabile in sede di legittimità, non lo è quello di diniego della compensazione, non essendo il giudice di merito tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà (Sez. U, n. 14989/2005; n. 28492/2005; n. 7607/2006; n. 11329/2019).
– Il ricorso in conclusione va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di parte controricorrente, liquidate nell’importo di euro 7.200,00 cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1° Sezione