Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7219 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7219 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6101/2023 R.G. proposto da
COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO DELL’EDIFICIO IN MILANO, INDIRIZZO
50, in persona dell’amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 311/2023 della CORTE DI APPELLO DI MILANO, depositata il 31 gennaio 2023;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza n. 11784/2018, il Tribunale di Milano accertò l’illegittimità dell’attività di bed and breakfast esercitata da NOME
OPPOSIZIONE A LL’ESECUZIONE
COGNOME in un’unità immobiliare sita nel Condominio dell’edificio in Milano, INDIRIZZO condannando la COGNOME al pagamento in favore del Condominio di una penale in misura di euro 100 per ogni giorno di prosecuzione dell’attività a decorrere dal 31 g ennaio 2019.
Interposto appello dalla soccombente, la Corte d’appello di Milano, con ordinanza pronunciata il 19/25 febbraio 2019, sospese, ai sensi degli artt. 283 e 351 cod. proc. civ., l’efficacia esecutiva della sentenza di prime cure.
L’impugnazione venne poi rigettata dal medesimo Ufficio con la sentenza n. 1049/2020, pubblicata il 30 aprile 2020.
In forza di quest’ultima pronuncia ed a seguito del suo passaggio in giudicato per mancata impugnazione, il Condominio intimò alla De Pra precetto per il pagamento dell’importo, in sorte capitale, di euro 40.200, causalmente ascritto a titolo di penale dovuta per il periodo dal 1° febbraio 2019 sino al giorno 8 marzo 2020.
Avverso il precetto, NOME COGNOME dispiegò opposizione alla esecuzione ex art. 615, primo comma, cod. proc. civ., adducendo, in estrema sintesi, la non debenza del pagamento della penale dal dì della adozione della ordinanza di sospensione ex artt. 283 e 351 cod. proc. civ. sino all’epoca di pubblicazione della sentenza di secondo grado .
5 . L’opposizione è stata rigettata nei gradi di merito del giudizio.
Avverso la decisione in epigrafe indicata, adottata in appello, ricorre per cassazione NOME COGNOME articolando tre motivi.
Resiste, con controricorso, il Condominio.
Parte controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
I l Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine stabilito dal secondo comma dell’art. 380 -bis. 1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
r.g. n. 6101/2023 Cons. est. NOME COGNOME
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 614bis e 615 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, del codice di rito.
Parte ricorrente intende « censurare la motivazione in iure della sentenza impugnata nella parte in cui essa sembrerebbe aver voluto dare rilievo alla circostanza secondo cui la mancata impugnazione da parte della sig.ra NOME COGNOME del ‘provvedimento 614 -bis di secondo grado’ avrebbe avuto l’effetto di creare una insuperabile preclusione a far valere, in sede di opposizione all’esecuzione avverso un titolo esecutivo giudiziale, una contestazione di merito inerente l’inesistenza del diritto di credito del Condominio: una contest azione, cioè, avente ad oggetto le somme (asseritamente) maturate ai sensi dell’art. 614 -bis cod. proc. civ. nelle more del giudizio di appello ed a decorrere proprio dal 31 gennaio 2019 ».
Ad avviso dell’impugnante, il « giudicato formatosi sull’ordine di non facere e sulla decorrenza della penalità di mora » non « impedirebbe di fare questione, in sede di opposizione all’esecuzione, intorno al se la pur pacifica e materiale inosservanza, in fatto, di detto ordine di non facere nel periodo antecedente al giudicato stesso (ossia, tra il 31 gennaio 2019 e l’8 marzo 2020) potesse dirsi giuridicamente sanzionabile o meno ai sensi dell’art. 614 -bis cod. proc. civ. a seguito e per effetto della sospensione della provvisoria esecutività del ‘provvedimento 614 -bis di primo grado’ ».
Attesa la « impossibilità di intravedere nella decisione di appello anche una decisione implicita sulla stessa esistenza del diritto di credito del Condominio avente ad oggetto il pagamento della misura di coercizione indiretta per tutto il periodo che va dal 31 gennaio 2019 alla data di pubblicazione del Provvedimento 614bis di secondo grado » – conclude parte ricorrente – « l’intera gamma di questioni di fatto e di diritto riguardanti la sussistenza in concreto di una (giuridicamente
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rilevante e sanzionabile) violazione dell’ordine di non facere assistito dalla penalità di mora ex art. 614bis cod. proc. civ. (passato in giudicato) era stata, di converso, validamente devoluta al giudice dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. ».
1.1. Il motivo è inammissibile.
La qui gravata decisione ha rilevato, sic et simpliciter , l’intervenuta definitività, per passaggio in giudicato, delle statuizioni di condanna alla cessazione dell’attività ed al pagamento della penale giornaliera .
Da ciò, tuttavia, non ha desunto – diversamente da quanto opinato da parte ricorrente – alcun impedimento o preclusione di natura processuale allo scrutinio sulla fondatezza dei motivi di opposizione alla esecuzione, che, infatti, ha compiutamente esaminato, addivenendo alla conclusione della irrilevanza del provvedimento di sospensione dell’esecutività della sentenza di prime cure sulla spettanza del credito come azionato dall’intimante.
La doglianza in vaglio – come confermato, peraltro, anche dalla sua formulazione testuale posta in chiave dubitativa ed ipotetica, denotata dal costante uso del modo verbale condizionale riferito al contenuto della sentenza – non esprime dunque una critica puntuale e pertinente rispetto alla ratio decidendi del provvedimento impugnato.
E tanto ne giustifica l’inammissibilità.
Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 283 e 614bis cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, del codice di rito.
Parte ricorrente individua un « erroneo convincimento della Corte territoriale » nell’aver ritenuto che « il venir meno, con la decisione definitiva di rigetto dell’appello, del provvedimento di sospensione ex art. 283 e 351 cod. proc. civ. avrebbe, quale unico e limitato effetto, quello di rimuovere questo (mero) impedimento alla riscossione coattiva di un credito che, in caso di inosservanza da parte
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dell’obbligato dell’ordine di fare o non fare, è venuto nel tempo ad accumularsi per effetto di quella che si dice essere una ‘ persistenza ontologica dell’accertamento del credito’ (al pagamento della penale) in alcun modo incisa dall’inibitoria della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado».
Propugna, per contro, una « conclusione diametralmente opposta »: « l’inosservanza di un ordine di tal genere nel periodo in cui è in vigore il regime di sospensione della provvisoria esecutività del provvedimento di condanna assistito da una penalità di mora non può in alcun modo essere considerato un inadempimento giuridicamente sanzionabile ai sensi dell’art. 614 -bis cod. proc. civ. stesso, neppure qualora l’appello sia rigettato e trovi quindi conferma l’ordine di fare, non fare o dare presidiato dalla misura coercitiva ».
A tal fine, muove dal profilo teleologico della misura di coercizione indiretta di cui all’art. 614 -bis cod. proc. civ.. Escluso che « la fissazione di una somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento di condanna abbia alcuna funzione risarcitoria », ascrive alla misura in questione « natura esecutiva a contenuto processuale e non sostanziale: mezzo a disposizione dell’avente diritto per la realizzazione, contr o la volontà dell’obbligato, del proprio diritto a ricevere una prestazione di fare o non fare o, comunque, una prestazione diversa dal pagamento di una somma ».
Da ciò fa conseguire che « allorché venga sospesa la provvisoria esecutività di una sentenza contenente un duplice capo di condanna all’adempimento di un obbligo di fare, non fare o dare (diverso dal pagamento di una somma di denaro) e di condanna al pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza successiva o per ogni giorno di ritardo, ciò che certamente viene meno è la pretesa del creditore di ottenere la concreta e materiale soddisfazione del
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proprio diritto a ricevere la prestazione dovuta contro la volontà dell’obbligato : viene meno e non ha modo di dispiegarsi ed attualizzarsi la funzione esecutiva di tale misura di coercizione indiretta» .
Più specificamente, sostiene che « nel caso di sospensione della provvisoria esecutività del provvedimento di condanna la cui esecuzione sia presidiata e, in qualche misura, garantita dalla previsione di una pena privata pecuniaria ai sensi dell’art. 614 -bis cod. proc. civ. non vi è alcun credito ‘ di cui è stata accertata la sussistenza nella misura determinata in caso di inosservanza dell’ordine di cessazione dell’attività a decorrere dal 31.1.2019’ (così, invece, la sentenza impugnata, a pag. 7) la cui ‘ persistenza ontologica ‘ non sarebbe travolta dall’ordinanza ex artt. 283 e 351 cod. proc. civ.. Esattamente al contrario, allorché vi sia la sospensione ex artt. 283 e 351 c.p.c. qualsiasi strumento esecutivo a disposizione del creditore in casu , l’imposizio ne di una pena pecuniaria privata a carico dell’obbligato al fine di compulsarne l’adempimento (non spontaneo) -viene meno e, dunque, nella fattispecie sotto esame deve ritenersi che il contegno non osservante dell’ordine di fare, non fare o dare (diverso dal pagamento di una somma di denaro) cessa di essere (esecutivamente, appunto) sanzionabile ai sensi dell’art. 614bis cod. proc. civ. per stessa mancanza (non dell’obbligo sostanziale inadempiuto) ma dello strumento che l’ordinamento appresta per consentire la soddisfazione del creditore invito debitore» .
Se infatti « nel periodo in cui è vigente la sospensione della provvisoria esecutività non vi è da premere sulla volontà di nessuno, non vi è da compulsare alcunché, semplicemente perché l’ordinamento non riconosce più al creditore il potere (processuale) di pretendere contro la volontà del debitore l’adempimento della prestazione » ritenere che « nelle more di questo periodo, il comportamento dell’obbligato non conforme al dictum giudiziale debba essere
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comunque sanzionato con l’applicazione (retroattiva) della penalità di mora significa chiaramente equivocare la natura e la funzione dello strumento (esecutivo) di cui all’art. 614 -bis cod. proc. civ. » .
2.1. Il motivo è inammissibile.
La – diffusa ed invero pregevole, seppur non immune da qualche prolissità e tautologia – argomentazione della parte ricorrente riposa su un presupposto: il carattere esclusivamente coercitivo del provvedimento di cui all’art. 614 -bis cod. proc. civ., intesa come misura finalizzata ad indurre l’obbligato all’adempimento spontaneo del comando giudiziale in via alternativa rispetto all’esecuzione forzata, con la quale – in questa prospettiva – sussisterebbe un legame di corrispondenza biunivoca, per cui laddove non è consentita la forzata attuazione del titolo (come accade in caso di sospensione dell’esecutività di esso) non è simmetricamente dovuta la corresponsione della pena pecuniaria.
Nel ragionamento svolto in ricorso, tuttavia, questo presupposto viene assunto come un postulato astratto, ovvero come un elemento connotante, in linea generale, la figura disciplinata dall’art. 614 -bis cod. proc. civ..
Si tratta di un errore prospettico.
Senza voler mettere in dubbio lo scopo di deterrenza, si deve infatti osservare come la misura di cui all’art. 614 -bis cod. proc. civ. possa, nella sua concreta declinazione, assolvere – in maniera generalmente complementare – differenti funzioni: rivestire talora una prevalente finalità afflittiva, cioè di sanzione di una condotta inosservante di un ordine giudizialmente impartito, talora una finalità prevalentemente risarcitoria, cioè di determinazione in via anticipata del ristoro derivante dall ‘ inottemp eranza all’ordine.
A tal fine, è dirimente la considerazione dell’effettivo contenuto del provvedimento adottato onde individuare, attraverso la motivazione
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offerta a corredo del dictum ed in particolare i criteri apprezzati per determinare l’ammontare della somma dovuta (tra i quali, non a caso, l’art. 614 -bis cod. proc. civ. indica altresì « il danno quantificato o prevedibile »), la funzione che il giudice emittente ha inteso assegnare in via preminente alla condanna al pagamento in caso di inadempimento o ritardo.
E tanto diviene decisivo nel caso in scrutinio.
Qualora, infatti, si ravvisasse nella statuizione azionata come titolo nell’opposto precetto un preminente carattere sanzionatorio o risarcitorio, la tesi di parte ricorrente si rivelerebbe, all’evidenza, priva di fondamento : la ragione causale dell’irrogazione della condanna (punire la condotta inottemperante all’impartito comando giudiziale o compensare la controparte del pregiudizio da ciò conseguente) non verrebbe certamente meno nell’arco temporale della sospensione dell a esecutività (cioè dell’idoneit à alla coazione) disposta in via provvisoria ed interinale, una volta definitivamente stabilita (con il passaggio in giudicato della sentenza conclusiva del giudizio) la conformità a diritto del comando cui la misura condannatoria accede.
Le considerazioni che precedono dimostrano come il riscontro sulla fondatezza del motivo in disamina postulasse, di necessità, l’indagine sulla funzione in concreto attribuita dal giudice emittente alla condanna ex art. 614bis cod. proc. civ. e richiedesse, a tal fine, l’illustrazione della trama argomentativa posta a giustificazione della pronuncia, in relazione alle tesi delle parti contrapposte sul punto sviluppate.
Per converso, nel ricorso in discorso risulta del tutto mancante la trascrizione o la riproduzione (quantomeno nei tratti essenziali e d’interesse) della motivazione della condanna azionata in executivis : sicché il predicato valore unicamente compulsorio di essa assurge ad affermazione teorica, disancorata dalla concreta fattispecie.
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La ora evidenziata deficienza descrittiva preclude dunque a questa Corte il vaglio di merito sul motivo, che va dichiarato inammissibile.
Una simile conclusione esime dalla verifica della conclusione di un automatico ripristino, in uno a quello dell’esecutorietà ex tunc di ogni capo condannatorio del provvedimento gravato a seguito della reiezione del gravame, pure dell’operatività della misura di coercizione anche per tutto il tempo intermedio, con ridondanza a carico di chi si assume il rischio della soccombenza nell’impugnazione pure di quello della contemporanea validità intermedia del capo accessorio.
Il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, del codice di rito.
Lamenta il rigetto del motivo di appello teso a contestare la mancata compensazione delle spese del giudizio di primo grado, giustificata invece a dire dell’appellante, in questa sede ricorrente dalla assoluta novità della questione giuridica trattata.
3.1. Il motivo non conduce alla anelata cassazione della gravata sentenza, della quale, tuttavia, occorre emendare la motivazione, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, del codice di rito.
La conferma della pronuncia di prime cure in punto di spese è stata così giustificata dalla Corte d’appello: « l a censura dell’appellante non coglie nel segno, il presente giudizio ha infatti ad oggetto un’opposizione a precetto avente come titolo esecutivo una sentenza passata in giudicato, non una nuova questione giuridica ».
Si tratta di motivazione errata: la definitività del titolo esecutivo di formazione giudiziale non è circostanza di per sé impediente la proposizione di opposizioni esecutive, determinando invece soltanto una limitazione alle contestazioni con tale rimedio deducibili.
Ciò chiarito, per la reiezione del motivo di appello illo tempore spiegato è sufficiente rilevare come, nel regolamento delle spese
disegnato dal codice, l’applicazione del principio del la soccombenza costituisce la regola generale, quale strumento in ultima analisi volto a realizzare la pienezza ed effettività dei diritti di difesa e di azione costituzionalmente garantiti.
Rispetto a tale principio si pongono come derogatorie le fattispecie di compensazione delle spese contemplate dall’art. 92 cod. proc. civ. (come estese per effetto della sentenza della Corte Costituzionale del 19 aprile 2018, n. 77), rimesse pur sempre al potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è nemmeno tenuto a dare conto con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà (da ultimo, così, Cass. 26/04/2019, n. 11329).
Orbene, nel caso di specie, la (indubbia) soccombenza dell’odierna ricorrente giustificava ex se la emanata condanna alla refusione delle spese, nemmeno potendosi ravvisare una novità (peraltro, dalla legge voluta come « assoluta ») della questione in iure agitata in causa con l’opposizione : la decisione di quest’ultima importando, piuttosto e principalmente, l’individuazione, in via esegetica, dell’esatto significato da ascrivere al provvedimento ex art. 614bis cod. proc. civ..
Così corretta la motivazione in parte qua della sentenza impugnata, la doglianza va disattesa.
Il ricorso è rigettato.
Il regolamento delle spese del grado segue la soccombenza.
Attes o l’esito del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass., Sez. U, 20/02/2020, n. 4315) per il versamento al competente ufficio di merito da parte del ricorrente ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari
a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente, NOME COGNOME alla refusione in favore di parte controricorrente, Condominio dell’edificio in Milano, INDIRIZZO, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 5.500 per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione