LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Pausa retribuita: a chi spetta l’onere della prova?

Una guardia giurata ha citato in giudizio la propria azienda per il mancato godimento della pausa di dieci minuti prevista per turni superiori alle sei ore. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8626/2024, ha stabilito un principio fondamentale sull’onere della prova. Spetta al lavoratore dimostrare di aver lavorato oltre sei ore consecutive senza fruire della pausa retribuita. Spetta invece al datore di lavoro, che si difende sostenendo di aver concesso un riposo compensativo alternativo, fornire la prova di tale concessione. La Corte ha quindi cassato la sentenza d’appello che aveva erroneamente addossato l’intero onere probatorio sul lavoratore.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Pausa Retribuita Non Goduta: Chi Deve Provare Cosa? La Cassazione Chiarisce

Il diritto al riposo è un pilastro fondamentale della tutela del lavoratore, essenziale per il recupero delle energie psico-fisiche. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 8626 del 2024, interviene su un tema cruciale: la pausa retribuita per chi svolge turni di lavoro prolungati, specificando in modo netto a chi spetti l’onere della prova in caso di contenzioso. La decisione chiarisce la ripartizione degli oneri probatori tra lavoratore e datore di lavoro, rafforzando le tutele per i dipendenti.

Il Caso: Una Guardia Giurata e la Pausa Negata

La vicenda nasce dalla richiesta di un lavoratore, impiegato come guardia particolare giurata, che svolgeva turni di otto ore giornaliere. Secondo il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) per i dipendenti degli Istituti di Vigilanza Privata, per ogni turno superiore alle sei ore consecutive, spetta al lavoratore una pausa retribuita di dieci minuti. Il dipendente sosteneva di non aver mai potuto godere di tale pausa né di aver ricevuto, in alternativa, i riposi compensativi previsti.

Per questo motivo, si era rivolto al tribunale per ottenere il pagamento di un’indennità sostitutiva. Sia in primo grado che in appello, tuttavia, la sua domanda era stata respinta. I giudici di merito avevano ritenuto che fosse onere del lavoratore dimostrare non solo di aver lavorato per più di sei ore, ma anche di non aver fruito dei riposi compensativi, considerandolo un elemento costitutivo del suo diritto.

L’Onere della Prova e la Pausa Retribuita

Secondo la Corte d’Appello, il lavoratore non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare la mancata fruizione del riposo compensativo. Questa interpretazione addossava al dipendente un onere probatorio particolarmente gravoso, quasi una prova negativa. Insoddisfatto della decisione, il lavoratore ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici avessero erroneamente invertito l’onere della prova.

La Svolta in Cassazione: La Corretta Ripartizione dell’Onere Probatorio

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del lavoratore, ribaltando l’impostazione dei giudici di merito. I giudici di legittimità hanno chiarito la distinzione fondamentale tra “fatto costitutivo” del diritto e “fatto estintivo” dello stesso.

Il lavoratore ha l’onere di provare il fatto costitutivo del suo diritto, ovvero:
1. Di aver svolto una prestazione lavorativa superiore alle sei ore consecutive.
2. Di non aver goduto della pausa di dieci minuti durante il turno.

Una volta che il lavoratore ha provato questi elementi, il suo diritto si considera sorto. A questo punto, la palla passa al datore di lavoro. Se l’azienda sostiene di aver adempiuto al suo obbligo in un modo alternativo, come previsto dal CCNL (ad esempio, concedendo un riposo compensativo di pari durata entro i trenta giorni successivi), deve provare questo fatto estintivo. È il datore di lavoro, e non il lavoratore, a dover dimostrare di aver concesso il riposo alternativo.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione sull’applicazione dell’art. 2697 del Codice Civile, che disciplina l’onere della prova. Il principio generale è che chi vuole far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento (fatto costitutivo), mentre chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti o sostiene che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda (fatto estintivo o impeditivo).

Nel caso della pausa retribuita, la mancata fruizione del riposo compensativo non è un elemento che fa nascere il diritto del lavoratore; al contrario, la sua concessione è un fatto che estingue l’obbligazione del datore di lavoro. Pertanto, la prova della sua avvenuta concessione deve essere fornita da chi se ne avvale per difendersi, ovvero l’azienda. La Corte ha sottolineato che questa ripartizione è coerente con la sfera di controllo delle parti: è il datore di lavoro che organizza l’attività lavorativa e che quindi possiede gli strumenti per documentare la concessione dei riposi.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Lavoratori e Aziende

Questa ordinanza ha importanti conseguenze pratiche. Per i lavoratori, diventa più semplice far valere il proprio diritto alla pausa, in quanto non sono più tenuti a fornire la difficile “prova negativa” di non aver mai ricevuto riposi compensativi. Sarà sufficiente dimostrare di aver effettuato turni prolungati senza la pausa prevista.

Per le aziende, la sentenza rappresenta un monito a gestire con attenzione l’organizzazione dei turni e la concessione dei riposi. È fondamentale che i datori di lavoro, specialmente in settori come la vigilanza dove le pause possono essere difficili da garantire, tengano una documentazione precisa e puntuale dei riposi compensativi concessi ai propri dipendenti. In caso di contenzioso, tale documentazione sarà l’unica prova valida per difendersi dalle richieste dei lavoratori e dimostrare di aver correttamente adempiuto ai propri obblighi contrattuali e di legge.

A chi spetta l’onere di provare il mancato godimento della pausa retribuita?
Al lavoratore spetta l’onere di provare i fatti costitutivi del suo diritto, ovvero di aver svolto una prestazione lavorativa di durata superiore a sei ore consecutive e di non aver fruito della pausa di dieci minuti durante il turno.

Se il datore di lavoro afferma di aver concesso un riposo compensativo, chi deve provarlo?
Spetta al datore di lavoro. La concessione di un riposo compensativo è un fatto estintivo del diritto del lavoratore, e secondo l’art. 2697 c.c., l’onere di provare un fatto estintivo ricade sulla parte che lo eccepisce, in questo caso l’azienda.

Qual è il principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione in questa ordinanza?
La Corte ha stabilito che, nel caso di mancato godimento della pausa retribuita prevista dal CCNL Vigilanza Privata, l’onere del lavoratore è limitato a provare di aver lavorato più di sei ore consecutive senza pausa. Le modalità alternative di riposo, come i riposi compensativi, devono invece essere provate dal datore di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati