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Pausa pranzo non goduta: spetta lo straordinario?

Un lavoratore ha richiesto il pagamento del lavoro straordinario per la mancata fruizione della pausa pranzo. Dopo una vittoria in Appello, il datore di lavoro ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo un errore nella valutazione delle prove. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che la semplice esistenza di un obbligo contrattuale di concedere la pausa non prova che questa sia stata effettivamente goduta. La Corte ha chiarito che il ricorso mirava a un riesame dei fatti, non consentito in sede di legittimità, e ha confermato il diritto del lavoratore al compenso.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Pausa Pranzo Non Goduta: Quando Diventa Lavoro Straordinario

Il diritto alla pausa pranzo è un elemento fondamentale del rapporto di lavoro, ma cosa accade quando, di fatto, il lavoratore non può usufruirne? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1026/2024, è tornata su questo tema cruciale, confermando che il tempo della pausa non goduta deve essere retribuito come lavoro straordinario. La decisione chiarisce importanti principi sull’onere della prova e sui limiti del giudizio di legittimità.

I Fatti di Causa: La Richiesta del Lavoratore

Il caso ha origine dalla richiesta di un dipendente di un consorzio pubblico. Il lavoratore si è rivolto al Tribunale del Lavoro per ottenere l’accertamento del suo diritto a ricevere un compenso per lavoro straordinario, pari a 30 minuti per ogni giorno in cui aveva usufruito dei buoni pasto, a causa del sistematico prolungamento dell’orario di lavoro dovuto all’impossibilità di effettuare la pausa.

Inizialmente, il Tribunale ha respinto la domanda. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, accogliendo le ragioni del lavoratore e riconoscendogli il diritto al compenso per il quinquennio precedente alla richiesta di conciliazione.

Contro questa sentenza, l’ente pubblico, subentrato nel frattempo nei rapporti del consorzio, ha proposto ricorso per cassazione, basandolo su un unico, articolato motivo.

Il Ricorso in Cassazione e l’Onere della Prova sulla Pausa Pranzo

Il datore di lavoro ha contestato la sentenza d’appello lamentando una violazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c.) e sulla valutazione delle prove (artt. 115 e 116 c.p.c.). Secondo l’ente, il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente ritenuto provata la mancata fruizione della pausa pranzo da parte del lavoratore.

Il ricorso, sebbene formulato come denuncia di una violazione di legge, mirava in realtà a ottenere un nuovo esame dei fatti, contestando l’apprezzamento delle prove operato dalla Corte d’Appello. Questo tipo di richiesta, tuttavia, esula dalle competenze della Corte di Cassazione, che è giudice di legittimità e non di merito.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo chiarimenti essenziali.

La Distinzione tra Questione di Fatto e Questione di Diritto

Il punto centrale della decisione è la netta distinzione tra la violazione di una norma di diritto e la contestazione della valutazione dei fatti. La Suprema Corte ha spiegato che il ricorso del datore di lavoro non denunciava un errore nell’applicazione delle regole sulla distribuzione dell’onere della prova, ma criticava direttamente il risultato di tale valutazione, ovvero l’accertamento che “la mancata predisposizione dei turni di sospensione dell’orario di lavoro non ha consentito ai lavoratori di fruire della pausa lavorativa”. Un’operazione di questo tipo è riservata al giudice di merito e non può essere rivalutata in sede di legittimità.

L’Onere della Prova a Carico del Datore di Lavoro

La Corte ha inoltre precisato che la semplice esistenza di una norma di legge (come l’art. 8 del D.Lgs. 66/2003) o di una clausola contrattuale (come l’art. 45 del CCNL Enti Locali) che preveda l’obbligo di concedere una pausa, non è sufficiente a dimostrare che tale obbligo sia stato concretamente adempiuto. In altre parole, non basta che il diritto alla pausa sia previsto sulla carta; il datore di lavoro deve provare di aver messo il lavoratore nelle condizioni effettive di poterne usufruire. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente accertato che l’organizzazione del lavoro non lo consentiva, e tale accertamento di fatto non è sindacabile in Cassazione.

Conclusioni

L’ordinanza n. 1026/2024 consolida un principio di grande rilevanza pratica: la responsabilità di organizzare l’orario di lavoro in modo da consentire la fruizione effettiva della pausa pranzo ricade sul datore di lavoro. Se tale organizzazione manca e il lavoratore è costretto a rimanere a disposizione o a lavorare durante la pausa, quel tempo deve essere considerato e retribuito come lavoro straordinario. Per i lavoratori, questa decisione rafforza la tutela di un diritto essenziale. Per i datori di lavoro, essa rappresenta un monito a non limitarsi a previsioni formali, ma a garantire concretamente il rispetto delle pause previste dalla legge e dai contratti collettivi, documentando adeguatamente l’organizzazione dei turni e delle soste.

A chi spetta dimostrare che la pausa pranzo è stata effettivamente goduta dal lavoratore?
Spetta al datore di lavoro dimostrare di aver organizzato l’attività lavorativa in modo da consentire concretamente al dipendente di fruire della pausa. Non è sufficiente che il diritto alla pausa sia previsto per legge o da contratto.

Se il lavoratore non riesce a fare la pausa pranzo, ha diritto a un compenso?
Sì. Secondo la decisione in esame, il tempo corrispondente alla pausa pranzo non goduta a causa dell’organizzazione del lavoro deve essere considerato come lavoro straordinario e, di conseguenza, retribuito.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove per dimostrare che la pausa è stata fatta?
No. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità e non può riesaminare nel merito i fatti o la valutazione delle prove operata dai giudici dei gradi precedenti. Può intervenire solo in caso di violazione o falsa applicazione di norme di diritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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