Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16167 Anno 2024
ORDINANZA
sul ricorso N. 5332/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale EMAIL
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso l o studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale EMAIL e EMAIL
– controricorrente –
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Napoli, n. 5073/2022, depositata il
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14.3.2024 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME intimò sfratto per morosità a NOME COGNOME onde ottenere la risoluzione del contratto di locazione e la riconsegna dell’immobile locato, ad uso abitativo, sito in Maddaloni (CE), INDIRIZZO, deducendo che in data 1.11.2009, le parti avevano sottoscritto in realtà due contratti di locazione: uno per il canone di € 250,00 mensili, registrato per motivi fiscali, ed uno per € 310,00 mensili. Espose la COGNOME che, a seguito della morosità del conduttore, essa locatrice aveva intimato un primo sfratto per morosità e aveva richiesto il pagamento di € 250,00 mensili, così come previsto nel contratto regolarmente registrato; che la morosità era stata però sanata dal conduttore, mediante il versamento dei canoni e delle spese di giudizio, ed il rapporto di locazione era continuato. Tuttavia, nel nuovo atto di intimazione, la COGNOME precisò di non aver potuto richiedere il pagamento della maggior somma di € 310,00, in quanto il secondo contratto era stato smarrito, in seguito ad un trasloco, ma esso era stato di recente rinvenuto e, quindi, registrato. In virtù di tale registrazione postuma, la locatrice pretese dunque il pagamento del maggior importo tra il canone previsto nel primo contratto (€ 250,00 mensili) e quello previsto dal secondo (€ 310,00). Con ordinanza del 29.4.2019, il Tribunale di Santa Maria C.V. respinse la domanda di emissione dell’ordinanza provvisoria di rilascio e dispose, altresì, il mutamento di rito. Con memoria integrativa del 30.07. 2019, la Di Martino chiese tra l’altro l’accertamento della registrazione del secondo contratto sorto dopo il 1° gennaio 2004, con contestuale dispiegamento
dei suoi effetti ex tunc ; chiese poi la condanna del COGNOME al pagamento della somma di € 2.248,37 oltre ISTAT di € 27,28 mensili dal marzo 2019, oltre al le differenze dei canoni mensili a partire dall’ aprile 2019 fino alla definizione del giudizio, e ancora oltre alle differenze a maturarsi fino all’effettivo rilascio; chiese pure la dichiarazione dell’avvenuta risoluzione del contratto di locazione per l’inadempimento del conduttore e contestuale fissazione della data di rilascio, nonché la revoca del decreto ingiuntivo n. 7339/2017 -emesso su istanza del COGNOME per ottenere la restituzione di quanto pagato in più – in danno di essa COGNOME per mancanza della causa petendi . Con sentenza n.1572/2020, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere rigettò le domande proposte da NOME COGNOME condannandola al pagamento, in favore di NOME COGNOME, della somma di € 2.430,00 per compensi, oltre accessori, nonché di € 100,00 ai sensi dell’art. 96 , comma 3, c.p.c.; infine, il Tribunale condannò il convenuto al pagamento, in favore dell’Erario, della somma pari ad € 49,00, quale sanzione per la mancata partecipazione alla procedura di mediazione. La Di COGNOME propose appello avverso detta sentenza e la Corte d’appello di Napoli, nel contraddittorio con il COGNOME, lo rigettò con sentenza del 27.1.2023. Osservò in particolare il giudice d’appello che il patto occulto di maggiorazione del canone locatizio, oggetto di simulazione (come quello per cui è causa), è nullo ai sensi dell’art. 13, co mma 1, della legge n. 431/1998 e non è sanato dalla registrazione tardiva.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di cinque motivi, cui resiste con controricorso NOME COGNOME che ha pure depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 -Con il primo motivo si lamenta la ‘ VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE LEGGE n. 311 del 2004, art. 1, comma 346; artt. 1414 e segg. c.c., violazione di norme di diritto, il tutto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cpc. ‘ ; si afferma che la registrazione del secondo contratto è avvenuta successivamente e regolarmente, nel 2009, in virtù della legge finanziaria del 2005, ritenuta applicabile alla fattispecie che occupa. Pertanto, prosegue il ricorrente (pp. 1920 del ricorso) , ‘ più corretta giurisprudenza …. ha riconosciuto valore imperativo alle norme tributarie, disconoscendo così tutto quanto affermato da Cass. S.U. n. 18213 del 17.9.2015 posta a base integralmente nella fattispecie de quo sia dalla Corte Territoriale di Napoli sia dalla difesa del conduttore ‘. A sostegno di tale prospettazione viene richiamato il contenuto di Cass. n. 20858/2017, nonché di Cass., Sez. Un., n. 23601/2017 e successive statuizioni del medesimo tenore.
1.2 Con il secondo motivo si denuncia la ‘ VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 2, lett. a) e b), e art. 3, lett. a), D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 13, modificato dai D.Lgs. 5 giugno 1998, n. 203, D.Lgs. 19 novembre 1998, n. 422 , e D.Lgs. 30 marzo 2000, n. 99, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, (convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2 ), e art. 1418 c.c.,norme di diritto, il tutto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 ‘ . Si sostiene, sulla scorta di Cass. n. 10498/2017, che la mancata registrazione del contratto determina una nullità che, in virtù di forme di sanatoria succedutesi nel tempo
e dell’istituto del ravvedimento operoso, risulta sanata con effetti ex tunc dalla tardiva registrazione del contratto stesso.
1.3 Con il terzo motivo si denuncia la ‘ ULTERIORE VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346 e artt. 1414 e segg. c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 ‘; si deduce la erronea applicazione dell’insegnamento scaturente da Cass. n. 18213/2015 da parte del giudice d’appello , che a dire del ricorrente ‘ ha ignorato completamente le deduzioni, chiare ed esaustive, esposte ai punti H) e I) del ricorso in appello ‘. 1.4 Con il quarto motivo si espone ‘ IL CREDITO VANTATO DALLA LOCATRICE. Riserva di ogni azione ‘ ; con detto formale mezzo il ricorrente si limita ad indicare presunte ragioni di credito nei confronti del COGNOME e del proprio difensore, senza formulare alcuna censura.
1.5 Con il quinto motivo si lamenta la ‘ VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE art. 96, comma 3, c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 ‘ ; con esso viene riproposta la domanda nei confronti del RAGIONE_SOCIALE sulla base di una pretesa mala fede da lui tenuta nel pagamento del canone maggiorato e nell’assenza di giustificati motivi per la mancata partecipazione alla mediazione, richiamando al riguardo la giurisprudenza in materia di responsabilità ex art. 96, comma 3, c.p.c., per abuso del processo.
2.1 -Il ricorso è inammissibile per difetto di specificità, in quanto è dedotto con inosservanza dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., nel testo vigente, applicabile ratione temporis, secondo cui il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, ‘ la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano ‘.
N. 5332/23 R.G.
Detta disposizione è stata novellata dal d.lgs. n. 149/2022; il testo previgente imponeva, per il requisito di contenuto-forma in parola, che il ricorso indicasse, a pena di inammissibilità, ‘ i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano (…)’. L’interpretazione consolidata della disposizione (nel testo appena riportato), nella giurisprudenza di questa Corte, ha coniato il dovere di specificità ex art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., esigendo che il ricorrente individui chiaramente le rationes decidendi dell’impugnata sentenza e le sottoponga a vaglio critico, al lume delle disposizioni normative che si assumono violate, tra l’altro occorrendo che di queste venga anche illustrata l’interpretazione che in tesi -si ritiene corretta (v., per tutte, Cass., Sez. Un., n. 23745/2020).
Al lume del nuovo testo normativo, ancor più che in passato, occorre dunque che il ricorrente individui il decisum della sentenza impugnata e con esso si confronti, procedendo ad una chiara e sintetica illustrazione delle ragioni a sostegno dell’impugnazione, senza divagazioni di sorta e secondo i canoni riferibili a ciascuna categoria di vizi denunciabili in sede di legittimità, come catalogati dall’art. 360 c.p.c. (sul punto si veda ancora, per tutte, Cass., Sez. Un., n. 23745/2020).
2.2 -Ebbene, come anche correttamente evidenziato dal controricorrente, la COGNOME prescinde totalmente dal confronto con gli ampi (oltre che condivisibili) argomenti spesi dalla Corte partenopea per distinguere il tema della sanatoria della nullità derivante dalla registrazione successiva del contratto, da quello della pattuizione del canone maggiorato, quest’ultima colpita dalla sanzione della nullità, ex art. 13 della legge n. 431/1998. Il ricorso si risolve dunque, almeno
N. 5332/23 R.G.
per i primi tre motivi (tutti afferenti alla suddetta questione), in una mera dissertazione accademica per lo più astratta e aspecifica, senza che la COGNOME abbia cura di spiegare adeguatamente il come e il perché la C orte d’appello sarebbe incorsa nei plurimi errores in iudicando pure denunciati.
In altre parole, i primi tre motivi non individuano la motivazione criticanda e non svolgono la critica ad essa, sicché sono inammissibili alla stregua del principio di diritto consolidato affermato da Cass. n. 4741/2005, ribadito, ex multis , in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, anche dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 7074 del 2017. Inoltre, non individuando la motivazione criticanda, le censure neppure si correlano ad essa, sicché sono inammissibili anche alla stregua del l’insegnamento di Cass. n. 359/2005, il cui consolidato principio di diritto anche in tal caso è stato ribadito, sempre in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, dalla citata Cass., Sez. Un., n. 7074/2017.
3.1 -Il quarto motivo è inammissibile, perché non contiene nessun tipo di censura alla decisione impugnata; esso si risolve, dunque, in un ‘non motivo’.
4.1 Il quinto motivo, infine, è pur esso inammissibile.
In proposito, la COGNOME omette di confrontarsi, ancora una volta, con la decisione impugnata: il diniego di condanna del COGNOME per lite temeraria, ex art. 96, comma 3, c.p.c. (e fatta salva la sanzione comminatagli in primo grado per non aver egli partecipato al procedimento di mediazione, questione oramai coperta dal giudicato), discende dal fatto che essa COGNOME è rimasta totalmente soccombente nel giudizio d’appello, mentre il COGNOME è risultato totalmente vittorioso. Per definizione, dunque, può escludersi la configurabilità
N. 5332/23 R.G.
di un presunto abuso del processo da parte di quest’ultimo, aspetto che evidentemente la ricorrente non coglie , donde l’inammissibilità del mezzo per difetto di specificità.
6.1 In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, con distrazione in favore dei procuratori antistatari, che hanno reso la prescritta dichiarazione.
In relazione alla data di proposizione del ricorso principale (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P. Q. M.
la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite , che liquida in € 2 .000,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge, con distrazione in favore dei procuratori antistatari.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il giorno