Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17635 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 17635 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 38710/2019 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno indicato i seguenti indirizzi di posta elettronica certificata: e
;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del presidente p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato il seguente indirizzo di posta elettronica certificata: ;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 1748/19, depositata il 14 maggio 2019.
Udita la relazione svolta nell’udienza pubblica del 19 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME proprietario di un fondo della superficie di 7733 mq. sito in Racalmuto, e riportato in Catasto al foglio 67, particella 504, convenne in giudizio l’ANAS S.p.a., in qualità di beneficiario, e l’RAGIONE_SOCIALE in qualità di contraente generale, proponendo opposizione alla stima dell’indennità dovuta per l’occupazione temporanea dell’immobile, disposta con decreto n. 13 del 29 dicembre 2009, per l’esecuzione dei lavori di adeguamento della Strada statale 640 di Porto Empedocle.
A sostegno della domanda, dedusse l’inadeguatezza dell’importo liquidato rispetto al valore effettivo del suolo, chiedendo la determinazione dell’indennità e del risarcimento dovuti per l’inutilizzabilità dell’area occupata, il deprezzamento subìto dalla stessa, la distruzione dei soprassuoli, l’imposizione di una servitù di scolo e la spesa sostenuta per lo smaltimento del materiale di risulta abbandonato nel fondo.
Si costituì l’Empedocle, ed eccepì l’incompetenza del Giudice adìto e l’infondatezza della domanda, sostenendo che gl’importi dovuti erano stati già liquidati nell’ambito dell’espropriazione dei terreni limitrofi, ed aggiungendo che l’ISMEA, proprietario del fondo, aveva già accettato l’indennità di occupazione.
Si costituì inoltre l’ANAS, ed eccepì il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario e l’incompetenza del Giudice adìto, per le domande diverse dall’opposizione alla stima, opponendo anche il difetto di legittimazione dell’attore,
in quanto acquirente del fondo occupato con patto di riservato dominio, la pendenza di un analogo giudizio promosso dall’ISMEA, in qualità di proprietario, e il proprio difetto di legittimazione passiva.
1.1. Con sentenza del 14 maggio 2019, la Corte d’appello di Palermo ha dichiarato la propria incompetenza in ordine alla domanda di risarcimento dei danni, rigettando l’opposizione alla stima.
Premesso che la controversia spettava alla giurisdizione del Giudice ordinario, vertendosi in tema di opposizione alla stima e risarcimento dei danni derivanti da un’attività materiale della Pubblica Amministrazione, la Corte ha ritenuto che la domanda di risarcimento spettasse alla competenza del Tribunale, esulando da quella in unico grado della Corte d’appello, prevista dall’art. 29 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 soltanto per l’opposizione alla stima.
In ordine a quest’ultima, ha rilevato che l’attore non era proprietario del fondo occupato, avendolo acquistato dall’ISMEA con patto di riservato dominio, con atto pubblico del 29 maggio 2003, ed essendosi impegnato a pagarne il prezzo in trent’anni, all’esito dei quali soltanto sarebbe divenuto proprietario, ai sensi dell’art. 1523 cod. civ. Ha escluso la possibilità d’interpretare estensivamente l’art. 50 del d.P.R. 8 luglio 2001, n. 327, in modo da consentirne l’applicazione al mero possessore del fondo, osservando che l’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011 individua le parti del giudizio di opposizione esclusivamente nel proprietario, nell’ente espropriante, nel promotore e, se del caso, nel beneficiario dell’espropriazione, nonché del concessionario della realizzazione dell’opera pubblica, ove gli sia stato affidato il pagamento dell’indennità.
Avverso la predetta sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. L’Empedocle ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria. L’ANAS non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 34, 49, 50 e 54 del d.P.R. n. 327 del 2001, dell’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011 e degli artt. 1325, 1343 e 1523 cod. civ., sostenendo che, nell’escludere la legittimazione dell’acquirente a pro-
porre opposizione alla stima, in caso di compravendita con patto di riservato dominio, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della funzione dell’istituto, consistente nel fornire al venditore esclusivamente una garanzia per l’ipotesi di mancato pagamento del prezzo. Premesso che il predetto patto comporta il differimento soltanto del trasferimento della proprietà, lasciando inalterati gli altri effetti della compravendita, che si producono immediatamente, osserva che il venditore perde, oltre alla disponibilità del bene, la possibilità di alienarlo, per effetto della trascrizione del vincolo, e quella di ottenerne la restituzione, fatta eccezione per l’ipotesi d’inadempimento, mentre l’acquirente, oltre ad acquistare il possesso del bene, assume i relativi rischi, ha diritto alla percezione dei frutti ed ha il potere di trasformare il bene senza autorizzazione del venditore. Aggiunge che la giurisprudenza ha equiparato il contratto in questione ad una vendita ordinaria, sia ai fini dell’azione revocatoria che ai fini delle obbligazioni tributarie, distinguendolo dal contratto preliminare di compravendita, in cui il trasferimento immediato del possesso costituisce soltanto l’esecuzione di una clausola accessoria. Afferma inoltre che l’espropriazione per pubblica utilità è equiparabile alle altre ipotesi di perimento del bene non dipendenti dalla volontà dell’acquirente, che non pregiudicano l’efficacia del contratto di vendita e non esonerano il compratore dall’obbligo di continuare a pagare il prezzo, fermo restando il diritto a percepire l’indennità di espropriazione e quella di occupazione.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 34, 49, 50 e 54 del d.P.R. n. 327 del 2001, dell’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011, dell’art. 1523 cod. civ., dell’art. 6 della CEDU e dell’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, osservando che, nell’escludere la legittimazione dell’acquirente con patto di riservato dominio a proporre opposizione alla stima, la sentenza impugnata ha fornito un’interpretazione letterale dell’art. 50 del d.P.R. n. 327 del 2001 e dell’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011, che, oltre a non tenere conto della natura processuale di quest’ultima disposizione, si pone in contrasto con il riferimento al «titolare di un diritto reale o personale sul bene», contenuto nell’art. 34 del d.P.R. n. 327 cit., e con l’art. 6 della CEDU e l’art. 1 del Primo protocollo addizionale alla stessa, i quali estendono la tutela del diritto di proprietà ad ogni lesione
della sfera patrimoniale della persona. Premesso che l’occupazione temporanea del fondo comporta una forte compressione del diritto del proprietario, chiede, in subordine, sollevarsi questione di legittimità costituzionale degli artt. 50 e 29 cit., in riferimento all’art. 3 Cost., all’art. 6 della CEDU ed all’art. 1 del Primo protocollo addizionale.
I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto profili diversi della medesima questione, sono fondati.
In tema di espropriazione per pubblica utilità, l’art. 54, comma primo, del d.P.R. n. 327 del 2001 prevede che la legittimazione ad impugnare l’atto di determinazione dell’indennità o a chiedere la determinazione giudiziale della stessa spetta al proprietario espropriato, al promotore dell’espropriazione o al «terzo che ne abbia interesse»: tale disposizione, applicabile anche all’occupazione temporanea di aree non soggette ad esproprio, ai sensi dell’art. 50, comma terzo, ed all’occupazione d’urgenza, in virtù del rinvio all’art. 50 contenuto nell’art. 22bis , comma quinto, riproduce sostanzialmente il dettato dell’art. 19 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, il quale prevedeva che l’opposizione alla determinazione dell’indennità di espropriazione potesse essere proposta, oltre che dal proprietario e dall’espropriante, dagli «altri interessati al pagamento dell’indennità», mentre per l’occupazione l’art. 20 della medesima legge attribuiva la legittimazione agli «interessati».
La locuzione «altri interessati al pagamento dell’indennità» è stata costantemente interpretata da questa Corte come un riferimento a tutti i soggetti «titolari di diritti o pretese reali sul bene, in concorso ovvero in conflitto con la posizione dei proprietari», identificabili rispettivamente nei soggetti iscritti nei registri immobiliari o negli atti catastali, ed in quelli immediatamente individuabili, secondo le risultanze dei registri della conservatoria immobiliare. Premesso infatti che la legge 25 giugno 1865, n. 2359 considerava quali unici soggetti legittimati a proporre e/o subire il giudizio di opposizione l’espropriante (individuato come il soggetto o l’ente in favore del quale fosse adottato il decreto di espropriazione) e l’espropriato, riconoscendo esclusivamente a quest’ultimo (o, in caso di enfiteusi, all’enfiteuta) il diritto di conseguire l’indennità di espropriazione, e disponendo che gli usufruttuari, i conduttori e gli altri, cui fosse spettato qualche diritto sugl’immobili, avrebbero
dovuto essere fatti indenni dal proprietario, nonché che, una volta intervenuta l’espropriazione, tali diritti non potessero più essere fatti valere sul fondo espropriato, ma solo sull’indennità che lo rappresentava (artt. 27 e 52), si è osservato che la legge n. 865 del 1971, pur ampliando il novero dei soggetti aventi diritto all’indennità, mediante l’introduzione di un’autonoma indennità c.d. aggiuntiva a favore del fittavolo, del colono e del compartecipante (art. 17), ha tenuto fermo il principio di unicità dell’indennità sancito dell’art. 52 della legge n. 2359 del 1865, estendendo però la legittimazione a promuovere o ad intervenire nel giudizio di opposizione anche a coloro che, in quanto titolari di un diritto reale di godimento sul bene espropriato, vengono a risentire un pregiudizio per effetto dell’estinzione di quel diritto, pure provocata dall’espropriazione. Si è ritenuto quindi che la legittimazione a proporre l’opposizione alla stima o la domanda giudiziale di determinazione dell’indennità possa essere riconosciuta anche al creditore ipotecario, a sua volta annoverabile tra gli «altri interessati» di cui all’art. 19 della legge n. 865 del 1971, in quanto titolare di un diritto reale di garanzia, che gli attribuisce il diritto di soddisfare le proprie ragioni sull’indennità di espropriazione (cfr. Cass., Sez. I, 30/10/2013, n. 24495). Si è invece escluso che la predetta legittimazione spetti al terzo detentore del fondo a titolo di comodato (cfr. Cass., Sez. I, 5/08/2005, n. 16595; 1/07/2004, n. 12022) o ad altri soggetti che vantino sull’immobile espropriato soltanto un diritto personale di godimento o una mera aspettativa (come l’assegnatario di un terreno con patto di futura vendita da parte di un ente di riforma fondiaria: cfr. Cass., Sez. Un., 24/04/1979, n. 2313; Cass., Sez. I, 5/07/1990, n. 7089) o una relazione di fatto (come il possessore), o che vi esercitino in virtù di un titolo legittimo un’attività imprenditoriale o commerciale (cfr. Cass., Sez. I, 18/06/2009, n. 14205; 15/07/ 2004, n. 13115), affermandosi che le relative pretese devono essere fatte valere esclusivamente nei rapporti con il proprietario espropriato, nell’ambito dei quali soltanto possono trovare soddisfazione. Si è rilevato inoltre che tale regime ha trovato conferma nell’art. 34 del d.P.R. n. 327 del 2001, il quale ha ribadito per un verso che «l’indennità di esproprio spetta al proprietario del bene da espropriare ovvero all’enfiteuta, se ne sia anche possessore» (comma primo), e per altro verso che «dopo la trascrizione del decreto di
esproprio o dell’atto di cessione, tutti i diritti relativi al bene espropriato possono essere fatti valere esclusivamente sull’indennità» (comma secondo), precisando comunque che «salvo quanto previsto dall’art. 42 , il titolare di un diritto reale o personale sul bene non ha diritto ad un’indennità aggiuntiva, può far valere il suo diritto sull’indennità di esproprio e può proporre l’opposizione alla stima, ovvero intervenire nel giudizio promosso dal proprietario» (comma quarto) (cfr. Cass., Sez. I, 18/05/2012, n. 7906).
Sulla base di analoghe considerazioni, deve ritenersi che la legittimazione a proporre l’opposizione alla stima o la domanda giudiziale di determinazione dell’indennità spetti, in caso di espropriazione di un immobile che abbia costituito oggetto di vendita a rate con patto di riservato dominio, anche all’acquirente, a sua volta annoverabile tra i soggetti interessati al pagamento dell’indennità, anche prima che abbia luogo il trasferimento del diritto di proprietà, che l’art. 1523 cod. civ. subordina al pagamento dell’ultima rata di prezzo.
Come correttamente rilevato dalla difesa del ricorrente, nella vendita a rate con riserva della proprietà, il compratore, pur divenendo proprietario del bene venduto soltanto a seguito del pagamento integrale del prezzo, acquista immediatamente una serie di facoltà ordinariamente connesse alla titolarità del diritto dominicale, sì da potersi ritenere che fin dal momento della stipulazione del contratto si determini una divaricazione tra l’intestazione formale del bene, che resta in capo al venditore, essenzialmente allo scopo di consentirgli di recuperarne il possesso in caso d’inadempimento della controparte, e la titolarità sostanziale del diritto, o quanto meno l’esercizio delle relative facoltà, spettante invece al compratore: quest’ultimo, infatti, ha diritto alla consegna del bene fin dal momento della conclusione del contratto (cfr. Cass., Sez. Un., 19/07/1985, n. 4266), nonché al rilascio dello stesso da parte dell’eventuale affittuario ed alla percezione dei relativi frutti (cfr. Cass., Sez. III, 27/06/1972, n. 2190), e può concedere il bene in locazione a terzi, in qualità di possessore (cfr. Cass., Sez. I, 12/11/1998, n. 11433); egli, inoltre, assume i rischi relativi al bene fin dal momento della consegna (art. 1523
cod. civ.), ed è quindi titolare di un interesse che gli consente di stipulare validamente un contratto di assicurazione (cfr. Cass., Sez. III, 17/06/2013, n. 15107; 19/05/2004, n. 9469; Cass., Sez. I, 30/05/1981, n. 3541), nonché di ottenere il pagamento dell’indennità, ove si verifichi un evento dedotto nel contratto, a meno che non possa ravvisarsi un interesse concorrente del venditore (cfr. Cass., Sez. III, 8/10/2009, n. 21390). In quest’ottica, e con riguardo alla disciplina dettata dall’art. 73, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, è stata posta in rilievo la differenza esistente tra la vendita con riserva di proprietà ed il preliminare di compravendita, osservandosi che mentre nella prima l’effetto traslativo, pur rinviato nel tempo e subordinato all’integrale pagamento del prezzo, è già vincolante tra le parti, al punto che con la conclusione del contratto il venditore è obbligato alla consegna del bene al compratore, il quale dal momento della consegna assume su di sé i rischi relativi al bene acquistato, nel secondo contratto, anche laddove sia pattuito il trasferimento immediato del possesso del bene e l’integrale pagamento del prezzo, tali clausole, aventi carattere accessorio e non incompatibili con la natura obbligatoria del contratto, non producono effetti traslativi, essendo a tal fine necessaria la prestazione di un ulteriore consenso ad opera delle parti (cfr. Cass., Sez. I, 22/12/2005, n. 28480). In tema di leasing c.d. traslativo, in epoca anteriore all’entrata in vigore della specifica disciplina introdotta dall’art. 1, commi 138 e 139, della legge 4 agosto 2017, n. 124, è stata invece sottolineata, ai fini dell’applicazione di quella dettata dall’art. 1526 cod. civ. per l’ipotesi di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, l’analogia della fattispecie a quella della vendita con riserva di proprietà, dandosi atto dello scopo di finanziamento comune ai due contratti, dell’idoneità dei pagamenti effettuati dall’utilizzatore e dal compratore a fungere da corrispettivo non solo del godimento del bene, ma anche del futuro trasferimento della proprietà, del trasferimento ab initio , a carico dell’utilizzatore o del compratore, di ogni rischio per il danneggiamento e il perimento del bene, anche se dovuto a caso fortuito o forza maggiore, e, soprattutto, della funzione di garanzia dell’effettuazione dei pagamenti secondo il piano concordato, rivestita dal permanere della proprietà in capo al concedente o al venditore fino al completo pagamento del corrispettivo (cfr. Cass., Sez. I, 3/09/2003, n.
12823; 22/03/1994, n. 2743; Cass., Sez. III, 14/04/2000, n. 4855).
Se è vero, pertanto, che nella vendita con patto di riservato dominio il differimento dell’effetto traslativo fino all’esito dell’integrale pagamento del prezzo si giustifica come null’altro che una forma di garanzia a favore del venditore, la cui qualità di proprietario riveste un carattere essenzialmente formale, determinandosi invece l’immediato trasferimento delle facoltà connesse alla titolarità del diritto, in una all’assunzione dei relativi rischi, deve necessariamente concludersi che, in caso di espropriazione del bene venduto, la legittimazione a proporre l’opposizione alla stima, nonché ad agire per la determinazione giudiziale dell’indennità, spetta, in via concorrente ed alternativa, sia al compratore, in qualità di titolare sostanziale del diritto dominicale, che al venditore, in virtù dell’intestazione formale del bene, cui corrisponde in sostanza la titolarità di un diritto reale di garanzia. Non appare d’altronde ragionevole ritenere che l’acquirente, pur restando obbligato al pagamento delle residue rate di prezzo, nonostante l’intervenuta perdita del diritto di proprietà o della disponibilità dell’immobile per causa a lui non imputabile, in conseguenza rispettivamente dell’espropriazione o dell’occupazione dello stesso per la realizzazione di un’opera pubblica, possa far valere il proprio diritto ad essere tenuto indenne del pregiudizio subìto esclusivamente nei rapporti con il venditore, nei limiti dell’indennità da quest’ultimo percepita, senza poterne contestare la determinazione, assumendo la veste di attore o spiegando intervento nel giudizio promosso dal venditore ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. n. 327 del 2001 e dell’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011.
Non può dunque condividersi il ragionamento seguito nella sentenza impugnata, secondo cui, in caso di espropriazione (o, come nella specie, occupazione) di un immobile che abbia costituito oggetto di vendita con patto di riservato dominio, l’acquirente non è legittimato a proporre opposizione alla stima, non avendo diritto all’indennità, in qualità di mero possessore, e dovendosi quindi ritenere che il pregiudizio da lui subìto resti regolato nell’ambito del rapporto con il venditore, giacché l’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011, che nel disciplinare il giudizio di opposizione alla stima individua quali parti del procedimento esclusivamente il proprietario del bene espropriato, l’autorità espropriante e il promotore dell’espropriazione, nonché, se del caso, il
beneficiario dell’espropriazione e il concessionario della realizzazione dell’opera pubblica, non è suscettibile d’interpretazione estensiva.
La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, con il rinvio della causa alla Corte d’appello di Palermo, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 19/02/2025