Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26288 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 26288 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/09/2025
OGGETTO: contratto di prestazione d’opera professionale con l’avvocato – patto di quota lite RG. 3373/2020 P.U. 11-9-2025
SENTENZA
sul ricorso n. 3373/2020 R.G. proposto da: COGNOME c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME ricorrente
contro
COGNOME NOMECOGNOME c.f. CODICE_FISCALE, COGNOME NOMECOGNOME c.f. CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME controricorrenti
avverso l ‘ordinanza del Tribunale di Bologna R.G. 5980/2016 , depositata il 18-10-2019, udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 11-9-2025 dal consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha chiesto l’accoglimento del quarto motivo di ricorso e il rigetto dei restanti motivi, udito l’avv. NOME COGNOME per il ricorrente
FATTI DI CAUSA
1. L’avv. NOME COGNOME ha notificato a NOME e NOME COGNOME il decreto ingiuntivo n. 1301/2016 al fine di ottenere importo pari ai compensi liquidati a loro favore nella sentenza n. 2949/2014 del Tribunale di Bologna nel giudizio nel quale l’avvocato li aveva difesi, per Euro 23.287,50 oltre accessori, e il decreto ingiuntivo n. 1944/2018 per ottenere il 10% della somma liquidata nella predetta sentenza dichiarativa di scioglimento di comunione ereditaria, pari a Euro 26.139,16, il tutto in forza dell’accordo sottoscritto dalle parti il 6 -102007.
NOME e NOME COGNOME hanno proposto distinte opposizioni ai due decreti ingiuntivi, che sono state riunite e decise dal Tribunale in composizione collegiale di Bologna con ordinanza ex art. 14 d.lgs. 150/2011 depositata il 18-10-2019.
L ‘ordinanza ha considerato che con l’accordo concluso tra le parti il 6-102007 NOME e NOME COGNOME riconoscevano all’avv. COGNOME, in relazione al mandato giudiziale conferitogli nella pratica di successione ereditaria ‘ COGNOME NOME e COGNOME NOME , il compenso minimo garantito di Euro 15.000,00 e ‘in caso di esito favorevole della causa di primo grado, un ulteriore compenso pari al 10% della somma liquidata dal giudice a favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, con termine di pagamento a 1 5 gg. dall’incasso (dovendosi subordinatamente avere a riferimento la diversa minore somma effettivamente incassata), oltre al compenso liquidato giudizialmente’.
Per quanto interessa in relazione ai motivi di ricorso proposti, con riguardo al d.i. 1301/2016 l’ordinanza ha considerato che l’avvocato chiedeva il compenso liquidato giudizialmente, precisando che non rientrava nel petitum la somma di Euro 15.000,00, e gli opponenti chiedevano fossero posti in compensazione gli importi già corrisposti in assenza di attività, sulla base del primo accordo del 17-3-2006
intercorso tra le parti con riguardo ad attività di consulenza e assistenza stragiudiziale, senza previsioni economiche . L’ordinanza ha dichiarato che era ragionevole riconoscere alle attività pregresse alle attività giudiziali quella sufficiente autonomia che legittimava la richiesta di distinto compenso, relativamente alle somme di cui alle fatture 15/2006, 30/2006 e 6/2007; quanto alla fattura n. 9 del 23-82008 di Euro 5.000,00 oltre accessori, ha dichiarato che andava riferita al mandato alla lite anche per ragioni di congruità, in quanto gli importi di Euro 9.000,00 circa già corrisposti in forza delle precedenti tre fatture erano adeguati al valore della pratica, considerato il valore della massa ereditaria e l’esito obiettivamente modesto delle tratt ative. Quindi, ha disposto che i precedenti pagamenti dovessero essere detratti solo per la somma di Euro 5.000,00 oltre accessori e per l’effetto, eseguiti i relativi conteggi di capitale e accessori, ha riconosciuto all’avvocato l’importo di Euro 22.662, 18, con gli interessi moratori, revocando il decreto ingiuntivo n. 1301/2016.
Con riferimento all’ulteriore pretesa dell’avvocato di cui al d.i. 1944/2018, l’ordinanza ha dichiarato che, poiché solo con la transazione e precisamente con la stipula dell’atto di compravendita dell’immobile oggetto di divisione ereditaria avvenuta il 16 -7-2018 si era verificato l’incasso da parte dei clienti ai fini dell’applica zione della pattuizione in ordine al pagamento al professionista del 10% della somma riscossa, il credito non era esigibile al momento del ricorso per decreto ingiuntivo e ciò imponeva la revoca del decreto ingiuntivo stesso. Ha considerato che il patto era stato stipulato nel vigore della legge 248/2006 che lo legittimava, ma il rapporto tra le parti si era esaurito solo con la revoca del mandato avvenuta con la missiva del 22-12-2014 e comunque non prima di ottobre 2014, allorché era stata depositata la sentenza nella causa nella quale l’avvocato aveva prestato l’atti vità; ha dichiarato che il diritto di credito azionato non
poteva ritenersi entrato nel patrimonio del creditore per il rinvio, nella pattuizione, a un evento futuro non ancora venuto a esistenza e ha dichiarato che, in un rapporto contrattuale di durata, l’intervento di una nuova disposizione imperativa condizionante l’autonomia contrattuale comportava che la contrarietà a quest’ultima del regolamento contrattuale non consentisse più alla clausola di operare in quanto, ai sensi dell’art. 1339 cod. civ., il contratto, per quanto concerne va la sua efficacia normativ a successiva all’entrata in vigore della nuova norma, doveva ritenersi assoggettato all’efficacia della disposizione imperativa. Quindi, ritenuta l’applicabilità del divieto del patto di quota lite in forza delle sopravvenute disposizioni, escluso che la clausola prevedesse un legittimo palmario, ha dichiarato la pretesa creditoria infondata; poiché nulla era stato chie sto per l’ipotesi di illegittimità del patto e comunque lo stesso era aggiuntivo rispetto alle altre voci di compenso, ha dichiarato che non doveva procedersi a liquidazione dei compensi ed era assorbita l’eccezione di compens azione.
2. Avverso l’ordinanza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con unico controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione per la pubblica udienza del giorno 11-9-2025 e nei termini di cui all’art. 378 cod. proc. civ. il Pubblico Ministero ha depositato memoria con le sue conclusioni e ha depositato memoria illustrativa il ricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dai controricorrenti sulla base della tesi che il ricorso, notificato il 13-1-2020 a fronte di ordinanza depositata il 18-10-2019 e comunicata dalla cancelleria il 22-10-2019,
sarebbe stato tardivamente proposto, dopo il termine di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione.
Il ricorso per cassazione è stato notificato il 13-1-2020, a fronte della documentata notificazione dell’ordinanza impugnata avvenuta il 15-11-2019 e quindi è stato tempestivamente proposto ex artt. 325 e 326 cod. proc. civ. Infatti, il termine breve per proporre il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di liquidazione dei compensi professionali degli avvocati emessa ex art. 14 d.lgs. 150/2011 decorre dalla notificazione e non dalla comunicazione eseguita dalla cancelleria (Cass. Sez. 2 23-6-2021 n. 18004 Rv. 661545-01, Cass. Sez. 6-2 4-32020 n. 5990 Rv. 657576-01). Diversamente da quanto prospettato dai controricorrenti, l a circostanza che l’art. 702 -quater cod. proc. civ. ratione temporis vigente prevedesse che il termine di trenta giorni per proporre appello decorresse dalla comunicazione o notificazione dell’ordinanza non comporta in sé che la medesima previsione fosse da estendere ai fini della proposizione del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost . avverso l’ordinanza emessa ex art. 14 d.lgs. 150/2011. In mancanza di disciplina specifica, deve essere applicato anche all ‘ordinanza in questione l’indirizzo consolidato secondo il quale, con riguardo ai provvedimenti di contenuto decisorio e aventi carattere di definitività, il termine breve per proporre il ricorso per cassazione decorre ex art. 325 cod. proc. civ. solo dalla notificazione a istanza di parte, mentre è irrilevante la comunicazione del cancelliere, con l’ulteriore conseguenza che, in mancanza di notifica a cura di parte, è applicabile il termine di cui all’art. 327 cod. proc. civ. ( Cass. Sez. 1 154-2019 n. 10540 Rv. 653472-01 con riguardo a ordinanza di riconoscimento di sentenza straniera, Cass. Sez. 1 25-7-2016 n. 15343 Rv. 641022-01, con riguardo a decreto di rigetto del reclamo avverso l’autorizzazione alla trascrizione di matrimonio contratto all’estero, Cass. Sez. 1 14-5-2014 n. 10450 Rv. 631223-01, con riguardo a
ordinanza di rigetto del reclamo avverso decreto che ha dichiarato esecutivo lodo, Cass. Sez. 3 16-11-2011 n. 24000 Rv. 620490-01 con riguardo a ordinanza dichiarativa di inammissibilità del ricorso volto alla revoca di decreto di trasferimento di bene espropriato, Cass. Sez. 2 23-3-2006 n. 6564 Rv. 587829-01, con riguardo a provvedimento reso nel procedimento previsto dalla legge 13-6-1942 n. 794 per la liquidazione delle competenze di avvocato, per tutte).
2. Con il primo motivo di ricorso, intitolato ‘ violazione o falsa applicazione di norme di diritto (error iuris): vizio di extra e/o ultra petizione in relazione all’art. 112 c.p.c. art. 360 c.1 n. 3 c.p.c.’, il ricorrente lamenta che, decurtando di Euro 5.000,00 oltre accessori l’importo che era stato riconosciuto all’avvocato dal d.i. 1301/2016, il giudicante abbia pronunciato in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.; evidenzia che il titolo azionato dal professionista era esclusivamente la convenzione scritta di riconoscimento di debito del 6-10-2007, con la quale i clienti riconoscevano al difensore il ‘compenso liquidato giudizialmen te’; sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto limitarsi a verificare l’avveramento della condizione prevista nella convenzione, con riguardo alla liquidazione giudiziale di compenso a favore dei clienti e la corrispondenza tra quell’importo liquidato giudizialmente e quello richiesto; rileva che il Tribunale è incorso nel vizio di ultra o extra petizione, perché si è espresso sulla questione della pertinenza a ll’ambito giudiziale o stragiudiziale dell’attività di cui alla fattura n. 9/2008, estranea all’ogg etto del giudizio; aggiunge che, a fronte dell’accordo delle parti, il Tribunale non avrebbe potuto esprimere alcun apprezzamento sulla congruità dell’attività svolta dall’avvocato e quindi la compensabilità del credito non era ipotizzabile, in quanto il pagamento dei compensi liquidati giudizialmente costituiva una voce autonoma di debito, non parametrabile ai criteri della tariffa professionale e da corrispondere integralmente in base agli accordi;
rileva che, poiché quella liquidazione poteva avvenire solo in caso di esito positivo della causa, ritenere che la fattura n. 9/2008 fosse una anticipazione compensabile aveva comportato stravolgimento della domanda e violazione dell’art. 112 cod. proc. ci v.
2.1.Il motivo è infondato.
Sussiste il vizio di ‘ultra’ o ‘extra’ petizione quando il giudice di merito, alterando il petitum o la causa petendi, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto o attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso, così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dalle parti (Cass. Sez. 2 21-32019 n. 8048 Rv. 653291-01, Cass. Sez. 1 11-4-2018 n. 9002 Rv. 648147-01, Cass. Sez. 3 24-9-2015 n. 18868 Rv. 636968-01). Nella fattispecie ciò non si è verificato, in quanto il Tribunale ha pronunciato nei limiti delle domande ed eccezioni proposte dalle parti. Specificamente, il Tribunale ha considerato che la pretesa azionata dall’avvocato in forza all’accordo intercorso tra le parti era pari a Euro 20.250,00, relativa all’importo dell e spese di lite liquidate giudizialmente e di tale somma ha riconosciuto la spettanza. Ha altresì considerato che dalla somma richiesta e dovuta dovevano essere detratti gli importi che i clienti sostenevano di avere già corrisposto; ha accertato che solo l’importo di Euro 5.000,00 oltre accessori di cui alla fattura n. 9/2008 non trovava giustificazione nello svolgimento dell’attività stragiudiziale, e cioè non poteva costituire corrispettivo per l’attività stragiudiziale svolta -che ha ritenuto essere stata compiutamente pagata con la corresponsione degli importi di cui alle fatture 15/2006, 16/2006 e 6/2007e quindi ha detratto l’importo di Euro 5.000,00 oltre accessori già pagato dall’importo di Euro 20.250,00 oltre accessori spettante all’avvocato. In questo modo il Tribunale si è limitato ad accogliere parzialmente l’eccezione di pagamento ch e avevano proposto gli opponenti, seppure testualmente proponendo
l’eccezione come ‘di compensazione’ . Infatti gli opponenti, facendo riferimento alle somme pagate di cui alle fatture già emesse dall’avvocato e chiedendo che se ne tenesse conto, avevano sostenuto che quegli importi non trovassero giustificazione in attività professionale svolta in loro favore che comportasse il sorgere del diritto ad autonomo compenso in capo al l’avvocato e che , perciò, le somme già corrisposte fossero da imputare al corrispettivo richiesto in causa.
3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce ‘ violazione o falsa applicazione di norme di diritto (error iuris) e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione al fondamento giuridico del credito (e conseguentemente dell’azione) travisamento della prova: art. 360 c.1 n. 3 e n. 5 c.p.c. e art. 111, comma 6 Cost.’; sostiene che il compenso liquidato giudizialmente -Euro 20.250,00 oltre accessorinon rappresentava, nella convenzione stipulata dalle parti, il corrispettivo per lo svolgimento dell’attività professionale di difesa tecnica -come era invece il compenso minimo garantito di Euro 15.000,00 previsto dalla convenzione-; costituiva una voce di debito posta in relazione esclusiva alla condizione sospensiva costituita dall’esito vittorioso della causa in primo grado; lamenta che il Tribunale non abbia considerato questo dato e per questo abbia ritenuto fondata l’eccezione di compensazione con riguardo all’importo di Euro 5.000,00, così incorrendo nel vizio di omessa motivazione e di travisamento della prova.
3.1.Il motivo non può essere accolto.
L’avvocato non ha proposto in giudizio domanda volta a ottenere il ‘compenso minimo garantito’ di Euro 15.000,00 pattuito nella convenzione conclusa dalle parti: però, nel momento in cui i clienti hanno chiesto che si tenesse conto degli importi da loro già pagati e di cui alle fatture 15/2006, 30/2006 e 6/2007, per l’avvocato sono sorti l’interesse e l’onere di allegare che gli importi di cui a quelle fatture
erano già stati pagati in relazione al compenso minimo garantito e perciò di sostenere che la convenzione comportasse l’obbligo a carico dei clienti di pagare il compenso minimo garantito e, in aggiunta, l’importo previsto in caso di esito favorevole della causa relativo al compenso liquidato giudizialmente. In mancanza di tale deduzione sul contenuto dell’accordo intercorso tra le parti , il Tribunale non aveva motivo di esaminare il contenuto della convenzione e di ricercare nella convenzione il titolo di altri crediti del professionista, al pagamento dei quali imputare i pagamenti che i clienti sostenevano di avere eseguito; il Tribunale aveva soltanto l’obbligo di accertare -a fronte dell’eccezione dei clienti- se il credito di cui era chiesto il pagamento, e perciò quello riferito al compenso liquidato giudizialmente, fosse già stato pagato. Infatti, quando il debitore abbia dimostrato di avere corrisposto somme idonee a estinguere il debito per il quale sia stato convenuto in giudizio, spetta al creditore, che pretende di imputare il pagamento a estinzione di altro credito, provare le condizioni necessarie per la dedotta, diversa imputazione ai sensi dell’art. 1193 cod. civ. (Cass. Sez. 2 14-1-2020 n. 450 Rv. 656831-01, Cass. Sez. 2 27-7-2006 n. 17102 Rv. 59230301, Cass. Sez. 3 5-8-2002 n. 11703 Rv. 556649-01).
4 .Il terzo motivo è intitolato ‘ violazione o falsa applicazione di norme di diritto (error iuris) e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio: in relazione all’esigibilità del credito sub: a)provvisoria esecutività della Sentenza di primo grado; b)persistente operatività della ‘clausola di salvaguardia’; c)nozione di ‘incasso’ giuridicamente rilevante -art. 360 c.1 n. 3 e n. 5 c.p.c. e art. 111, comma 6 Cost.’; con il motivo il ricorrente lamenta che il Tribunale abbia ritenuto l’inesigibilità del credito relativo al 10% della somma liquidata in sentenza al momento del deposito del ricorso che aveva comportato l’emissione del decreto ingiuntivo n. 1944/2018 .
5 .Con il quarto motivo il ricorrente deduce ‘ violazione o falsa applicazione di norme di diritto (error iuris): art. 360 c.1 n. 3 c.p.c. in relazione alla sussistenza del patto di quota lite (art. 13 della Legge n. 247/2012)’; lamenta che l’ordinanza impugnata abbia ritenuto che il compenso a percentuale pari al ‘10% della somma liquidata dal Giudice a favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME‘ previsto nella convenzione conclusa dalle parti integrasse un patto di quota-lite, piuttosto che un legittimo palmario; evidenzia che, secondo le previsioni della tariffa forense all’epoca vigente, il compenso del difensore a carico del cliente poteva essere legittimamente correlato alla quota ereditaria in contestazione e che, nella fattispecie, la sentenza n. 2949/2014 del Tribunale di Bologna aveva determinato la quota dei fratelli COGNOME in Euro 261.391,60, per cui legittimamente il decreto ingiuntivo 1944/ 2018 aveva liquidato a favore dell’avvocato il 10% di quella quota, pari a Euro 26.139,16; quindi sostiene che la tesi del Tribunale, di ritenere non legittima la pattuizione, in quanto facente riferimento al ‘risultato giudiziario in s é ‘ , sia priva di significato e comporti erronea applicazione dell’art. 13 legge 247/2012 , perché nella fattispecie il valore dell’affare sul quale calcolare gli onorari corrispondeva al valore del supplemento di quota ereditaria in contestazione tra le parti. Aggiunge che, comunque, la pattuizione rientra nell’ipotesi di cui all’art. 13 co.3 legge 247/2012 e ha una natura autonoma e aggiuntiva rispetto al compenso liquidato giudizialmente, pure previsto dalla convenzione.
6. Con il quinto motivo il ricorrente deduce ‘ violazione o falsa applicazione di norme di diritto (error iuris): art. 360 c.1 n. 3 c.p.c. in relazione all’applicazione retroattiva del divieto del patto di quota lite’ e sostiene che, anche a ritenere l’esistenza di un patto di quota -lite, all’epoca della conclusione del contratto l’accordo era consentito dall’art. 2 co. 1 lett. a) d.l. 223/2006 e, anche per ipotesi a ritenere la
violazione del Codice deontologico, ciò non comportava la nullità del patto; lamenta che l’ordinanza impugnata abbia erroneamente ritenuto che il fatto generatore del diritto di credito, e cioè l’esito favorevole della causa di primo grado, abbia determina to l’esaurimento del rapporto e per questo abbia applicato il divieto del patto di quota lite alla fattispecie, erroneamente affermando l’applicabilità dell’art. 1339 cod. civ. alla convenzione del 6-10-2007; evidenzia che, in ipotesi di nullità derivante da ius superveniens, riferita a rapporto validamente instaurato, qualora si ritenga che la norma sopravvenuta sia di immediata applicazione ai rapporti pregressi, essa non può travolgere i diritti di natura sostanziale già insorti nel vigore della legge precedente. Dichiara che nella fattispecie il fatto generatore del diritto di credito azionato era il mandato sottoscritto il 6-10-2007 dai fratelli COGNOME all’avv. COGNOME per la difesa tecnica nella pratica di successione ereditaria e nel correlato accordo sul compenso e lamenta che l’ordinanza impugnata abbia attribuito valenza retroattiva al divieto del patto di quota lite.
7.La disamina del quarto e del quinto motivo di ricorso impongono di richiamare l ‘ evoluzione nel tempo della disciplina del patto di quota lite.
L’art. 2 co.1 lett. a) d.l. 4 -8-2006 n. 223 conv. con mod. dalla legge 4-8-2006 n. 248, nella formulazione vigente dal 4-7-2006 -fino all ‘ abrogazione espressa della lett. a) operata dall’art. 12 legge 21 aprile 2023 n. 49ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano, con riferimento alle attività liberoprofessionali e intellettuali, per quanto qui interessa, ‘ il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti’; nel contempo, l’art. 2 co.2 -bis d.l. 223/2006 conv. con mod. dalla legge 248/2006 ha sostituito l’art. 2233 co. 3 cod. civ., eliminandovi il riferimento al divieto del patto di quota lite, che era
espresso nel divieto per gli avvocati di stipulare ‘alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullità e dei danni ‘ . Dal 2-2-2013 è vigente l’art. 13 legge 31 dicembre 2012 n. 247, il cui comma 3 ammette la pattuizione dei compensi per l’avvocato anche ‘a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatari o della prestazione’ e il cui comma 4 vieta i patti con i quali l”avvocato percepisca in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa’ .
Secondo quanto già statuito dalla Suprema Corte (Cass. Sez. U 31-5-2025 n.14699 Rv. 674860-01, da pag. 6, Cass. Sez. 2 29-1-2025 n. 2135 Rv. 673611-01, Cass. Sez. 2 4-9-2024 n. 23738 Rv. 67218301), il patto ammesso è quello in cui la percentuale è stata convenuta in rapporto al valore dei beni o degli interessi litigiosi, mentre il divieto negoziale scatta se la percentuale è stabilita rispetto al risultato della lite. In tal senso si coglie la giustificazione del divieto, volto a enfatizzare il distacco del legale dagli esiti della lite, così da evitare la commistione di interessi tra il cliente e l’avvocato che si avrebbe qualora il compenso fosse collegato, in tutto o in parte, al risultato della controversia, con il rischio della trasformazione del rapporto professionale da rapporto di scambio a rapporto associativo. L’esigenza è quella di tutelare , al tempo stesso, l’interesse del cliente e la dignità della professione forense, che risulterebbe vulnerata ogni volta che, nella pattuizione del compenso, fosse ravvisabile la partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione richiestagli. E tanto rileva non solo nell’ipotesi in cui il compenso sia commisurato a una parte dei beni o crediti litigiosi, ma anche quando tale compenso sia stato convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta .
Inoltre, a lla luce dell’orientamento della Suprema Corte , il compenso supplementare è legittimamente riconosciuto all’avvocato sulla base del cosiddetto palmario, quale componente aggiuntiva del compenso con connotazione premiante, riconosciuta dal cliente all’avvocato in caso di esito favorevole della lite, a titolo di premio o di compenso straordinario per l’importanza e la difficoltà della prestazione professionale e non collegato in modo totale o prevalente all’esito della lite (Cass. 23738/2024 già citata, in motivazione, pag. 7, Cass. Sez. U 8-6-2023 n. 16252 Rv. 668074-01, Cass. Sez. 2 26-4-2012 n. 6519 Rv. 622099).
Con riguardo alla disciplina del periodo intermedio intercorrente tra la riforma di cui al d.l. 223/2006 e la legge 247/2012, le Sezioni Unite con la Sentenza n. 25012 del 25-11-2014 (Rv. 633112-01) hanno evidenziato come il legislatore del 2006, nel disporre con l’art. 2 d.l. 223/2006 conv. in legge 248/2006 l’abolizione del divieto di quota lite previsto dal terzo comma dell’art. 2233 cod. civ. e nell’ammettere pattuizioni in forza scritta di compensi parametrati al raggiungimento degli obbiettivi, abbia previsto la necessità di adeguare le norme deontologiche alle nuove regole; l’art. 45 del codice deontologico forense nel testo modificato alla riforma del 2006 consente all’avvocato di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi, alla condizione ‘che i compensi siano proporzionati all’attività svolta’; quindi, la possibilità di pattuire tariffe speculative si è accompagnata all’introduzione di particolari cautele sul piano deontologico , tese a prevenire il rischio di abusi a danno del cliente e a precludere la conclusione di accordi iniqui. Come evidenziato dalle Sezioni Unite, l’aleatorietà dell’accor do quotalizio non esclude la possibilità di valutarne l’equità: se, cioè, la stima effettuata dalle parti era, all’epoca della conclusione dell’accordo che legava compenso e risultato, ragionevole o, al contrario, sproporzionata per eccesso rispetto alla
tariffa di mercato, tenuto conto di tutti i fattori rilevanti, in particolare del valore e della complessità della lite e della natura del servizio professionale, comprensivo dell’assunzione del rischio (nello stesso senso, Cass. Sez. U 4-3-2021 n. 6002 Rv. 660834-02). Nel solco delle Sezioni Unite, Cass. Sez. 2 5-10-2022 n. 28914 (Rv. 665963-01) ha dichiarato che il controllo di ragionevolezza del patto di quota lite, teso a scongiurare l’iniquità dell’accordo concluso, non è limitato al rispetto dei dover i di comportamento dell’avvocato, ma guarda allo squilibrio significativo tra i diritti e gli obblighi delle parti e alla giustificazione dei reciproci spostamenti patrimoniali e, dunque, alla verifica in concreto del requisito causale, sotto il profilo della liceità e dell’adeguatezza dell’ assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dai contraenti. Come pure evidenziato da Cass. 28914/2022, il sindacato giudiziale sull’adeguatezza e sulla proporzionalità della misura del compenso ri spetto all’opera prestata trova fondamento nell’art. 2233 co. 2 cod. civ. e nell’art. 45 del codice deontologico; l’indagine è portata sulla causa concreta del contratto e sull’equilibrio sinallagmatico -non meramente economico- delle prestazioni, ovvero sullo scopo pratico del regolamento negoziale e ha come approdo eventuale la nullità del patto di quota lite ex art. 1418 co. 2 cod. civ., che non concerne l’intero contratto di patrocinio, ma solo la clausola relativa ai sensi dell’art. 1419 co. 2 cod. civ. Infatti, la nullità del patto di quota lite non pregiudica in nessun caso il rapporto di patrocinio e di conseguenza l’avvocato conserva il diritto al compenso per le sue prestazioni sulla base delle tariffe professionali (Cass. 2135/2025, già citata, e precedenti ivi richiamati).
In questo modo, la Cassazione ha già implicitamente risolto anche la questione relativa alla validità del patto di quota lite stipulato nel periodo intermedio, nel caso in cui l’attività professionale sia stata svolta anche nel momento in cui era stato reintrodotto il divieto del
patto di quota o comunque nel caso in cui a quell’epoca si sia verificato l’esito positivo del giudizio. Al fine di valutare la validità dell’accordo quotalizio nei termini enunciati, rileva esclusivamente il dato che il contratto di patrocinio sia stato concluso nel periodo in cui il patto di quota lite era consentito; erroneamente l’ordinanza impugnata ha valorizzato il dato che il rapporto professionale si fosse protratto nel tempo, perché è il contratto di patrocinio a costituire il titolo in forza del quale il professionista ha svolto l’attività professionale e può vantare il relativo compenso nell’entità pattuita , per cui ciò che rileva è che l’accordo relativo al patto di quota lite fosse lecito nel momento nel quale è stato concluso il contratto di patrocinio. Si deve applicare il principio secondo il quale le disposizioni che prevedono nullità di clausole negoziali quale è l’art. 13 legge 247/2012 laddove ha nuovamente introdotto il divieto del patto di quota lite- non sono retroattive e tale irretroattività opera anche ai fini della previsione della sostituzione della clausola nulla con la disciplina legale; in tal senso hanno statuito, per tutte, Cass. Sez. 1 31-12-2019 n. 34740 Rv. 656441-01, Cass. Sez. 3 5-5-2016 n. 8945 Rv. 639941-01, Cass. Sez. 1 21-12-2005 n. 28302 Rv. 585489-01, con riguardo alle norme che prevedono la nullità delle clausole negoziali che determinano gli interessi con rinvio agli usi e la nullità delle clausole relative a interessi usurari, sicché tali norme non influiscono sulla validità delle clausole dei contratti conclusi prima della loro entrata in vigore.
8.Procedendo a esaminare i motivi di ricorso sulla base dei principi esposti, in primo luogo risulta infondato il quarto motivo, in quanto la pronuncia impugnata, laddove ha escluso che il compenso di cui si discute costituisse legittimo palmario si sottrae a tutte le critiche del ricorrente. Infatti, nella fattispecie il compenso è stato parametrato dalle parti, in caso di esito favorevole della causa di primo grado, in una percentuale ‘pari al 10% della somma liquidata dal Giudice’ , oltre
al compenso liquidato giudizialmente. Come evidenziato dall’ordinanza impugnata, diversamente da quanto dedotto dal ricorrente e ritenuto dal Pubblico Ministero, il compenso non era parametrato al valore presunto della controversia, determinabile in via approssimativa già al momento del conferimento dell’incarico, ma era parametrato soltanto al risultato raggiunto all’esito del giudizio ; infatti, l’importo variava con esclusivo riferimento ai benefici ottenuti dai clienti in conseguenza dell’esito favorevol e della lite, senza alcuna connotazione premiale riferita all’importanza dell’attività o alla particolare gravosità dell’impegno ; neppure il dato che tale compenso si aggiungesse all’importo liquidato giudizialmente valeva ad attribuirgli una qualche connotazione premiale necessaria al fine di qualificare l’importo nel concetto di palmario.
9 .E’ invece fondato il quinto motivo di ricorso, in quanto l’ordinanza, nel ritenere la nullità del patto di quota lite in ragione del fatto che, al momento del sorgere del diritto al compenso per essersi verificata la condizione dell’esito positivo della l ite era entrato in vigore l’art. 13 legge 247/2013 , ha erroneamente applicato retroattivamente l’art. 13 medesimo. Diversamente, il Tribunale avrebbe dovuto considerare -e perciò il giudice del rinvio applicherà tale principio- che il patto di quota lite, in quanto stipulato dopo la riformulazione dell’art. 2233 cod. civ. operata dal d.l. 223/2006 conv. con mod. dalla legge 248/2006 e prima dell’entrata in vigore dell’art. 13 legge 247/2012 è valido, a meno che, valutato sotto il profilo causale e sotto il profilo dell’equità, alla stregua della regola integrativa di cui all’art. 45 del codice deontologico forense nel testo deliberato il 18-1-2007, il rapporto tra il compenso pattuito e il risultato conseguito, stabilito dalle par ti all’epoca della conclusione del contratto, risulti sproporzionato per eccesso rispetto alla tariffa di mercato.
10. L’accoglimento del quinto motivo comporta l’assorbimento del terzo motivo di ricorso, in quanto la questione dell’esigibilità del credito di cui al patto di quota lite dovrà essere esaminata soltanto nel caso in cui sia accertata la validità del patto sulla base dei principi esposti; quindi, allo stato le questioni poste dal motivo non hanno valenza decisoria, potranno essere riproposte al giudice del rinvio ed esaminate in quella sede.
11 .L’ordinanza impugnata è cassata limitatamente al motivo accolto, con rinvio al Tribunale di Bologna in diversa composizione, che farà applicazione dei principi esposti e si atterrà a quanto sopra ritenuto, regolamentando anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigetta il primo, il secondo e il quarto motivo, assorbito il terzo;
cassa l’ordinanza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Bologna in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione il giorno 11-9-2025
Consigliere estensore Presidente
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