Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9359 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9359 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22161/2023 R.G. proposto da : NOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
avverso l’ ORDINANZA del TRIBUNALE di FORLÌ n. 538/2021 depositata il 27/07/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
1.NOME COGNOME ha incaricato l’avvocato NOME COGNOME di difenderla in una controversia civile.
L’accordo era nel senso che, ove la controversia avesse avuto esito positivo, il difensore avrebbe avuto diritto al 40% della somma ottenuta dalla COGNOME. Viceversa, in caso di esito negativo, il difensore non avrebbe avuto diritto ad alcunché.
Inoltre, era precisato che, parimenti, il difensore non avrebbe avuto diritto in caso di recesso della cliente per una qualche giusta causa.
2.- La causa è andata persa, ma, nonostante ciò, il difensore ha agito in giudizio per ottenere il pagamento del compenso, e lo ha fatto sul presupposto che il patto di quota lite era nullo e che, dunque, si dovevano applicare le normali tariffe forensi.
3.- Il Tribunale di Forlì ha accolto la domanda: ha ritenuto che quell’accordo costituisse un patto di quota lite, vietato dalla legge, con la conseguenza che al suo posto dovevano applicarsi le regole sul compenso del difensore.
4.- Questa tesi è impugnata dalla COGNOME con due motivi di ricorso illustrati da memoria, di cui chiede il rigetto l’avv. COGNOME con controricorso e memoria.
Il PG ha depositato conclusioni scritte in cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo si prospetta violazione degli articoli 2233 e 1339 c.c. e della legge 247 del 2012.
Secondo la ricorrente non si è trattato di un patto di quota lite vietato. Ciò in quanto le due clausole hanno portata autonoma: la prima commisura il compenso del difensore al 40% del risultato; la seconda invece prevede che alcun compenso è dovuto in caso di mancanza di risultato.
Quest’ultima va intesa come una rinuncia preventiva del difensore al corrispettivo. Mentre l’altra come un patto con cui si concorda una percentuale di esso.
Dunque, leggendo le due clausole come autonome, esse non costituiscono un patto di quota lite, che è il patto con cui si lega il compenso al risultato, ma costituiscono due diverse distinte previsioni: la prima commisura il compenso alla somma, ed è lecito farlo, la seconda è una rinuncia del difensore al compenso in caso di sconfitta. Due ipotesi dunque alternative ma distinte.
Poiché si è verificata la seconda, vale allora la rinuncia al compenso.
Comunque, secondo la ricorrente, la nullità del patto di quota lite è parziale e non inficia il contratto.
Il motivo è infondato.
Le due clausole sono parte di un unico accordo, come è evidente, hanno cioè un’unica funzione: quella di regolare il compenso del difensore. E ad un’unica funzione corrisponde un unico atto.
Non si può dire che si tratta di due distinti atti, l’uno che prevede la misura del compenso e l’altro la rinuncia al medesimo.
Piuttosto, si tratta di due ipotesi alternative del medesimo effetto: se si vince, il compenso è il 40%, se si perde il compenso non è dovuto. L’una ipotesi dipende dall’altra, e non può pertanto costituire patto a sé stante.
Le due clausole dunque, lette insieme, compongono un patto con il quale si lega il compenso al risultato: se si vince spetta una percentuale, se si perde non spetta alcunché.
Ovviamente, la nullità, pacifica, del patto di quota lite è nullità parziale ossia non inficia l’intero contratto (Cass. 20069/ 2018), che resta valido e che dunque è integrato, quanto alla parte elisa dalla nullità, ossia quanto al compenso, dalle regole generali.
In pratica, il motivo è manifestamente privo di fondamento, dato che giustamente il tribunale ha ritenuto che la clausola di rinuncia nel caso di esito infausto è un patto di quota lite, che la legge non vuole a tutela del decorso del lavoro del difensore. Assodato questo, è privo di fondamento l’assunto del motivo, che, senza farsi carico di ciò, cioè dell’intrinseca nullità della clausola di rinuncia preventiva, vorrebbe non considerarla nulla, perché nulla sarebbe solo la clausola sulla percentuale.
2.- Con il secondo motivo si prospetta omesso esame di un fatto controverso e decisivo. Nel patto con il difensore era previsto che costui non avesse diritto al compenso ove la cliente avesse receduto dal mandato per giusta causa.
Questa ipotesi, secondo la ricorrente, si sarebbe verificata.
Ossia: la cliente, appena saputo che il patto di quota lite era nullo, e lo stesso difensore glielo aveva comunicato, ha deciso di revocare il mandato, e lo ha fatto per giusta causa, dal momento che il difensore l’aveva convinta a stipulare un patto che egli stesso sapeva essere nullo, sin dall’inizio.
Il motivo è infondato.
Il Tribunale infatti non ha omesso, ma ha deciso anzi la questione, assumendo che non poteva parlarsi di recesso per giusta causa, poiché tale recesso si era verificato solo dopo che il risultato, cui era vincolato il compenso, era occorso: <>>(p. 6).
L’asserzione è altresì fondata, poiché l’accordo presupponeva un recesso per giusta causa prima che la funzione stessa dell’accordo si esaurisse. Ossia non spetta alcunché al difensore per comportamenti anteriori al risultato e che abbiano giustificato il recesso del cliente. Non per comportamenti successivi agli effetti del patto, ossia al risultato cui il patto era vincolato.
Il Collegio condivide, in sostanza quanto ha correttamente osservato il P.G. nei termini seguenti: <>.
Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 1550,00 euro, oltre 200,00 euro per esborsi, ed oltre spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 17/02/2025.