Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21996 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 21996 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
SENTENZA
sul ricorso 23789-2022 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 556/2022 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 12/07/2022 R.G.N. 46/2022;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/07/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Oggetto
R.G.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 04/07/2024
PU
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale AVV_NOTAIO NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME; udito l’avvocato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza di primo grado, di rigetto della domanda di NOME COGNOME intesa all’accertamento della nullità/inesistenza del patto di prova apposto al contratto stipulato con RAGIONE_SOCIALE e, per l’effetto, all’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e della nullità e/o, illegittimità del licenziamento intimato in data 10 aprile 2020, per violazione della norma imperativa di cui all’art. 46 d.l. n. 18/2020 convertito in l. n. 27/2020, con condanna alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento ed alla regolarizzazione retributiva.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2096 c.c. censurando la sentenza di appello in punto di valutazione di specificità del patto di prova apposto al contratto inter partes , patto che asserisce privo della specifica indicazione delle mansioni oggetto dell’esperimento della prova e della indicazione della
declaratoria del contratto collettivo applicato. In questa prospettiva assume la inidoneità a sorreggere la decisione della valutazione del giudice di appello incentrata sul fatto che le mansioni e l’attività di adibizione erano comunque conoscibili dal lavoratore in ragione della sua pregressa esperienza lavorativa.
Con il secondo motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 421 c.p.c. censurando la sentenza di appello per avere ritenuto legittima la esplicazione dei poteri istruttorii di ufficio da parte del primo giudice in relazione all’acquisizione del testo del contratto collettivo, non prodotto dalle parti. Argomenta, quindi, sulla nullità del recesso in quanto intimato in violazione della disciplina emergenziale in tema di ‘ blocco dei licenziamenti’ dettata dall’art. 46 d.l. n. 18/2020 conv. in l. n. 27/2020.
3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
3.1. La Corte di merito ha condiviso la valutazione di prime cure in ordine al fatto che la descrizione delle mansioni di espletamento contenuta nella lettera di assunzione fosse specifica e qualificatoria dell’attività che in concreto il COGNOME avrebbe dovuto svolgere ed in quanto tale idonea a consentire al lavoratore assunto di identificare l’ambito di afferenza del patto di prova. In particolare ha osservato che la mansione affidata di ‘Area Manager Europe’ risultava all’evidenza inerente un lavoro di tipo intellettuale e non meramente esecutivo e che essa era chiaramente indicativa di un unico profilo ben individuabile sulla base delle esplicitazioni contenute nel contratto, che identificavano, da un lato, la mansione in quella di Area Manager Europe <> e anche l’ambito territoriale di riferimento e, dall’altro, specificavano il settore
di afferenza identificato come la Direzione RAGIONE_SOCIALE; inoltre, il contratto conteneva la identificazione del contratto collettivo applicabile con rinvio diretto a questo ed alla relativa normazione per ulteriore e più mirata qualificazione. Ha evidenziato che le previsioni contrattuali si specificavano ulteriormente in ragione della individuazione del settore tecnico ove l’appellante era chiamato ad operare e dell’ambito di attività della società quale risultante dall’oggetto sociale. Ha quindi valorizzato la circostanza che nel curriculum vitae redatto dal COGNOME quest’ultimo aveva utilizzato descrizioni di fatto convergenti rispetto a quelle utilizzate nella lettera di incarico dalle quali si evinceva che le espressioni utilizzate nelle lettere di assunzione erano categorie identificative normalmente condivise ed utilizzate per individuare in specifico figure professionali ben note ed identificabili .
3.2. Tanto premesso, rileva il Collegio che la valutazione di specificità del patto di prova è stata ancorata a parametri corretti in quanto conformi alla giurisprudenza di legittimità, sia con riferimento alla non necessità di descrizione in dettaglio delle singole mansioni in presenza di svolgimento di attività di contenuto intellettuale, quale quella in oggetto (Cass. n. 17591 del 2014), sia con riferimento alla possibilità di rinvio per relationem al contratto collettivo applicabile (Cass. n. 9597 del 2017, Cass. n. 11722 del 2009), sia con riferimento, ai fini dell’interpretazione del contratto, all’utilizzo di elementi extratestuali ricavabili dalla condotta delle parti, quali il pregresso bagaglio lavorativo esplicitato nel curriculum, ritenuto consentito (Cass. n. 553/2022, Cass. n. 24560/2016, Cass. n. 16181/2017).
3.3. Non è vero quindi che la valutazione di specificità è stata fondata sulla conoscibilità per così dire ‘soggettiva’ da
parte del dipendente delle mansioni di futura adibizione, come effettivamente non consentito; invero, la Corte di merito è pervenuta alla conclusione contestata dall’odierno ricorrente in primo luogo sulla base del contenuto oggettivo della clausola di apposizione del termine, ritenuto intrinsecamente idoneo, anche in ragione del rinvio per relationem al contratto collettivo, ad identificare i compiti di adibizione del COGNOME e quindi l’ambito dell’esperimento della prova.
3.4. Tale valutazione non è validamente incrinata dalle censure formulate con il motivo in esame; in particolare risulta dirimente la considerazione che, in violazione della prescrizione di cui all’art. 366, comma 1 n. 6 , c.p.c. nel corpo del ricorso per cassazione non risulta trascritto o comunque esposto per riassunto il contenuto delle declaratorie relative al profilo interessato di cui al contratto collettivo applicabile, adempimento indispensabile onde consentire al giudice di legittimità, sulla base del solo esame dell’atto di impugnazione, come prescritto (Cass., n. 12761/2004, Cass. Sez. Un. n. 2602/2003, Cass. n. 4743/2001), la verifica della idoneità della declaratoria collettiva, in una con l’indicazione delle mansioni di ‘Area Manager Europe’ contenuta nel contratto individuale, a conferire specificità al patto di prova in ordine alle mansioni di adibizione. Parte ricorrente si limita, infatti, in termini apodittici, ad affermare che non è dato rinvenire nel contratto collettivo alcun elemento utile per la determinazione delle mansioni oggetto della prova ma non dimostra attraverso la illustrazione della scala classificatoria adottata dalle parti collettive e delle relative declaratorie la fondatezza di tale assunto.
3.4. Quanto ora osservato assorbe il rilievo di improcedibilità del motivo derivante ai sensi dell’art. 369, comma 2 n. 4 c.p.c. dal mancato deposito insieme al ricorso per cassazione del contratto collettivo alla base delle censure.
Il secondo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile.
4.1. Il motivo, presenta innanzitutto un profilo di genericità nella parte in cui censura il giudice di appello per avere ritenuto corretta l’acquisizione d’ufficio da parte del primo giudice del contratto collettivo applicabile, al quale entrambe le parti avevano fatto riferimento; invero parte ricorrente non si confronta in maniera argomentata con l’affermazione della sentenza impugnata la quale aveva escluso il verificarsi di decadenze a carico della società. Tale affermazione risulta peraltro coerente con la giurisprudenza di legittimità la quale ha precisato che l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi è imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, unicamente per il giudizio di cassazione ai sensi dell’art. 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. (v. Cass. n. 4350 del 2015; n. 6255 del 2019) e detto onere può dirsi soddisfatto solo dalla produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c. c. (v. anche Cass. n. 10434 del 2006; n. 14461 del 2006; n. 8037 del 2007; n. 3027 del 2009; n. 16295 del 2010 in motivazione); al contrario, nel giudizio di merito, ove si ritenga indispensabile l’acquisizione del testo integrale del contratto collettivo, il giudice può utilizzare i poteri istruttori d’ufficio (così Cass. n. 14527 del 2021 in motivazione).
4.2. In base alle considerazioni che precedono non vi è quindi spazio per la concreta applicazione della invocata
disciplina in tema di ‘ blocco ‘ dei licenziamenti che ex art. 46 d.l. cit .concerne oltre che i licenziamento collettivi le sole ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
All’inammissibilità del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite e la condanna di parte ricorrente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 3.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 4 luglio