Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6230 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 6230 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12223-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 203/2023 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 12/04/2023 R.G.N. 457/2022;
Oggetto
PATTO DI PROVA
R.G.N. 12223/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 04/02/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Bologna, confermando il provvedimento del giudice di primo grado, ha accolto le domande proposte da NOME COGNOME nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE ed ha accertato la nullità del patto di prova (per difetto della forma scritta contestuale o anteriore all’instaurazione del rapporto di lavoro), l’illegittimità del licenziamento intimato il 14.10.2020 ed ha condannato la società al pagamento di sei mensilità dell’ultima retribuzione, ol tre accessori, ai sensi dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015.
Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. La lavoratrice ha resistito con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la Corte territoriale accertato la natura subordinata della collaborazione svolta dalla lavoratrice con la società nel periodo precedente la stipulazione del patto di prova (periodo aprileagosto2020) nonostante non fosse formulata alcuna domanda in tal senso nel ricorso introduttivo del giudizio.
Con il secondo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 3, c.p.c. violazione dell’art. 2094 c.c. avendo, la Corte territoriale, conferito rilievo, ai fini di accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro instaurato tra aprile e agosto 2020, ad elementi compatibili anche con il lavoro
autonomo; in specie, la Corte territoriale ha valorizzato elementi quali ‘presenza e conoscenza’ della lavoratrice in azienda, ‘pluralità di piani’ su cui la stessa era impegnata, ‘assegnazione di auto aziendale’, circostanze fumose e ininfluenti, senza ac certare l’inserimento in organico, la continuità dell’impegno (visto che intratteneva, contemporaneamente, un rapporto di lavoro a tempo pieno con altra società), la sottoposizione alle direttive dei superiori e al rispetto di un orario di lavoro.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. violazione dell’art. 115 c.p.c. essendo, la Corte territoriale, caduta in errore di percezione delle deposizioni testimoniali di COGNOME e COGNOME i quali non hanno mai dichiarato che la lavoratrice prendesse ordini e direttive dal personale della società o fosse sottoposta al controllo di questi.
Con il quarto motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. violazione dell’art. 2096 c.c. avendo, la Corte territoriale, omesso di verificare se le attività svolte dalla lavoratrice prima della formale stipulazione del patto di prova fossero riconducibili a quelle (livello Quadro, Responsabile supervisore visual dei negozi RAGIONE_SOCIALE) oggetto del patto; né indica la motivazione per cui la prova doveva ritenersi superata.
Il primo ed il quarto motivo di ricorso, che attengono al periodo precedente la stipulazione del contratto di lavoro subordinato, non sono fondati.
5.1. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che la causa del patto di prova è quella di tutelare l’interesse di entrambe le parti del rapporto a sperimentarne la convenienza, sicché detta causa risulta insussistente ove la verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le medesime
mansioni, in virtù di prestazione resa dal lavoratore, per un congruo lasso di tempo, a favore dello stesso datore di lavoro (in tal senso fra le più recenti Cass. n. 17921 del 2016; Cass. nn. 4466, 6001 e 15059 del 2015). È stato anche precisato che il principio è applicabile ogniqualvolta il prestatore venga chiamato a svolgere la medesima attività, senza che rilevino la natura e la qualificazione dei contratti stipulati in successione (Cass. n. 15960 del 2005; Cass. n. 17921 del 2016 con riguardo ad un precedente contratto a progetto) nonché la diversa denominazione delle mansioni (Cass. 1°.9.2015 n. 17371) e senza che in sede di legittimità possa essere censurato l’accertamento di eguaglianza effettiva delle mansioni, in quanto riservato “al sovrano apprezzamento del giudice di merito” (Cass. n. 17371 del 2015 e Cass. 6001 del 2015).
5.2. Considerato che la causa dell’apposizione di un patto di prova consiste nella sperimentazione reciproca alla convenienza del rapporto di lavoro prima che lo stesso divenga definitivo, questa Corte ha affermato che se tra le stesse parti si è svolto un precedente rapporto di lavoro con le stesse mansioni e il patto di prova viene stipulato in momento di poco successivo all’estinzione del precedente rapporto, il patto è illegittimo (Cass. n. 8579 del 2004; Cass. n. 138 del 2008; Cass. 6001 e 22286 del 2015).
5.3. La sentenza impugnata è conforme ai principi di diritto sopra richiamati, dei quali ha fatto corretta applicazione, evidenziando che l’attività in concreto svolta nel periodo precedente la stipulazione del patto di prova era del tutto sovrapponibile a quella oggetto del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato stipulato nell’agosto 2020, non essendo -come evidenziato -determinante la natura del rapporto di lavoro svolto prima della stipulazione del patto di
prova e la riconducibilità alla qualifica successivamente assegnata.
Il secondo ed il terzo motivo, che concernono l’accertamento della natura subordinata del rapporto precedente la stipulazione del patto di prova, sono inammissibili.
6.1. Tutti i motivi, formulati o come violazione o falsa applicazione di legge o come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio o come errore di percezione, mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità.
6.2. Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
Deve osservarsi, inoltre, che per questa Corte, a sezioni unite (Cass. Sez. U., 5792 del 2024), il travisamento del contenuto oggettivo della prova, ” il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto
probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, numeri 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale “. Si è chiarito, dunque, che l’affermazione per cui, se l’errore è frutto di un omessa percezione del fatto, essa è censurabile ex articolo 360, primo comma, n. 5, c.p.c., se si riferisca a fatti sostanziali, ovvero ex articolo 360, primo comma, n. 4, c.p.c., ove si tratti di omesso esame di fatti processuali, ” va estesa al caso in cui il giudice di merito abbia supposto un non-fatto, un fatto la cui verità era incontestabilmente esclusa, oppure l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, con la finale precisazione che un simile errore, che si è detto essere complessivo, è pur sempre omissivo dall’angolo visuale del risultato che determina nel giudizio “.
7.1. ll ricorrente censura la valutazione, da parte del giudice, del contenuto della prova testimoniale, vizio che non integra -come innanzi esposto -una svista riguardante il fatto probatorio e non configura, dunque, un travisamento del contenuto oggettivo della prova.
In conclusione, il ricorso va respinto e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ. La domanda di condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c. va respinta, non essendo emersa la concreta presenza di malafede o colpa grave della parte soccombente (cfr. sui requisiti necessari per configurare detta responsabilità, da ultimo, Cass. n. 19948 del 2023).
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 febbraio