LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Patto di prova: la firma del datore è essenziale

La Cassazione ha stabilito che un patto di prova è nullo se non sottoscritto da entrambe le parti prima dell’inizio del rapporto. La produzione in giudizio del contratto firmato dal datore non sana il vizio originario. Di conseguenza, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato fin dall’inizio, escludendo la libera recedibilità del datore di lavoro.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Patto di Prova: Quando la Mancata Firma del Datore Rende Nullo il Periodo di Prova

Il patto di prova rappresenta una fase delicata e fondamentale all’inizio di ogni rapporto di lavoro. Tuttavia, la sua validità è subordinata a requisiti formali stringenti, la cui violazione può avere conseguenze significative. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: la necessità della sottoscrizione di entrambe le parti, datore e lavoratore, prima dell’inizio dell’esecuzione del contratto. L’assenza della firma datoriale non è sanabile a posteriori, trasformando di fatto il rapporto in un contratto a tempo indeterminato sin dal primo giorno.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato riguarda un lavoratore che, dopo essere stato assunto da una prima società e poi licenziato, si rivolge al Tribunale sostenendo che il licenziamento fosse illegittimo. A suo dire, il vero datore di lavoro era un’altra società per cui aveva sempre operato, mentre la prima era solo un datore di lavoro formale.

Il Tribunale inizialmente accoglie la sua tesi. Tuttavia, la Corte d’Appello ribalta la decisione, ritenendo che il primo rapporto di lavoro si fosse validamente concluso durante il periodo di prova. Secondo i giudici di secondo grado, la risoluzione era avvenuta per volontà del datore di lavoro, che in questa fase gode di libera recedibilità.

Il lavoratore, non soddisfatto, ricorre in Cassazione, sollevando una questione fondamentale: il patto di prova non era mai stato validamente stipulato, poiché mancava la sottoscrizione della società datrice di lavoro sul documento contrattuale.

La Decisione della Corte di Cassazione e la validità del patto di prova

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza d’appello e chiarendo in modo definitivo la disciplina applicabile al patto di prova.

I giudici hanno riaffermato che, ai sensi dell’art. 2096 c.c., la forma scritta per il patto di assunzione in prova è richiesta ad substantiam, ovvero come condizione essenziale per la sua stessa esistenza e validità. Questo requisito di forma deve essere soddisfatto sin dall’inizio del rapporto di lavoro, senza possibilità di sanatorie successive.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra la sottoscrizione contestuale e la successiva documentazione. La Corte ha spiegato che, sebbene sia ammissibile che le firme delle parti non siano apposte nello stesso momento, è indispensabile che entrambe le sottoscrizioni esistano prima che il contratto abbia inizio.

L’elemento decisivo è che la successiva produzione in giudizio del contratto, anche se firmato dal datore di lavoro, non può ‘guarire’ la nullità originaria. Tale produzione documentale ha efficacia ex nunc (da quel momento in poi) e non può retroagire per validare un patto che era nullo al momento dell’inizio della prestazione lavorativa.

La mancanza della firma del datore di lavoro all’inizio del rapporto comporta la nullità assoluta del patto di prova. Di conseguenza, il rapporto di lavoro deve considerarsi fin da subito come un normale contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Questo esclude categoricamente la facoltà di recesso ad nutum (libero e immotivato) che il datore di lavoro avrebbe potuto esercitare durante un valido periodo di prova. Il licenziamento, pertanto, non poteva basarsi sulla libera recedibilità tipica della prova.

Le Conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione offre un importante monito per i datori di lavoro sulla necessità di una gestione formalmente impeccabile dei contratti di assunzione. La validità del patto di prova dipende dalla sua forma scritta e dalla sottoscrizione di entrambe le parti prima dell’inizio della prestazione. Qualsiasi negligenza su questo punto espone l’azienda al rischio di vedere il rapporto di lavoro considerato a tempo indeterminato fin dal principio, con tutte le tutele e le conseguenze che ne derivano in caso di recesso. Per i lavoratori, questa sentenza rappresenta una conferma della tutela offerta dalla legge contro prassi potenzialmente abusive, garantendo che i requisiti formali posti a loro protezione vengano rispettati rigorosamente.

Per essere valido, quando deve essere firmato il patto di prova?
Il patto di prova deve essere sottoscritto sia dal lavoratore che dal datore di lavoro prima dell’inizio dell’esecuzione del contratto di lavoro. L’assenza di una delle due firme prima di tale momento ne causa la nullità.

Se il datore di lavoro firma il contratto solo in un secondo momento e lo produce in giudizio, il patto di prova diventa valido?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la produzione in giudizio del documento firmato dal datore di lavoro non sana la nullità originaria. Questo atto ha efficacia solo dal momento in cui avviene (ex nunc) e non può rendere valido retroattivamente un patto che era nullo all’inizio del rapporto.

Cosa succede se un patto di prova viene dichiarato nullo?
Se il patto di prova è nullo, il rapporto di lavoro si considera costituito fin dall’inizio come un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Di conseguenza, il datore di lavoro perde la facoltà di recedere liberamente (ad nutum) e il licenziamento dovrà essere supportato da una giusta causa o da un giustificato motivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati