Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8849 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8849 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12316/2023 r.g., proposto da
COGNOME NOME , elett. dom.to in presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore.
intimata
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catania n. 317/2023 pubblicata in data 31/03/2023, n.r.g. 133/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 18/02/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME era stato dipendente di RAGIONE_SOCIALE fino al 31/05/2016, quando era stato licenziato per giustificato motivo oggettivo.
Adìva il Tribunale di Catania, deducendo la nullità e comunque l’inefficacia del recesso datoriale in quanto proveniente a non domino , atteso che egli era stato assunto ed aveva sempre lavorato per RAGIONE_SOCIALE, mentre la RAGIONE_SOCIALE era stata soltanto la formale datrice di lavoro.
OGGETTO:
patto di prova -forma scritta ad substantiam -produzione in giudizio -equipollenza – efficacia ex nunc – conseguenze
2.- Costituitosi il contraddittorio, la società eccepiva che il rapporto di lavoro si era risolto per dimissioni del lavoratore nel dicembre 2014.
3.All’esito della fase c.d. sommaria il Tribunale dichiarava inefficace il licenziamento e ordinava a RAGIONE_SOCIALE di reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro e di corrispondergli un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal licenziamento all’effettiva reintegrazione, ritenendo che le asserite dimissioni fossero in realtà un foglio firmato in bianco dal lavoratore ed abusivamente riempito dalla datrice di lavoro.
All’esito dell’opposizione della società, con sentenza il Tribunale sostanzialmente confermava la sua precedente ordinanza, aggiungendo che in ogni caso le asserite dimissioni, a prescindere dal riempimento, erano comunque inefficaci in quanto rese nel mancato rispetto delle formalità di cui all’art. 4 L. n. 92/2012 ratione temporis applicabile. Dava poi atto che il lavoratore, con atto del 26/06/2019, aveva optato per l’indennità sostitutiva della reintegrazione, pari a quindici mensilità, sicché modificava l’ordinanza escludendo la reintegrazione e limitando la condanna al pagamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento fino all’opzione, detratto quanto percepito aliunde dal lavoratore a titolo di reddito da lavoro.
4.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello accoglieva il gravame interposto dalla società, rigettava le domande proposte da COGNOME NOME e lo condannava al rimborso delle spese dei due gradi di giudizio.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
dai documenti prodotti in giudizio si evince che COGNOME NOME era stato assunto in data 20/11/2014 da RAGIONE_SOCIALE con mansioni di saldatore e poi, in data 09/12/2014, era stato assunto da RAGIONE_SOCIALE con le medesime mansioni;
soltanto nel periodo 01-30/04/2015 era stato distaccato presso un cantiere di RAGIONE_SOCIALE, mentre per il resto il rapporto di lavoro si era svolto per RAGIONE_SOCIALE
entrambe le società facevano parte del medesimo gruppo societario, ma il Tribunale, nella fase sommaria, ha escluso che costituissero un
unico centro di imputazione di interessi e tale deduzione non è stata riproposta dal lavoratore in questo grado;
in realtà il primo rapporto di lavoro si era risolto prima che iniziasse quello alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE come si evince dalla comunicazione obbligatoria UNILAV sulla quale è riportata la data di cessazione del rapporto di lavoro (05/12/2014) e la causale (dimissioni), e dalla busta paga di dicembre 2014, sulla quale è indicata la data di cessazione del rapporto a 05/12/2014 e sono liquidate tutte le competenze, compreso il t.f.r. maturato per il breve periodo di lavoro;
sia la comunicazione RAGIONE_SOCIALE, sia la busta paga sono state sottoscritte dal lavoratore, il quale non ha contestato la propria firma apposta su quei documenti, per cui deve ritenersi che egli fosse pienamente consapevole della risoluzione del rapporto di lavoro;
anche il contratto di lavoro poi sottoscritto in data 09/12/2014 con RAGIONE_SOCIALE è prova di quella consapevolezza e peraltro per tale società egli ha lavorato fino al licenziamento;
pertanto, in accoglimento del sesto e del settimo motivo di gravame, il rapporto di lavoro alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE si è validamente risolto al termine del periodo di prova di quindici giorni convenuto fra le parti, in virtù di licenziamento ad nutum che è libero anche nella forma, come insegna Cass. n. 10834/2000, in quanto sottratto alla disciplina limitativa del licenziamento anche con riguardo alla forma ad substantiam , con norma (art. 10 L. n. 604/1966) per la quale la Corte Costituzionale ha rigettato le questioni di costituzionalità con la sentenza n. 541/2000;
per gli stessi motivi anche le formalità previste dall’art. 4 L. n. 92/2012 non vincolano la validità delle dimissioni date dal lavoratore al termine del periodo di prova, prevalendo per tale ipotesi il principio di libertà delle forme;
in alternativa, la sottoscrizione dell’ultima busta paga e la ricezione delle ultime competenze, comprensive del t.f.r, nonché la sottoscrizione del nuovo contratto di lavoro con altra società inducono a ritenere che il rapporto di lavoro originario si sia in ogni caso risolto
per volontà del datore di lavoro non assoggettato ad alcun onere di forma , versandosi sempre nell’ambito della libera recedibilità ;
dunque va rigettata la domanda dello COGNOME di impugnazione del licenziamento perché proveniente a non domino , atteso che con la società reclamante il rapporto di lavoro era cessato nel dicembre 2014.
5.Avverso tale sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
6.- RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
7.- Il ricorrente ha depositato memoria.
8.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 4), c.p.c. -e che si esamina con priorità per il suo valore potenzialmente assorbente il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c. per avere la Corte territoriale omesso di rilevare l’inammissibilità del novum in appello, rappresentato dall’eccezione di recesso datoriale ad nutum senza oneri di forma durante il periodo di prova.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, non emergendo con chiarezza, dalle trascrizioni parziali degli atti di parte, dove, con quale atto ed in che termini sia stata introdotta dalla datrice di lavoro la questione inerente al patto di prova, e ciò impedisce di apprezzare la sussistenza della violazione, da parte del giudice del merito, dell’obbligo di rilevare d’ufficio la inammissibilità della questione per la sua novità. Per contro, risulta dalla stessa prospettazione dell’odierno ricorrente che della questione si è discusso in sede di opposizione, come si evince anche dal brano della sentenza resa dal Tribunale e riportata in ricorso, e la parte non specifica se ed in che termini avrebbe sottoposto la questione della novità al giudice del reclamo.
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per un error in procedendo , per avere la Corte territoriale omesso di rilevare l’inesistenza del patto di prova a causa della mancata sottoscrizione della società datrice di lavoro.
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. il
ricorrente lamenta un errore di fatto decisivo per avere la Corte territoriale ritenuto sottoscritto il patto di prova invece non sottoscritto dalla società datrice di lavoro.
Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 4 L. n. 92/2012, 71 CCNL edilizia industria, 1324 e 1334 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che il rapporto di lavoro si fosse risolto per facta concludentia nell’area della libera recedibilità durante il periodo di prova.
Preliminarmente i l primo motivo è da convertire in quello previsto dall’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. per violazione della norma sulla forma scritta ad substantiam prevista per il patto di prova (art. 2096 c.c.).
Orbene, i tre motivi -da esaminare congiuntamente per la loro connessione -sono fondati.
Questa Corte ha da tempo affermato che la forma scritta necessaria, a norma dell’art. 2096 c.c., per il patto di assunzione in prova è richiesta ad substantiam e che tale essenziale requisito di forma, la cui mancanza comporta la nullità assoluta del patto di prova, deve sussistere sin dall’inizio del rapporto di lavoro, senza alcuna possibilità di equipollenti o sanatorie, potendo ammettersi solo la non contestualità della sottoscrizione di entrambe le parti prima della esecuzione del contratto, ma non anche la successiva documentazione della clausola mediante la sottoscrizione, originariamente mancante, di una delle parti, atteso che ciò si risolverebbe nella inammissibile convalida di un atto nullo, con sostanziale diminuzione della tutela del lavoratore (Cass. n. 21758/2010).
E’ vero che, in via generale, i n tema di contratti per i quali la legge richiede la forma scritta ad substantiam , la produzione in giudizio di una scrittura privata a cura di chi non l’aveva sottoscritta (nel caso di specie dalla società datrice di lavoro) costituisce equipollente della mancata sottoscrizione contestuale. Tuttavia questa Corte ha pure precisato che tale perfezionamento si verifica soltanto ex nunc ossia al momento in cui avviene la produzione di quella scrittura privata in giudizio (Cass. n. 1525/2018; Cass. n. 5919/2016).
Ne consegue che al momento dell’inizio del rapporto di lavoro non vi era un valido patto di prova a causa della sua mancata sottoscrizione da parte
del datore di lavoro, a nulla rilevando la sua successiva sottoscrizione (per effetto della produzione in giudizio dell’atto firmato ma privo di data certa anteriore o almeno contestuale all’inizio del rapporto), con la conseguenza che il detto rapporto deve intendersi costituito ab origine come contratto a tempo indeterminato
L’ulteriore conseguenza è che in quel momento non vi era un’area di libera recedibilità della datrice di lavoro, erroneamente dichiarata dalla Corte territoriale.
C on il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4), c.p.c. per ‘vizio motivazionale’ ed errore percettivo su documenti, per avere la Corte territoriale ritenuto esistente un insanabile contrasto nella decisione di primo grado circa l’assenza di un unico centro di imputazione delle due società e la coesistenza di due rapporti di lavoro, da un lato, e la reintegrazione disposta alle dipendenze della prima società, dall’altro. Nello stesso motivo denuncia l’omessa pronuncia o il rigetto implicito della domanda avente ad oggetto la invalidità delle dimissioni.
Il motivo è in parte inammissibile e in parte assorbito dall’accoglimento dei motivi che precedono: inammissibile nella parte in cui denuncia il vizio motivazionale, riportando un’affermazione della Corte territoriale che all’evidenza non costituisce un’autonoma ratio decidendi , ma ha valore meramente argomentativo, sul presupposto (non oggetto di impugnazione) del passaggio in giudicato della questione inerente alla insussistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro; è invece assorbito con riferimento alla questione delle dimissioni, che non è stata oggetto di alcuna pronuncia né esplicita né implicita da parte della Corte territoriale, avendo la stessa fondato la sua decisione sull’errato presupposto del la validità del patto di prova e quindi della libertà di recesso anche sotto il profilo della forma. La questione è pertanto rimasta impregiudicata e dovrà essere oggetto di nuova valutazione da parte del giudice del rinvio, che dovrà riconsiderare l’intero rapporto tra le parti alla luce dei principi di diritto su richiamati in ordine al patto di prova.
C on il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 91 c.p.c. per avere la Corte
territoriale poste a suo carico le spese dei due gradi di giudizio.
Il motivo resta assorbito.
5.- La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio, dovendo l’accertamento dei fatti essere condotto alla stregua di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato non sottoposto ad un periodo di prova e, quindi, escludendo la libera recedibilità della datrice di lavoro.
P.Q.M.
La Corte accoglie primo, terzo e quarto motivo, dichiara inammissibili il secondo e (in parte) il quinto, assorbiti il quinto (nella restante parte) ed il sesto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Catania , in diversa composizione, in relazione ai motivi accolti, nonché per la regolamentazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in