Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23479 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23479 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14451-2022 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1612/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 18/01/2022 R.G.N. 990/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/04/2025 dal Consigliere Dott. NOMECOGNOME
Oggetto
Patto di prova
R.G.N. 14451/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 30/04/2025
CC
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Milano, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto le domande proposte da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE volte a far dichiarare l’illegittimità del licenziamento intima to il 31 dicembre 2020 per mancato superamento della prova;
la Corte territoriale, in sintesi, ha ritenuto, in ordine al denunciato vizio genetico del patto di prova per difetto di specificazione, che, invece “le mansioni di assunzione dell’appellante sono individuate per relationem – -attraverso il richiamo al CCNL, che a sua volta richiama il DM 269/2010. L’attività lavorativa per cui era stato assunto l’appellato era ben delineata con il richiamo al livello iniziale e finale del CCNL ‘; ha aggiunto: ‘il DM non contiene inf atti un elenco di mansioni bensì di attività che possono essere assegnate alla Guardia Particolare Giurata, attività tra loro fungibili, tanto che, , unico è il corso di formazione finalizzato alla nomina prefettizia’;
per quanto riguarda il pure lamentato vizio funzionale del patto di prova, la Corte milanese ha argomentato: ‘COGNOME non ha assolto all’onere probatorio a suo carico in quanto irrilevante è l’assenza di esplicitazione dei motivi di mancato superamento della prova e quanto all’irrogazione del licenziamento in epoca antecedente alla conclusione del periodo motivazione la prova risulta esperita per un congruo lasso di tempo (45 giorni di effettivo lavoro a fronte della durata massima di 60 giorni), certam ente idoneo a consentire la verifica dell’attitudine del lavoratore’;
per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso il soccombente, affidandosi a tre motivi; ha resistito con controricorso la società intimata; parte ricorrente ha comunicato memoria; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il
deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso possono essere indicati secondo la sintesi offerta dalla stessa parte ricorrente;
1.1. col primo si denuncia, ex art. 360, n. 3, c.p.c.: ‘Violazione o falsa applicazione dell’art. 2096 c.c. in quanto la Corte d’Appello, al fine di determinare le mansioni oggetto del periodo di prova, ha erroneamente preso in considerazione il Ccnl applicato dal datore di lavoro senza che vi fosse idoneo richiamo allo stesso nel contratto di lavoro quando, invece, la valutazione sulla specificità delle mansioni assegnate doveva riguardare esclusivamente quanto descritto in contratto che, evidentemente, non era in alcun modo idoneo a determinare le mansioni oggetto della prova con conseguente nullità del patto di prova ed illegittimità del conseguente licenziamento’;
1.2. con il secondo motivo si denuncia, ancora ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c.: ‘Violazione o falsa applicazione dell’art. 2096 c.c., dell’art. 31 del Ccnl per dipendenti da Istituti e Imprese di vigilanza privata e servizi fiduciari, dell’art. 3 e dell’art. 1.a All. D del D.M. 269/2010, in quanto la Corte d’Appello non ha correttamente applicato la disciplina relativa al patto di prova ove ha ritenuto che il riferimento al Ccnl RAGIONE_SOCIALE fosse sufficientemente specifico e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata, ove invece si era in presenza di
un vizio genetico del patto stante il variegato elenco di mansioni previste dal D.M. 269/2010 richiamato dalle declaratorie del Ccnl’;
1.3. il terzo motivo deduce, sempre ex n. 3 dell’art. 360 c.p.c.: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 2096 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., in quanto la Corte d’Appello non ha riconosciuto un vizio funzionale del patto di prova stipulato tra le parti, in virtù dell’esigua durata effettiva del periodo di prova e l’assente, ovvero tardiva, formazione del lavoratore, sulla base delle circostanze di fatto dimostrate o incontestate in corso di causa’;
il ricorso non può trovare accoglimento;
2.1. il primo motivo è inammissibile perché solo formalmente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2096 c.c., ma non si evidenzia realmente un errore di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale; piuttosto si contesta l’interpretazione del contratto stipulato tra le parti offerta dalla Corte, che ha tratto da esso il rinvio alla contrattazione collettiva applicabile tra le parti dalla quale ricavare idonea specificazione del contenuto del patto;
una interpretazione della volontà negoziale chiaramente riservata al giudice del merito secondo consolidata tradizione giurisprudenziale (cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006; più di recente: Cass. n. 22318 del 2023) in quanto si sostanzia in un accertamento di fatto (da ultimo Cass. n. 18214 del 2024; tra molte, Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), interpretazione non certo suscettibile di essere sindacata innanzi a questa Corte mediante la censura di violazione dell’art. 2096 c.c.;
2.2. il secondo motivo di doglianza non merita di essere condiviso;
va ribadito che la causa del patto di prova è ravvisabile nella tutela dell’interesse di entrambe le parti contrattuali a sperimentare la reciproca convenienza al contratto di lavoro e, per evitare l’illegittimità del patto per incoerenza con la suddetta causa, è necessario che esso contenga anche la specifica indicazione delle mansioni in relazione alle quali l’esperimento deve svolgersi (Cass. n. 3451 del 2000), atteso che la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria insindacabile valutazione sull’esito della prova presuppone che questa debba effettuarsi in ordine a mansioni esattamente identificate ed indicate (Cass. n. 9597 del 2017);
la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto, e che il patto di prova deve contenere, può ben essere operata anche con riferimento alle declaratorie del contratto collettivo, sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata, sicché, se la categoria di un determinato livello accorpi un pluralità di profili, è necessaria l’indicazione del singolo profilo, mentre risulterebbe generica quella della sola categoria (Cass. n. 11722 del 2009; Cass. n. 9597 del 2017; Cass. n. 27785 del 2021; Cass. n. 5264 del 2023);
nel caso di specie, la Corte territoriale, dichiaratamente consapevole di tali principi, ha ritenuto che nel contratto di assunzione del lavoratore le mansioni oggetto della prova fossero sufficientemente specificate mediante il richiamo al livello inziale e finale del contratto collettivo che rinvia alle fungibili attività di Guardia Particolare Giurata specificate nel DM n. 269 del 2010;
la censura a tale apprezzamento, anche in ordine alla contestata fungibilità delle mansioni, si risolve in una diversa valutazione delle risultanze processuali rispetto a quella operata dai giudici
di merito ai quali compete, invocando un controllo estraneo al sindacato di legittimità (in termini: Cass. n. 15326 del 2025; conf. a Cass. n. 29078 del 2023);
2.3. anche il terzo motivo risulta inammissibile, perché mediante l’impropria denuncia di violazione dell’art. 115 c.p.c. si critica una valutazione di merito in ordine alla idoneità del tempo impiegato per la prova a consentire la verifica dell’attitudine del lavoratore, proponendo un diverso apprezzamento di elementi fattuali inibito a questa Corte; come ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre);
3. pertanto il ricorso deve essere respinto nel suo complesso; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo; ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il soccombente al pagamento delle spese liquidate in euro 4.000,00, oltre euro 200 per esborsi accessori secondo legge e rimborso spese forfettario nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 30 aprile 2025.
La Presidente
Dott.ssa NOME COGNOME