Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9254 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9254 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 22185-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona dei Commissari Liquidatori pro tempore, elettivamente domiciliata presso gli indirizzi PEC degli avvocati NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– ricorrente principale –
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
ricorrente incidentale nonché contro
RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA;
ricorrente principale -controricorrente incidentale –
Oggetto
R.G.N. 22185/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 30/01/2025
CC
avverso la sentenza n. 481/2023 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 21/07/2023 R.G.N. 590/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME RILEVATO CHE
Con ricorso depositato al Tribunale di Treviso il 20 giugno 2016 NOME COGNOME già dipendente di Veneto Banca s.p.a. conveniva quest’ultima al fine di sentir dichiarare l’invalidità ed inefficacia del patto di non concorrenza stipulato tra le parti; in subordine chiedeva che la penale prevista per la violazione del patto venisse ridotta alla somma di euro 15.000,00 o a quella diversa ritenuta di giustizia; che in ulteriore subordine la durata del patto venisse ricondotta a 6 mesi o comunque a un diverso periodo ritenuto di giustizia inferiore a quello previsto nel patto. Con atto depositato il 10.7.2017 il COGNOME dichiarava di rinunciare al ricorso e chiedeva l’estinzione del giudizio.
Veneto Banca s.p.a. costituendosi in giudizio chiedeva il rigetto del ricorso e, in via riconvenzionale, chiedeva, per quanto ancora qui rileva, di accertare e dichiarare la violazione da parte del Cola del patto di non concorrenza per cui è causa e condannarlo al pagamento della penale contrattualmente prevista pari all’importo di € 50.000,00, nonché al risarcimento dei maggiori danni cagionati dall’inadempimento al patto di non concorrenza nella misura, determinata anche in via equitativa, di almeno € 428.151,00.
Con sentenza n. 638/2019 pubblicata il 20/12/2019, il Tribunale di Treviso, rigettava sia l’eccezione di estinzione del processo che la domanda avanzata dal COGNOME mentre accoglieva la domanda riconvenzionale svolta da Veneto Banca s.p.a. ritenendo valido il patto di non concorrenza e provata la sua violazione da parte del lavoratore.
Con sentenza n. 481/2023, pubblicata il 21/07/2023, e notificata il 15.9.2023 la Corte d’Appello di Venezia – sezione Lavoro – in parziale accoglimento dell’appello principale e in parziale riforma dell’impugnata sentenza, accertava l’insussistenza del dedotto inadempimento del Cola al patto di non concorrenza e del diritto di Veneto Banca Spa in l.c.a. di pretendere il pagamento della penale prevista dal patto medesimo. Rigettava, invece, l’appello incidentale di Veneto Banca Spa. Per quanto ancora rileva la Corte ha rigettato i motivi di appello svolti dal COGNOME aventi ad oggetto la parte della sentenza di primo grado in cui veniva disattesa l’eccezione di estinzione di estinzione del giudizio, posto che, non avendo il COGNOME notificato alla controparte l’atto di rinuncia depositato fuori udienza esso era ‘ stato correttamente valutato dal primo giudice inidoneo ad estinguere il giudizio (art. 306, comma 3, c.p.c.) ‘. Nel merito, affermata la genericità dell’allegazione ‘ circa l’asserito passaggio di clienti seguiti dal COGNOME a Banca Generali’, ha ritenuto non provata la violazione del patto di non concorrenza, rilevando che ‘ tenuto conto del fatto che l’ambito geografico del patto di non concorrenza di cui si discorre era limitato alla Regione Veneto (fatto salvo, anche oltre tale limite territoriale, il divieto di trasferimento di clienti già acquisiti da Veneto Banca, situazione che, tuttavia, per quanto precede non è provato sia stata posta in essere dal COGNOME), la circostanza che il COGNOME, dopo le dimissioni da Veneto Banca, avesse instaurato un rapporto di consulenza finanziaria con Banca Generali non costituisce di per sé violazione del patto ‘.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione la Veneto Banca s.p.a. affidato a tre motivi.
4. Il COGNOME replica con controricorso e propone ricorso incidentale, al quale risponde La Veneto Banca s.p.a. in l.c.a. con controricorso al ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso Veneto Banca s.p.a. in l.c.a. deduce, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2125 c.c., anche in relazione all’art. 2598 c.c., nonché dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui artt. 1362 e ss. c.c. in relazione al Patto di Non Concorrenza sottoscritto tra le parti, censurando la sentenza per aver ritenuto insussistente la violazione del PNC sulla base del rilievo per cui Veneto Banca non avrebbe specificamente dedotto e dimostrato che i rapporti patrimoniali dei propri clienti, già seguiti dal COGNOME in costanza di rapporto, fossero passati alla concorrenza, per fatto e responsabilità del medesimo. Deduce che sin dal primo grado aveva allegato l’inadempimento del COGNOME con riguardo a due distinti profili, attinenti a due specifiche domande: il primo profilo, relativo allo svolgimento, dopo le dimissioni da Veneto Banca, di attività lavorativa inibita dal patto, la cui dimostrazione era sufficiente a determinare il diritto di Veneto Banca al pagamento della penale contrattualmente prevista; il secondo, relativo allo svolgimento di attività di sviamento e/o storno della clientela di Veneto Banca, la cui dimostrazione avrebbe determinato il diritto al risarcimento del maggior danno. Evidenzia che, stante l’ontologica differenza tra patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c. e storno di clientela, da valutare alla luce dell’art. 2598 c.c., aveva errato la Corte d’appello nel ritenere necessario, ai fini della prova della violazione del patto di non concorrenza, la prova di una condotta attiva di sviamento di clientela, essendo sufficiente la prova
dello svolgimento, da parte del COGNOME, di qualsiasi attività lavorativa (ivi incluse quelle di ‘gestione di portafogli finanziari’ e di ‘consulenza finanziaria’, esemplificativamente individuate in contratto) assimilabile a quella, di private banker, già svolta presso Veneto Banca S.p.A., in favore di impresa concorrente e nell’ambito della Regione Veneto (fermo restando che le condotte in contestazione si collocavano pacificamente nei limiti di durata temporale del PNC). Deduceva che tale interpretazione delle due distinte pattuizioni si imponeva alla stregua dei criteri di ermeneutica contrattuale e che, dunque, la Corte ‘ nell’interpretare il contratto tra le parti e, per l’effetto, individuare le condotte rilevanti ai fini della violazione del PNC, ha ricercato una prova non richiesta, ossia la prova che il sig. COGNOME avesse sollecitato e/o promosso il passaggio di masse patrimoniali e/o investimenti di clienti da Veneto Banca a Banca Generali’.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., anche in relazione all’art. 416 c.p.c. sotto il profilo del c.d. ‘principio di non contestazione’ e all’art. 421 c.p.c. e all’artt. 24 e 111 Cost., deducendo che la Banca aveva allegato in modo sufficientemente specifico i fatti costitutivi della pretesa inerente alla violazione dell’obbligo di non concorrenza ex art. 2125 c.c., ossia lo svolgimento di mansioni inibite dal patto, per istituto concorrente e che l’attività di concorrenza si era, di fatto, svolta, su perimetro oggettivo e spaziale inibito dal patto, essendo i rapporti patrimoniali oggetto di disinvestimento radicati in Veneto e che, dunque, la Corte territoriale aveva errato nel ritenere insussistente un onere di contestazione del COGNOME, per difetto di specifica allegazione. Lamenta, altresì, l’erroneità della pronuncia gravata nella parte in cui afferma che sarebbe risultato ‘esplorativo qualsiasi
approfondimento istruttorio disposto dal giudice (quale l’ordine di esibizione ipotizzato dalla Banca, v. pag. 47 memoria in appello)’ e l’omessa pronuncia in ordine alle istanze istruttorie articolate (capp. R ed S sub §2 fatto del ricorso in riassunzione e della memoria in appello).
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ossia che il COGNOME, dopo le dimissioni da Veneto Banca e il pacifico avvio di un rapporto con la concorrente Banca Generali in qualità di Consulente Finanziario, aveva, di fatto, gestito il patrimonio di ex clienti di Veneto Banca, residenti nella Regione Veneto e passati, insieme al COGNOME, alla concorrenza.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale Veneto Banca deduce, ex art. art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 306 c.p.c. e impugna il capo della sentenza della Corte distrettuale che ha respinto i motivi d’appello aventi ad oggetto l’erroneo rigetto da parte del giudice di primo grado dell’eccezione di estinzione del giudizio.
Occorre premettere che il ricorso incidentale proposto dal COGNOME parte vittoriosa nel giudizio di merito, investendo una questione pregiudiziale di rito, quale quella del rigetto dell’eccezione di estinzione del processo, ha natura di ricorso condizionato all’accoglimento del ricorso principale, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte; ne consegue che esso va esaminato da questa Corte solo in presenza dell’attualità dell’interesse, ovvero unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale, essendo stata la questione oggetto di decisione esplicita da parte del giudice di merito (cfr tra le più recenti Cass. n. 25694/2024, Rv. 672453 – 01).
Occorre, pertanto, esaminare preliminarmente il ricorso principale.
Il primo motivo di ricorso principale è infondato non essendo la Corte territoriale incorsa nel lamentato vizio di violazione di legge. La Corte veneziana, infatti, dopo aver chiaramente esposto il contenuto del patto di non concorrenza (con il quale il dipendente si impegnava ‘ a non svolgere, a qualsiasi titolo, alcuna attività commerciale, di vendita e/o di gestione portafogli finanziari di clientela anche istituzionale, o di intermediazione finanziaria, o di consulenza finanziaria o, comunque, in concorrenza … tale impegno riguarda qualsiasi svolgimento di tale attività (diretta o indiretta; autonoma, subordinata e/o imprenditoriale ; per conto proprio ovvero per persone fisiche e/o giuridiche e terzi in genere, a favore, diretto o indiretto, di qualsiasi soggetto) ed il contestuale impegno assunto dal COGNOME a non acquisire e a non favorire l’acquisizione, in alcun modo e così anche in via indiretta, da parte sua o di terzi, di clienti della nostra società …. si impegna a non proporre, direttamente o indirettamente, a nostri dipendenti o collaboratori (anche autonomi) il passaggio ad altro datore di lavoro o committente ha esaminato distintamente i due profili, escludendo che fosse stata raggiunta la prova in ordine a condotte di sviamento della clientela e, per quanto specificamente attiene al patto di non concorrenza, sottolineando che ‘ tenuto conto del fatto che l’ambito geografico del patto di non concorrenza di cui si discorre era limitato alla Regione Veneto (fatto salvo, anche oltre tale limite territoriale, il divieto di trasferimento di clienti già acquisiti da Veneto Banca, situazione che, tuttavia, per quanto precede non è provato sia stata posta in essere dal COGNOME), la circostanza che il COGNOME, dopo le dimissioni da Veneto Banca, avesse instaurato un rapporto di consulenza finanziaria con Banca Generali non costituisce di per sé violazione del
patto ‘. La sentenza impugnata ha, dunque, esattamente affermato che ai fini della prova della violazione del patto era necessario provare che il Cola avesse svolto le attività vietate ‘entro l’ambito geografico del patto’ non essendo, al contrario sufficiente la circostanza, pur pacifica tra le parti, che il dipendente avesse instaurato un rapporto di consulenza finanziaria, avente ad oggetto le medesime mansioni di private banker per una impresa concorrente. Dunque l’affermazione dei giudici d’appello è conforme a diritto sia quanto all’art. 2125 c.c. – che impone a pena di nullità del patto che il divieto di attività successive alla risoluzione del rapporto sia contenuto entro limiti determinati di oggetto, di tempo e di luogo, poiché l’ampiezza del relativo vincolo deve essere tale da comprimere l’esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che non ne compromettano la possibilità di assicurarsi un guadagno idoneo alle esigenze di vita – che quanto ai criteri di ermeneutica contrattuale ex artt. 1362 e ss c.c. non avendo, in alcun modo, la Corte interpretato la condotta di sviamento della clientela quale integrativa della violazione del patto di non concorrenza. La sentenza, infatti, dopo aver evidenziato la genericità delle allegazioni di Veneto Banca in termini di condotte poste in essere in violazione del patto, ha, del tutto correttamente, esaminato la questione dell’accertamento (mancato) delle condotte di sviamento di clienti precedentemente seguiti dal Cola, transitati a Banca Generali dopo le sue dimissioni da Veneto Banca sotto il profilo della prova del ‘radicamento’ delle condotte vietate nell’ambito territoriale oggetto del patto ed alla luce della deduzione dell’odierna parte ricorrente che ‘ tutti tali clienti (quelli transitati a Generali in data prossima alle dimissioni del COGNOME, ndr.) hanno residenza in Veneto, ossia nella zona inibita dal patto’ .
Quanto al secondo motivo di appello, esso si palesa in parte inammissibile ed in ogni caso infondato. Il motivo è inammissibile per quanto attiene la lamentata violazione dell’art. 115 c.p.c. posto che l’accertamento della sussistenza di una contestazione, ovvero di una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto di parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (Cass. n. 27490 del 2019). Allo stesso modo la valutazione di specificità o, all’opposto, di genericità delle deduzioni, delle istanze istruttorie e dei capitoli di prova, e quindi di ammissibilità e di rilevanza delle prove richieste, è rimessa alla valutazione insindacabile del giudice di merito, laddove adeguatamente motivata, come nella specie.
8.1. Il motivo è, peraltro, infondato dovendosi rilevare che dalla mera lettura delle circostanze allegate da Veneto Banca a fondamento della domanda di condanna al pagamento della penale per violazione del patto di non concorrenza, per come testualmente riportate in ricorso, emerge come effettivamente l’odierna ricorrente si sia limitata a genericamente allegare che ‘ in plateale violazione del patto di non concorrenza, il ricorrente ha immediatamente instaurato il 13 giugno 2016 un rapporto di consulenza finanziaria con la concorrente Banca Generali ‘ e che, dunque, non avesse allegato alcuna altra condotta di violazione del patto diversa da quella consistita nell’organizzare, in data antecedente alle dimissioni, il trasferimento dei ‘suoi’ clienti a Banca Generali, predisporre le lettere di revoca dei mandati e acquisirne le sottoscrizioni.
8.2. Si osserva, inoltre, che la Corte d’appello ha giudicato generiche le allegazioni della Banca, e superfluo qualunque approfondimento istruttorio, in quanto contenenti riferimenti a
clienti non identificati, essendone riportate solo le iniziali. Al riguardo, questa Corte ha chiarito che l’esigenza di specificazione dei fatti sui quali i testimoni devono deporre è soddisfatta se, ancorché non precisati in tutti i loro dettagli, tali fatti siano esposti nei loro elementi essenziali, per consentire al giudice di controllarne l’influenza e la pertinenza e mettere in grado la parte, contro la quale essa è diretta, di formulare un’adeguata prova contraria (v. Cass. n. 1175 del 2019; n. 3708 del 2019; n. 2201 del 2007; n. 12642 del 2003). A tali criteri si è uniformata la Corte di merito giudicando prive di specificità, e come tali inammissibili, le circostanze allegate ed oggetto di capitoli di prova testimoniale non recanti i nominativi dei clienti della Banca che il lavoratore avrebbe contattato e sviato, risultando simile omissione ostativa alla piena esplicazione del diritto di difesa (cfr in tal senso Cass. 21283/2024).
8.3. Quanto alla dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., occorre evidenziare che il vizio di omessa pronuncia – che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, dello stesso codice – si configura esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 13716 del 05/07/2016, Rv. 640358 01), nei ristretti limiti dettati dalla riformulazione dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, da interpretarsi come riduzione al ‘minimo costituzionale’ del sindacato di legittimità sulla motivazione.
8.4. Non vi è spazio, poi, per ravvisare la violazione dell’art. 116 c.p.c., rinvenibile nelle ipotesi in cui il giudice valuta una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova
liberamente valutabile come prova legale (cfr. Cass., S.U. n. 20867 del 2020; Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), circostanze neppure denunciate nel motivo di ricorso in esame.
Quanto al terzo motivo di ricorso con il quale la ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe omesso la valutazione di fatti e circostanze idonei all’accertamento della violazione del patto di non concorrenza da parte del Cola, esso è palesemente inammissibile muovendosi esso al di fuori del paradigma dettato dalla citata norma.
9.1. L’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce, infatti, nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Questa Corte ha precisato che l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, deve intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. n. 22397/2019; Cass. n. 26305/2018; Cass. n. 14802/2017), ed inoltre, che che il motivo di ricorso di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. deve riguardare un fatto storico, considerato nella sua oggettiva esistenza, senza che possano considerarsi tali né le singole questioni giuridiche decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque
apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove risulti comunque un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio (Cass. n. 10525/2022; Cass. n. 17761/2016; Cass. n. 5795/2017).
9.2. Nel caso di specie la ricorrente lamenta, infatti, l’omesso esame di un documento asseritamente comprovante la circostanza che ‘ il sig. COGNOME, dopo le dimissioni da Veneto Banca e il pacifico avvio di un rapporto con la concorrente Banca Generali in qualità di Consulente Finanziario, aveva, di fatto, gestito il patrimonio di ex clienti di Veneto Banca, residenti nella Regione Veneto e passati, insieme al COGNOME, alla concorrenza ‘. Da un lato, dunque, non si lamenta l’omesso esame di un fatto ma di un documento, dall’altro, dalla lettura della sentenza emerge che la circostanza è stata esaminata dalla Corte d’appello, seppur nel senso della sua irrilevanza ai fini dell’accoglimento della domanda.
Il ricorso principale va, in conclusione, rigettato.
Il rigetto del ricorso principale determina l’assorbimento del ricorso incidentale, attesa la natura sostanzialmente condizionata dello stesso, per quanto sopra esposto.
La ricorrente va condannata alla rifusione delle spese processuali in favore del controricorrente liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della sola ricorrente principale, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della