Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1840 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1840 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22828-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
Altre ipotesi di rapporto privato
R.G.N. 22828/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 22/11/2023
CC
avverso la sentenza n. 195/2018 del TRIBUNALE di MANTOVA, depositata il 14/11/2018 R.G.N. 34/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/11/2023 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Previo ricorso al Tribunale di Mantova Andrea Vercelli, dipendente dal luglio 2015 della RAGIONE_SOCIALE con qualifica di Quadro, inquadramento professionale al liv. AS e qualifica di funzionario ‘vendite prodotti speciali’, ne otteneva il decreto con il quale veniva ingiunto alla suddetta società il pagamento di euro 20.076,92, per un credito vantato per prestazioni lavorative: in particolare, fondato su una missiva del giugno 2016 ove veniva specificato che l’importo costituiva il saldo del compenso pattuito per il vincolo biennale ex art. 2125 cc, già detratto quanto erogato in costanza di rapporto.
Proposta opposizione, l’adito Tribunale, con la sentenza n. 195/2018, revocava il provvedimento monitorio specificando che: a) il riconoscimento del debito, di cui alla missiva del giugno 2016, era stato seguito, nell’agosto dello stesso anno, da una raccomandata di annullamento del preteso riconoscimento; b) la RAGIONE_SOCIALE era una azienda specializzata nella produzione e commercializzazione di materiali impermeabilizzanti di cui il Vercelli, più che un funzionario addetto alle vendite di prodotti speciali, come indicato della lettera di assunzione, era risultato essere un responsabile commerciale di area con compiti di coordinamento, controllo e supporto di varie attività; c) tra le parti, proprio in ragione del ruolo da svolgersi in azienda, fu stipulato, al momento della assunzione in servizio, un patto di non concorrenza di due anni, ai sensi dell’art. 2125 cc, esteso al territorio italiano (isole escluse), verso il riconoscimento di un corrispettivo lordo di euro 23.972,92 già
erogato, prevedendo, in caso di violazione, la restituzione della somma al lordo di contributi e incidenza sul TFR; d) nel maggio del 2016 il Vercelli aveva rassegnato le dimissioni dalla RAGIONE_SOCIALE e poi era stato assunto, nel giugno successivo, con qualifica dirigenziale, dalla RAGIONE_SOCIALE che svolgeva la medesima attività della RAGIONE_SOCIALE; e) dalla istruttoria espletata era emersa la violazione del patto di non concorrenza perché il Vercelli in pratica svolgeva una attività analoga a quella espletata in RAGIONE_SOCIALE, seppure con maggiori poteri e responsabilità e con un compenso di maggiore soddisfazione, di talché, in virtù della suddetta clausola, doveva restituire la somma già introitata a titolo di corrispettivo dell’impegno disatteso.
La Corte di appello di Brescia, con ordinanza ex art. 348 bis cpc del 6.6.2019, dichiarava l’inammissibilità del gravame, proposto dal Vercelli, in quanto privo di una ragionevole probabilità di accoglimento.
Avverso la sentenza di primo grado, in seguito alla suddetta ordinanza della Corte di appello, proponeva ricorso per cassazione Andrea Vercelli affidato a due motivi cui resisteva con controricorso la RAGIONE_SOCIALE.
Le parti depositavano memorie.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2125 cc, disciplinante il patto di non concorrenza nel caso di rapporto di lavoro subordinato, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc. Sull’assunto che, quale funzionario addetto alle vendite di prodotti speciali presso la RAGIONE_SOCIALE il relativo patto di non concorrenza non poteva riguardare prodotti diversi come le membrane bituminose (settore regolato dal CCNL industria chimica e non dal CCNL laterizi e manufatti che disciplinava il rapporto di lavoro), il Vercelli sostiene che i giudici del merito, pur rilevando la
genuinità della pattuizione, che non trovava il suo fondamento nella volontà di aggirare un precedente patto di non concorrenza vigente prima della sua assunzione in RAGIONE_SOCIALE in quanto da esso liberato dal precedente datore di lavoro, tuttavia avevano ritenuto erroneamente violato il patto medesimo nonostante lo stesso non riguardasse (e non poteva riguardare pena la portata troppo vincolante) quale oggetto anche le membrane bituminose.
Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1363, 1366, 1369 e 1371 cc, in tema di interpretazione dei contratti, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere ritenuto i giudici del merito che la clausola di cui al patto di non concorrenza, contenuta nel contratto di assunzione, fosse applicabile anche alle membrane bituminose, senza dare argomentazioni sul perché le stesse potessero essere assimilate ai prodotti speciali e al settore laterizi che invece erano esclusivo oggetto del patto.
I due motivi, da esaminare congiuntamente per connessione logico-giuridica, presentano profili di inammissibilità e di infondatezza.
Preliminarmente deve evidenziarsi che, nonostante le censure di cui al primo motivo siano declinate ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc in relazione ad una asserita violazione dell’art. 2125 cod. civ., non risulta dagli atti -né il ricorrente, in ossequio ai principi di specificità e di autosufficienza che presidiano il ricorso per cassazione, lo ha specificato- se e quando la nullità della clausola, relativa al patto di non concorrenza, intercorso con la società, per la sua natura troppo vincolante, sia stata dedotta rite et recte nel giudizio di primo grado a fronte, invece, di una originaria richiesta del pagamento del relativo compenso, azionata in sede monitoria, fondata proprio sulla operatività della detta clausola.
Ciò premesso ai fini della esatta delimitazione dell’oggetto dell’odierno ricorso, deve osservarsi che le censure articolate, al di là del formale richiamo alla violazione
di norme di legge contenuto nell’intestazione di entrambi i motivi, si risolvono, nella sostanza, nella denuncia di errata valutazione da parte del giudice di merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti e di errata interpretazione del contenuto della clausola relativa al patto di non concorrenza.
Si tratta, quindi, di censure che finiscono con l’esprimere un mero dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze probatorie e della esegesi contrattuale effettuate dal Tribunale e dalla Corte di appello che non è sindacabile in sede di legittimità allorquando, come nel caso di specie, siano state adeguatamente motivate.
In particolare, quando nel ricorso per cassazione è denunziata la violazione e/ la falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. deve essere dedotto non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nel provvedimento impugnato debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, con riguardo alla specifica vicenda sub judice ; diversamente il motivo è inammissibile, in quanto non consente alla Corte di cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 16 gennaio 2007, n. 828; Cass. 5 marzo 2007, n. 5076).
Nella specie, i giudici del merito, con motivazione esente dai vizi di cui alla nuova formulazione ex art. 360 co. 1 n. 5 cpc, hanno ricostruito le vicende che determinarono la stipula della clausola tra le parti e la non incidenza della risoluzione del rapporto di lavoro del Vercelli con il precedente datore di lavoro (PNC). Inoltre, attraverso un esame delle risultanze processuali, sono giunti alla
conclusione che il suddetto Vercelli, con la RAGIONE_SOCIALE, si occupava anche delle ‘membrane bituminose’ non come mero venditore bensì come responsabile alle dirette dipendenze del Direttore commerciale Italia/estero e dell’Amministratore delegato della so cietà.
10. Inoltre, deve precisarsi che l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione; è stato pure puntualizzato che, ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, mentre la denuncia del vizio di motivazione dev’essere effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata un’altra (Cass. n. 19044/2010, Cass. n. 15604/2007, in motivazione; Cass. n. 4178/2007) dovendosi escludere che la semplice
contrapposizione dell’interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata rilevi ai fini dell’annullamento di quest’ultima (Cass. n. 14318/2013, Cass. n. 23635/2010).
Le doglianze in concreto dedotte con il secondo motivo non sono coerenti con le richiamate indicazioni del giudice di legittimità in quanto prospettano, secondo una modalità di mera contrapposizione, una diversa e più favorevole interpretazione della clausola in oggetto, senza veicolarla attraverso la individuazione delle modalità con le quali la Corte di merito si è discostata dalle richiamate regole legali di interpretazione e senza evidenziare specifiche implausibilità o illogicità della motivazione esibita dai giudici di merito nel pervenire al contestato approdo ermeneutico riguardante, nell’ambito operativo della clausola, anche le ‘membrane bituminose’ perché oggetto della sua attività di responsabile di Area, come sostenuto dalla società.
Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 novembre