Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7447 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7447 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5153/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrenti –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI n. 5673/2018, depositata il 10/12/2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
In data 03.09.2002, NOME COGNOME acquistava con COGNOME notarile immobili già promessi in vendita dai coniugi NOME COGNOME e COGNOME NOMENOME compresa un’area destinata a giardino attigua ad un immobile di proprietà del COGNOMECOGNOME L’acquirente conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli i NOME–COGNOME, chiedendo la condanna dei convenuti ad una serie di pagamenti e r imborsi dall’attore effettuati per la sistemazione del giardino e il pagamento di oneri di sanatoria di abusi edilizi, nonché il pagamento di una penale di €90.500,00 per il ritardo nell’eliminazione delle opere abusive e il mancato godimento del giardino, il pagamento di €286.366,00 a titolo di riduzione del prezzo di acquisto per il diminuito valore dell’immobile a séguito dell’innalzamento della rec inzione -autorizzata con sentenza passata in giudicato – a confine con la proprietà di un terzo. Si costituivano i convenuti, formulando offerta formale per l’ importo di €21.362,23, nonché domanda riconvenzionale per l’accertamento del comportamento del COGNOME improntato a malafede, e per la nullità ed inefficacia della clausola penale.
1.1. Il Tribunale di Napoli in corso di lite ordinava ai convenuti il pagamento dell’offerta formale ; con ordinanza del 04.02.2008, il primo giudice condannava, altresì, i convenuti: al pagamento della residua somma di €2 . 555,95 per la sistemazione dell’area giardino; al pagamento della somma di €4.400,00 per la diminuzione del valore dell’immobile oggetto di compravendita; dichiarava l’inefficacia della clausola penale inserita nel COGNOME in quanto vessatoria.
La pronuncia veniva impugnata dal COGNOME innanzi alla Corte d’Appello di Napoli, che rigettava integralmente il gravame.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandolo a quattro motivi.
Resistevano COGNOME NOME e COGNOME NOME depositando controricorso.
In prossimità dell’adunanza entrambe le parti depositavano memorie.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 1321, 1346, 1372, 1362, 1375, 2697, 2699, 2700, 2730, 2733 cod. civ., e dell’art. 23 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nonché degli artt. 115, 116, 228 cod. proc. civ, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento, da parte della Corte territoriale, del rimborso delle spese di sanatoria (€774,23) versat e dal COGNOME al Comune di Capri: importo pure riconosciuto dai coniugi COGNOME n ell’offerta formale e , tuttavia, non conteggiabile nel computo metrico (ossia il preventivo dei lavori stilato da un geometra per conto del COGNOME, pari ad €23.918,18) che la Corte territoriale ha considerato, invece, quale unico limite pattizio di spesa sostenuta dal COGNOME. Lamenta, altresì, il ricorrente il mancato riconoscimento di voci di spesa pure compiutamente documentate e comunque comprese nelle ultime quattro pagine del computo metrico.
1.1. Il motivo è inammissibile in quanto impinge nel merito e nella valutazione delle prove.
1.2. La Corte distrettuale ha compiutamente motivato il procedimento logico di valutazione delle spese pattiziamente rimborsabili, ritenendo che la somma indicata nel preventivo di spesa, o computo metrico, ha costituito il limite alla spesa rimborsabile, indipendentemente dalla specificità dell’indicazione delle singole voci dei lavori a farsi, e degli esborsi ulteriori necessari ed effettivamente sostenuti, non potendo ragionevolmente – alla luce dei doveri di buona fede e correttezza, nonché dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362
ss. cod. civ. – la parte obbligata ritenersi esposta al volere della controparte, che avrebbe potuto, in ipotesi, scegliere di affidare l’esecuzione dei lavori alla ditta più esosa, utilizzare materiali più costosi, etc. Tali deduzioni logico-giuridiche appaiono a questo Collegio conformi ai criteri ermeneutici previsti dalla legge, poiché si rifanno all’interpretazione letterale degli accordi negoziali (tratti dallo scrutinio del carteggio intercorso tra le parti) e alla ricostruzione della volontà delle parti: contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente (v. memoria, pp. 3-4), infatti, il giudice di seconde cure ha chiarito che il computo metrico predisposto dal consulente di parte non può qualificarsi come «preventivo» nel senso letterale del termine, bensì come indice di spesa complessiva, in mancanza di ulteriori dati oggettivi cui ancorare le spese pattiziamente rimborsabili. Né, del resto , prosegue la Corte d’Appello, la richiesta dell’allora appellante era sostenuta da prova di un eventuale diverso accordo incentrato sul dato numerico non conforme a quello evincibile dell’approvazione del preventivo di spesa di cui al computo metrico. Da tanto, la Corte napoletana traeva la conclusione -ineccepibile sotto il profilo delle norme ermeneutiche considerate e delle deduzioni logiche tratte – che la somma di € 773,23, così come qualunque altra pretesa, dovesse ritenersi compresa nel preventivo di spesa concordato dalle parti, senza possibilità di richiesta di esborsi ulteriori diversi (v. sentenza impugnata pp. 11-13). E’ opportuno ricordare che l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nella ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale d i cui all’art. 1362 ss. cod. civ., o di motivazione omessa o manifestamente illogica, ossia non idonea a consentire la ricostruzione dell’ iter logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere in cassazione tali
vizi della sentenza impugnata, non è sufficiente che il ricorrente per cassazione faccia riferimento generico alle regole legali sul contratto e sulla sua interpretazione: è, altresì, necessario che egli precisi in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato ovvero ne abbia dato applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione di legge e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa ( ex multis : Cass. Sez. L, Sentenza n. 10745 del 04/04/2022, Rv. 664334 -02; Cass Sez. 2, Ordinanza n. 40972 del 2021, che conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14355 del 14/07/2016, Rv. 640551 -01; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15603 del 04/06/2021, Rv. 661741 – 01; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9996 del 10/04/2019, Rv. 653577 – 01). Sul punto, va altresì ribadito il principio secondo cui, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che l’interpretazione data al contratto dal giudice del merito sia l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma è sufficiente che sia una delle possibili e plausibili interpretazioni; perciò, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., Sez. 3, n. 24539 del 20/11/2009; Sez. 1, n. 4178 del 22/02/2007).
1.3. Inammissibile è anche la censura sulla violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. Anche sotto tale profilo, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso il richiamo fatto all’art. 116, cod. proc. civ., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito. Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni Unite in epoca recente (Cass. Sez. U, sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 -02, conf. da Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09.06.2021, Rv. 661360 -02; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 29177 del 20.10.2023), in virtù dei quali in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio). La doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 1321, 1322, 1324, 1325, 1343, 1346, 1381 cod. civ. e 12 preleggi, falsa
applicazione dell’art. 1218 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato nulla la clausola atipica – contenuta nel COGNOME con cui si prevedeva l’obbligo dei venditori di corrispondere una penale di €100 ,00 al giorno nell’ipotesi di ritardo nella consegna delle opere relative al giardino, incluso il ritardo nei tempi di rilascio della concessione in sanatoria da parte del Comune – in quanto non supererebbe il vaglio di meritevolezza, ex art. 1322 cod. civ., stante il superamento dello squilibrio negoziale tale da implicare la mancanza di causa giustificatrice. Nella ricostruzione del ricorrente si tratta, invece, di clausola di assunzione del rischio perfettamente valida, posto che nel nostro sistema giuridico -che non riconosce il principio di equivalenza del sinallagma -non è consentito il sindacato sull’equivalenza delle prestazioni; né può il giudizio di meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c. trasformarsi in un inammissibile intervento del giudice sulla convenienza dell’affare (Cass. Sez. 2, n. 36740 del 25.11.2021, richiamata in memoria).
2.1. Il motivo è fondato. Deve preliminarmente rilevarsi l’inconferente riferimento nel mezzo di gravame al principio di diritto enunciato, in obiter , da una pronuncia di questa Corte (Cass. n. 36740 del 2021, cit.) con riferimento ad un rapporto intercorso tra un consumatore ed un professionista, mentre nel caso che ci occupa entrambi i soggetti del contratto di compravendita immobiliare sono «parti private»: il rapporto è, pertanto, qualificabile come «C2C» (secondo la terminologia comunitaria), rispetto al quale l’allora vigente art. 1469bis , comma 1, cod. civ. non poteva trovare applicazione.
2.2. Tanto premesso, il patto dichiarato nullo dalla Corte distrettuale, inserito nell’atto pubblico di compravendita, così recita: «I venditori si obbligano nel caso in cui i lavori stessi non fossero, sia pure
per motivi non dipendenti dalla loro volontà, completati per il 30 aprile 2003, a versare una penale di €100,00 al giorno per i primi 250 giorni di ritardo a partire dal 1° maggio 2003. A tal fine consegnano all’acquirente un assegno di €25.000,00 che l’ac quirente metterà all’incasso immediatamente, autorizzandolo, in caso di ritardo nel completamento dei lavori, a trattenere la somma di €100,00 al giorno, con la restituzione della differenza ai venditori entro il periodo di 250 giorni di cui innanzi, salvi gli ulteriori danni in caso di ritardo superiore a 250 giorni nel completamento dei lavori medesimi». La Corte distrettuale – correttamente riferendosi ad un orientamento consolidato di questa Corte che esclude l’applicabilità degli effetti specifici stabiliti dal legislatore per la clausola penale in assenza di inadempimento o ritardo imputabile al debitore (Cass. n. 4603 del 02/08/1984, cit. dalla Corte d’appello, conf ermata di recente da: Cass. n. 13956 del 2019; Cass. 10/05/2012, n. 7180; 30/01/1995, n. 1097) – ha escluso che la pattuizione in esame possa essere qualificata come clausola penale, trattandosi invece di clausola di contenuto atipico, come tale assoggettabile al vaglio di meritevolezza, ex art. 1322, comma 2, cod. civ.
2.2.1. Il Collegio non condivide, tuttavia, né l’opportunità di sottoporre al vaglio di meritevolezza una pattuizione lecita, né le ragioni in virtù delle quali la Corte distrettuale perviene ad un esito negativo di tale giudizio, laddove ritiene che il forte squilibrio dell’assetto negoziale, a tutto vantaggio dell’acquirente, implichi la mancanza di causa giustificatrice.
Deve innanzitutto rilevarsi che la questione relativa allo squilibrio originario nello scambio tra attribuzioni reciproche non è attratta nell’area della causa, poiché opera sul piano degli effetti, e quindi sul piano del rapporto negoziale e della sua esecuzione: eventuali squilibri
nelle reciproche attribuzioni patrimoniali non comportano l’invalidità dell’atto di autonomia sotto il profilo della causa, ma postulano un concreto assetto di interessi eminentemente «privati» e, quindi, l’eventuale ricorso a strumenti di tutela di natura risolutoria. Quando, infatti, la prestazione reciproca conserva un significato trasparente e un contenuto lecito, non spetta ad un’autorità esterna alle parti -qual è quella giudiziale, priva dei poteri preventivi e generali del legislatore – il giudizio, singolare e a posteriori, sull’equilibrio dei valori scambiati . Del resto, l ‘interesse non meritevole di tutela si colloca tra il difetto di causa (anche per assenza di serietà di essa) e la causa illecita (per contrasto con norme imperative, con l’ordine pubblico, con il buon costume).
2.2.2. Venendo al caso di specie, i contenuti essenziali che emergono dalla pattuizione sopra riportata possono essere così riassunti: nel regolamento degli opposti interessi, l’obbligo di completamento dei lavori del giardino pertinenziale – assunto dalla parte venditrice anche con precise scadenze temporali, che giungono fino ad includere un maggior danno rispetto a quello forfettariamente pattuito -è sostenuto da un obbligo risarcitorio che assume connotazioni di garanzia nei confronti degli interessi della parte acquirente, tanto da essere onorato in parte in anticipo, e comunque dovuto anche nel caso in cui l’inadempimento, o il ritardo nell’adempimento, si verifichi a prescindere dalla sua imputabilità in capo agli obbligati.
2.2.3. Esclusa l’illiceità di tale pattuizione, un controllo in termini di meritevolezza si imporrebbe ove non risultasse con chiarezza la concreta ragione che induce le parti ad uno scambio. Una volta emerse le ragioni lecite, il patto atipico si pone al di qua del confine con la nullità per difetto del titolo giustificativo dello scambio: solo varcato
detto confine troviamo la regola dell’art. 1322 cod. civ. che meriti il costo di una coercizione giudiziale.
Quel che rende meritevole di tutela una situazione fondata su un patto atipico lecito né del tutto irrilevante è un canone di giudizio interno -che spetta al giudice del merito individuare -all ‘equilibrio complessivo fra i contrapposti interessi privati. Nel caso che ci occupa, la causa giustificatrice del patto atipico lecito sopra riportato non è assolutamente mancante: essa è, invece, rinvenibile nell ‘intento di garanzia rispetto a rischi (p.e.: la concessione in sanatoria da parte del Comune) dei quali parte acquirente si è del tutto spogliata, e dei quali si è fatta invece interamente carico parte venditrice.
2.3. La pronuncia merita, pertanto, di essere cassata in parte qua , e il giudizio rinviato alla medesima Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione affinché, alla luce dei criteri sopra definiti, verifichi la persistenza di un equilibrio tra i contrapposti interessi dei venditori e dell’ acquirente.
Con il terzo motivo si deduce violazione degli artt. 1175, 1337, 1375, 1489, 2697 cod. civ., e dell’artt. 115 cod. proc. civ, nonché falsa applicazione dell’art. 342, comma 1, cod. proc. civ., in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. La Corte d’appello ha erroneamente ritenuto inammissibile il terzo motivo d’appe llo attinente all’incongruenza della valutazione operata dal giudice di prime cure riguardo al valore dell’ actio quanti minoris e alla conseguente incongruità della riduzione del prezzo di acquisto in conseguenza dell’importante diminuzione del valore dell’immobile acquistato, a séguito dell’innalzamento di una rete a cura del vicino che avrebbe limitato la panoramica dell’immobile.
3.1. Il motivo è inammissibile. La Corte d’appello ha compiutamente e coerentemente risposto nel merito, valutando come
«fumosi e generici» (v. sentenza p. 18, rigo 6) gli assunti dell’appellante sulla diminuzione di valore dell’immobile, non avendo egli prodotto dati oggettivi (invece riscontrati nell’argomentazione del giudice di prime cure, avallata in sede di appello, il quale si è avvalso di riscontri planimetrici e fotografici), né un’indagine d el mercato immobiliare.
In definitiva, il ricorrente chiede a questa Corte una nuova valutazione delle emergenze probatorie, già adeguatamente fornita dal giudice di seconde cure e perciò insindacabile in questa sede, come ricordato supra al punto 1.3.
Con il quarto motivo si deduce violazione degli artt. 1218, 1219, 1223, 1224, comma 1, 1282, 1284 cod. civ., dell’art. 112 cod. proc. civ, nonché falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ., con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. c iv. Il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria sulle somme ritenute di sua spettanza (residuo credito di €2.555,95 per la sistemazione dell’area giardino; €4.400,00 per la diminuzione di valore del bene): si tratterebbe, infatti, di crediti derivanti da inadempimento contrattuale, in quanto tali aventi natura di debiti di valore.
4.1. Il motivo è fondato per quanto di ragione. Con riferimento alla residua parte delle spese, si tratta, appunto, di esborsi per lavori di sistemazione dell’immobile venduto, non già di poste risarcitorie , rispetto alle quali questa Corte ha già avuto modo di escluderne la rivalutazione, trattandosi di debiti di valuta (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5135 del 21/02/2019, Rv. 652697 -01; Cass., sez. un., n. 3873/2018).
4.1.1. Considerazioni analoghe possono svolgersi con riferimento all’azione di riduzione del prezzo: «In tema di azione di riduzione del
prezzo di cui all’art. 1492 cod. civ., l’obbligazione del venditore di restituire una parte del prezzo ricevuto in pagamento ha natura di debito di valuta, con la conseguenza che la svalutazione monetaria sopraggiunta durante la mora del debitore non giustifica l’automatico risarcimento del maggior danno per quella svalutazione, potendo quest’ultimo essere eventualmente dovuto, a norma dell’art. 1224 cod. civ., nel solo caso in cui il creditore ne faccia richiesta e provi di avere subito un pregiudizio patrimoniale» (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 724 del 06/02/1989, Rv. 461765 -01; più di recente: Sez. 2, Sentenza n. 2060 del 29/01/2013, Rv. 624942 – 01).
4.2. Quanto, invece, alla diversa questione degli interessi legali, essi vanno riconosciuti dalla richiesta al saldo. Anche su questo punto, pertanto, il Collegio cassa la pronuncia impugnata e rinvia alla med esima Corte d’Appello.
In definitiva, il Collegio dichiara inammissibili il primo e il terzo motivo del ricorso; accoglie il secondo e quarto motivo, nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla medesima Corte d’Appello in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibili il primo e il terzo motivo del ricorso;
in accoglimento del secondo e quarto motivo, nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, l’8 novembre 2023 .
La Presidente
COGNOME NOME COGNOME