Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18517 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 18517 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 10041-2017 r.g. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in PARMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende unitamente a ll’avv. COGNOME
-ricorrente -contro
RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOMERAGIONE_SOCIALE BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA RAGIONE_SOCIALE SARDEGNA RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, COGNOME RAGIONE_SOCIALE
avverso il decreto n. 816/2017 della Corte di appello di Bologna, depositato in data 1.3.2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/5/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi il rigetto del ricorso;
FATTI DI CAUSA
1.Con il provvedimento impugnato la Corte di Appello di appello di Bologna ha rigettato il reclamo proposto da COGNOME nei confronti dei sopra indicati intimati, avente ad oggetto l’impugnativa del provvedimento , emesso in data 19/20.10.2016, con il quale il Tribunale di Parma aveva dichiarato inammissibile il ricorso per esdebitazione proposto dal Foglia.
La corte del merito ha ritenuto, per quanto qui ancora di interesse, che non ricorrevano i requisiti soggettivi per l’ammissione al beneficio esdebitatorio, per come previsti dall’art. 142 l. fall., in quanto: (i) la lettura del combinato disposto degli artt. 445, comma 1bis, e 653, comma 1bis, c.p.p., induceva a far ritenere che anche la sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. per il reato di bancarotta fraudolenta contestato al fallito, essendo equiparabile ‘ad una pronuncia di condanna’, fosse osta tiva alla concessione del beneficio richiesto, stante l’assenza di una ‘diversa disposizione di legge’, secondo quanto espressamente previsto dall’ultima parte dell’art. 445, comma 1bis, c.p.p.; (ii) non essendo peraltro intervenuta riabilitazione, era anche ininfluente la pendenza innanzi al Tribunale di Sorveglianza dell’affidamento in prova ai servizi sociali, non potendo il procedimento in corso essere sospeso in attesa che l’iniziato iter potesse arrivare a conclusione ed essendo inconferente il richia mo all’istituto della sospensione di cui all’ultima parte dell’art. 142, 1 comma, n. 6, l. fall..
Il provvedimento, pubblicato il 1.3.2017, è stato impugnato da COGNOME con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Con ordinanza interlocutoria datata 11 luglio 2024, questa Prima Sezione ha ritenuto che le questioni dibattute nel primo e secondo motivo di ricorso meritassero approfondimento, mediante discussione in pubblica udienza. Più
in particolare ed in relazione a quelle proposte nel primo motivo, il Collegio ha ritenuto che costituiva questione di evidente rilievo nomofilattico accertare se, quale elemento ostativo al riconoscimento dell’esdebitazione, alla sentenza di condanna per uno dei reati previsti dall’art. 142 , comma 1° n. 6 L.F. potesse essere o meno equiparata la sentenza di c.d. patteggiamento della pena.
Gli intimati, sopra indicati in epigrafe, non hanno svolto difese.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Il P.G., nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 445, 1 bis comma, c.p.p., sul rilievo che sarebbe stata erronea la decisione della Corte di appello nel ritenere, come causa ostativa soggettiva al riconoscimento del richiesto beneficio dell ‘ esdebitazione, la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, e ciò in ragione del dato normativo dettato dall’art. 445, 1 bis comma, c.p.p., norma a tenore della quale la sentenza ex art. 444, 2 comma, non avrebbe efficacia nei giudizi civili ed amministrativi.
1.1 Il motivo di doglianza è infondato.
1.2 La questione controversa consiste nello stabilire se la sentenza cd. di patteggiamento possa o meno essere equiparata, ai fini dell’esdebitazione, alla sentenza di condanna per uno dei reati previsti dall’art. 142, primo comma, n. 6 l. fall., tenuto anche conto delle modifiche apportate all’art. 445, co. 1-bis, c.p.p. dalla riforma cd. Cartabia (D.lgs. n. 150/2022, in vigore dal 30.12.22).
La prima questione da affrontare attiene all’ applicabilità ratione temporis della norma sopravvenuta contenuta nell’art. 445, comma 1 -bis, c.p.p.
1.3 Sul punto giova ricordare che, prima della novella legislativa di cui al D.lgs. n. 150/2022 (entrato in vigore il 30.12.2022), la norma da ultimo citata così recitava: « Salvo quanto previsto dall’art. 653 la sentenza prevista dall’art. 444, co. 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del
dibattimento, non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Salvo diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna ». Orbene, con il dichiarato fine di rendere più appetibile il ricorso al patteggiamento, come strumento deflattivo del dibattimento, in esito al successivo D.lgs. n. 150/2022, il testo dell’art. 445, co. 1 -bis è stato così riformulato dal legislatore: « La sentenza prevista dall’art. 444, co. 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia e non può essere utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l’a ccertamento della responsabilità contabile. Se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall’art. 444, comma 2, alla sentenza di condanna. Salvo quanto previsto dal primo e dal secondo periodo o da diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna ».
1.4 Sul punto qui ora in discussione è utile ricordare che, nelle more della fissazione in pubblica udienza del presente ricorso, la sopra indicata questione di diritto intertemporale è stata trattata dalle Sezioni Unite di questa Corte che, con sentenza n. 6548 del 2025, hanno osservato che: l’art. 445, comma 1-bis, c.p.p., introdotto art. 25, co. 1, lett. b) D.Lgs. n. 150/2022, è entrato in vigore il 30.12.2022, senza che sia stata approntata disciplina transitoria; – che la norma, come già la sede di allocazione avverte, ha natura meramente processuale e che dunque è soggetta al principio generale della regola vigente al tempo dello svolgimento del modulo processuale sul quale si ripercuote e nel quale si inserisce (‘tempus regit actum’) ; -che solo un’espressa previsione normativa può assegnare, in tutto o in parte, anticipata applicazione alla nuova disciplina processuale, ipotesi questa non sussistente nel caso di specie.
Occorre precisare – in riferimento all a determinazione dell’ actus , cui ancorare temporalmente l’applicazione della disciplina processuale qui rilevante – che tale atto non può che essere riferito alla sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. al momento della sua materiale emissione, essendo quest’ultimo il tempus in relazione al quale discernere la norma processuale applicabile di volta in volta al caso di specie (v. Cass. Sez. Un. pen. n. 27614
del 29.3.2007; v. anche: Cass. pen. Sez. 6, Sentenza n. 19117 del 23/03/2018; Cass. pen. Sez. 1, Sentenza n. 27004 del 29/04/2021).
Ne consegue che, nella fattispecie, deve trovare applicazione la regola processuale vigente al momento dell’emissione della sentenza di patteggiamento, e cioè quella posta dall’art. 445, comma 1 bis, c.p.p. , nella formulazione antecedente alle modifiche apportate nel 2022.
1.5 Ciò posto, resta da verificare la correttezza giuridica dell’equiparazione -contenuta nel decreto qui impugnato ai fini impeditivi previsti dall’art. 142, comma 1, n. 6, l. fall. tra sentenza di condanna e quella di applicazione della pena su richiesta delle parti, nel regime processuale, pertanto, antecedente alla cd. riforma Cartabia.
Ritiene la Corte che deve ritenersi preferibile la tesi secondo cui la pronuncia di patteggiamento è equiparabile alla sentenza di condanna, in modo tale che entrambe ostano al riconoscimento del beneficio previsto dall’art. 142 l.fall.
Diversi argomenti militano a favore della soluzione qui accolta.
1.5.1 U na corretta esegesi del disposto normativo dettato dall’art. 445, comma 1 bis, c.p.p. non può che partire da un punto fermo. E, cioè, che, se la clausola di salvaguardia legittima le cd. eccezioni alla regola – ovvero tutti gli effetti premiali, favorevoli o in bonam partem che il legislatore vuole far discendere dalla pronuncia con chiara funzione incentivante (e costituiti dai benefici ex art. 445 c.p.p., normalmente incompatibili con una pronuncia di condanna) – al di fuori di questo numerus clausus la regola che permane è quella della piena equiparazione ad una sentenza di condanna, con tutti gli effetti in malam partem che essa produce.
1.5.2 Nella medesima direzione interpretativa converge l’argomento letterale. L’art. 445, comma 1 -bis, c.p.p., nel testo ratione temporis applicabile alla fattispecie, stabilisce che ‘ Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza (e cioè quella di applicazione della pena su richiesta delle parti, n.d.r.) è equiparata ad una sentenza di condanna ‘. Da tale disposizione è dunque ragionevole inferire che ogniqualvolta le norme (penali o extrapenali) menzionano genericamente ‘ la sentenza di condanna ‘ esse debbono ritenersi applicabili anche in presenza di una pronuncia di patteggiamento.
Per essere esclusa la citata equiparazione occorrerebbe, infatti, una specifica previsione normativa di carattere derogatorio. Previsione tuttavia mancante nell’ordinamento positivo.
1.5.4 A ciò va aggiunto, come correttamente osservato dalla Procura generale nella sua requisitoria scritta, che, ai fini dell’applicabilità dell’art. 142 l. fall., la sentenza di condanna viene in evidenza non per gli effetti di giudicato, quali delineati dall’art. 653 c.p.p., comma 1-bis, ma quale ‘ fatto storico ‘, come tale di per sé ostativo ex lege al riconoscimento del beneficio esdebitatorio. La sentenza di condanna integra, cioè, un elemento normativo già previsto ed apprezzato ex ante dal legislatore come requisito impediente il beneficio in parola, perché collegato ad una intrinseca valutazione di non meritevolezza del soggetto attinto dal provvedimento penale di condanna, per i reati espressamente previsti dall’art. 142 , primo comma, n. 6, l. fall., fatta salva sempre la possibilità della riabilitazione.
Sul punto è opportuno un breve cenno alla natura dell’istituto della esdebitazione.
L’esdebitazione, positivamente disciplinata dall’art. 142 l. fall., ha fatto ingresso nell’ordinamento interno solo in epoca recente, con la novella apportata dal D.lgs. n. 5/2006, soppressivo del previgente istituto della cd. riabilitazione civile del fallito (tesa alla sua riqualificazione mediante caducazione delle incapacità personali a carattere sanzionatorio derivanti dall’iscrizione nel registro dei falliti, poi abolito ). A mente della norma da ultimo ricordata, « il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti » al ricorrere di determinati presupposti, definiti indici o requisiti di meritevolezza, derogando al principio sancito nell’art. 2740 c.c. della responsabilità patrimoniale. Avuto specifico riguardo, per quanto concerne la questione qui in esame, al primo comma, la norma dettata dal predetto art. 142 prevede – in adesione alla sua natura essenzialmente premiale – il ricorrere di una serie di condizioni (di carattere fondamentalmente soggettivo e a carattere positivo o negativo, a seconda che se ne prescriva la presenza oppure l’assenza ai fini del riconoscimento del beneficio) riguardanti, da un lato, la condotta tenuta ad opera del debitore sia prima che durante la
procedura e, dall’altro , l’assenza di circostanze impeditive personali , consistenti in condotte antigiuridiche, concretatesi o meno in una condanna penale. Segnatamente, all’interno della seconda categoria è possibile rinvenire circostanze impeditive personali relative a condotte antigiuridiche, tanto non concretatesi in una condanna penale (n. 5: distrazione dell’attivo, esposizione di passività insussistenti, avere cagionato/aggravato il dissesto, avere reso gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, avere fatto ricorso abusivo al credito), quanto concretatesi in determinate condanne penali ostative (il n. 6, oggetto del presente ricorso, ove si prescrive che il debitore « non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione. Se è in corso il procedimento penale per uno di tali reati, il tribunale sospende il procedimento fino all’esito di quello penale »).
1.5.5 Pertanto, nonostante in dottrina si sostenga che nel patteggiamento manchi l’accertamento, ‘limitandosi il giudice ad una verifica negativa sulle cause di non punibilità, ad un controllo sommario sull’assenza di contrasti sull’ipotesi fattuale prospettata dalle parti e gli atti dell’indagine’, il richiamo all’art. 129 c.p.p. contenuto nell’art. 444, comma 2, c.p.p. rappresenta, al contrario, ‘l’indice più palese dell’indispensabilità e indisponibilità della cognizione giurisdizionale anche in un procedimento di matrice negoziale’. Il fatto, cioè, che il giudice non svolga una mera funzione ‘notarile’ , ma debba verificare se sussistono le condizioni ex art. 129 c.p.p. rappresenta il riconoscimento di poteri cognitivi che culminano in un accertamento, sia pur sommario e incompleto, indubbiamente diverso da quello che presuppone una plena cognitio , ma che tuttavia integra pur sempre un giudizio.
1.5.6 Del resto, l’interpretazione dell’istituto in esame qui accolta risulta conforme al sistema complessivo dettato dal codice di procedura penale. Sono, infatti, riconducibili all’ampio genus delle sentenze di condanna tutte le pronunce che irrogano la pena, indipendentemente dal rito che ha condotto alla loro emanazione. In questa prospettiva sono, dunque, assimilabili, in
difetto di altre indicazioni, non solo le sentenze di condanna emesse a seguito di dibattimento o di giudizio abbreviato, ma anche il decreto penale di condanna ovvero , per l’appunto, la pronuncia di patteggiamento.
Quanto sin qui sostenuto trova conferma nella giurisprudenza di legittimità civile e penale.
In primo luogo, la Cassazione penale ha ribadito la piena equiparazione della sentenza di condanna alla pronuncia di patteggiamento: – in tema di attenuanti generiche (Cass. pen. n. 23952 del 2015 ha affermato che anche la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. configura un precedente penale valutabile ai sensi dell’art. 133 c.p.c. : v. anche Cass. pen. 11225/1999); – in tema di sospensione condizionale della pena (Cass. pen. n. 43095 del 2021 ha affermato che, ai fini della sospensione condizionale della pena, la sentenza di patteggiamento, in quanto equiparata a sentenza di condanna, costituisce un precedente penale, valutabile anche nell’ipotesi in cui sia già intervenuta, ai sensi dell’art. 445, comma 2, c.p.p., l’estinzione del reato cui essa si riferisce; v. anche Cass. pen. n. 26527/2024).
La stessa conclusione ha trovato conferma nella giurisprudenza tributaria (v., ad esempio, Cass. n. 29142 del 2021, in cui si ammette che la sentenza di patteggiamento ‘avendo natura di sentenza di condanna’ possa essere utilizzata come prova dal giudice tributario).
Anche la Cassazione civile ha in più occasioni ribadito, seppure incidentalmente, analogo principio evidenziando che la pronuncia di patteggiamento ha una efficacia probatoria limitata nei giudizi civili, non per ragioni di carattere sistematico (e, dunque, in ragione del fatto che essa non è equiparabile alla comune sentenza di condanna), ma solo in considerazione dell ‘espressa previsione dell’art. 445 c.p.p. che, in deroga al disposto degli artt. 651 e 652 c.p.p., prevede che detta pronuncia ‘non ha effic acia nei giudizi civili o amministrativi’ ove, pertanto, può assumere esclusivamente la valenza di un indizio liberamente valutabile (sul punto, v. Cass. n. 26250 del 2011, Cass. n. 26263 del 2011; Cass. n. 22213 del 2013 ; nonché Cass. n. 20170 del 2018; Cass. n. 40796 del 2021 e Cass. n. 2897 del 2024).
1.5.7 In conclusione, la lettura planare dell’art. 445 c.p.p. induce a ritenere che, in difetto di una disposizione derogatoria espressa, la sentenza di
applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. si ascrive tra le sentenze di condanna, senza che occorrano ulteriori precisazioni.
A ciò va aggiunto che l ‘ equipollenza tra la sentenza di condanna e la pronuncia di patteggiamento non può essere negata neanche in considerazione del fatto che quest’ultima non fa ccia stato nei giudizi civili e amministrativi di danno quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’impugnato lo ha commesso. Ed invero, tale limitata valenza probatoria della pronuncia di patteggiamento è riconducibile all’espressa previsione dell’art. 445 c.p.p. che, a fini premiali, deroga espressamente le regole generali dettate dagli artt. 651 e 652 c.p.p.
Prova ne è il fatto: -che la sentenza di patteggiamento è, invece, vincolante nel giudizio disciplinare poiché l’art. 445 c.p.p., nella versione ratione temporis applicabile, nel prevedere che la sentenza di patteggiamento non possa fare stato nei soli giudizi civili e amministrativi, non deroga a quanto previsto in termini generali dall’art. 653 c.p.p. (Cass., sez. L., n. 20721 del 2019); – che, ai fini della decorrenza del termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da reato, nei casi previsti dall’art. 2947, comma 3, seconda parte, c.c., nella nozione di sentenza irrevocabile deve ritenersi compresa anche quella pronunciata a seguito di patteggiamento, rispetto alla quale trova pur sempre attuazione la ratio , propria della disposizione citata, di escludere l’effetto – più favorevole per il danneggiato dell’applicazione del termine prescrizionale più ampio, nei casi in cui il procedimento penale non abbia avuto un esito fausto per il danneggiato (Cass. n. 32474 del 2023).
Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 142. 1 comma, n. 6, l. fall. e art. 12 disp. prel. c.c., sul rilievo che avrebbe errato la Corte territoriale nel rit enere che ‘non essendo intervenuta riabilitazione’ sarebbe stato ‘ininfluente la pendenza innanzi al Tribunale di sorveglianza dell’istanza per la concessione …’ ‘dell’affidamento in prova ai servizi sociali’, pena, diversamente ragionando, la manifesta fondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma in esame, per un evidente disparità di
trattamento tra i due istituti che prevedono invece egualmente l ‘ estinzione di ogni effetto penale della sentenza di condanna.
2.1 Il secondo motivo è anch’esso infondato.
Sul punto occorre ricordare che è recentemente intervenuta la sentenza n. 2461 del 2025 con cui questa Corte, escludendo che le caratteristiche della norma fallimentare (i.e., l’art. 142) consentano di procedere ad una sua interpretazione nei termini estensivi prospettati dal ricorrente, ha formulato il seguente p rincipio di diritto: ‘il disposto dell’art. 142, comma 1, n. 6, l. fall., laddove consente che l’esdebitazione operi, nonostante la condanna per i delitti di bancarotta fraudolenta, contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio e altri compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, nel caso in cui sia intervenuta la riabilitazione, prevede un’espressa deroga con riferimento proprio all’istituto regolato dagli artt. 178 e s. cod. pen., che non può essere interpretata estensivamente, così da ricomprendere anche l’affidamento in prova ai servizi sociali di cui all’art. 47, comma 12, l. 354/1975, stante la diversità di ratio e presupposti dei due istituti’. Con la conseguenza che l’estinzione di ogni effetto penale determinata dall’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale non comporta che delle relative condanne non debba tenersi conto per il riconoscimento dell’esdebitazione.
Le conclusioni esposte in relazione al motivo che precede hanno effetto assorbente rispetto all’esame del terzo motivo, ove si prospettava la necessità di sospendere il procedimento per il riconoscimento dell’esdebitazione , in attesa del superamento con esito positivo dell’affidamento in prova ai servizi sociali.
Occorre prendere atto infine della rinuncia al quarto motivo (v. pag. 6 della memoria illustrativa).
In relazione al primo motivo di ricorso, occorre affermare il seguente principio di diritto: ‘ In tema di riconoscimento del beneficio dell’esdebitazione, ai fini della sussistenza della condizione ostativa indicata dall’art. 142, primo comma, n. 6, l. fall., deve ritenersi equiparata alla sentenza penale di condanna la sentenza di ‘patteggiamento’ della pena, alla luce del disposto normativo contenuto nell’ultimo periodo dell’art. 445, comma 1bis, c.p.p.,
ratione temporis applicabile, prima della riforma dettata dall’art. 25, comma 1, lett. b), D.lgs. n. 150 del 2022 (cd. Riforma Cartabia )’.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa delle parti intimate.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 14.5.2025