Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28223 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 28223 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9536/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE),
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE NOME NOME,
-intimato- avverso il decreto del Tribunale Napoli Nord n.cron. 558/2020 depositato il 10/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Napoli Nord, con l’impugnato provvedimento, accoglieva il ricorso per revocazione ex art. 98, comma 5°, l.fall.
proposto dal RAGIONE_SOCIALE nei confronti del creditore COGNOME NOME, rideterminando la somma oggetto di ammissione in chirografo di quest’ultimo nel minor importo di € 71.000 in luogo della somma di € 73.000 già riconosciuta ed ammessa dal Giudice Delegato e condannando il COGNOME alla rifusione delle spese liquidate in € 4.000 – nei confronti dell’Erario, in quanto il RAGIONE_SOCIALE risultava ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
1.1 In particolare, dall’esame della documentazione da parte del curatore era emerso un pagamento ad opera della società fallita in favore del COGNOME di € 2.000 che quest’ultimo aveva omesso di segnalare nella domanda di insinuazione allo stato passivo.
COGNOME NOME ha proposto ricorso per la cassazione del decreto affidato ad un unico motivo, illustrato con memoria; il RAGIONE_SOCIALE è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il mezzo di impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c., 130-133 d.P.R. n. 115/2002, 3, comma 2°, Cost e 1226 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3, c.p.c.: si sostiene che la condanna del ricorrente al pagamento della somma di € 4.000 per spese, da versarsi in favore dell’Erario, stante l’ammissione della RAGIONE_SOCIALE al patrocinio a spese dello stato, sia ingiusta in quanto la normativa speciale sulla liquidazione della parte ammessa al patrocinio a spese dello stato prevede che la determinazione dei compensi avvenga nei limiti del minimo tabellare con riduzione della metà.
1.1 Lamenta, inoltre, il ricorrente che la condanna al pagamento di € 4.000 , oltre spese generali al 15%, IVA e cassa come per legge (in totale circa € 5.600), a fronte della domanda di riduzione di € 2.000 e di una contenuta attività processuale (una sola udienza di
trattazione e discussione), sia stata irragionevole, giacché il Tribunale, ove avesse avuto riguardo al valore della causa, alle difese svolte dall’odierno ricorrente e alle attività processuali che in concreto si erano svolte, avrebbe dovuto compensare le spese o, quanto meno, contenerle nei minimi tariffari.
2 Il motivo risulta in parte infondato e, per altra parte, inammissibile.
2.1 Va rilevato che questa Corte, superando l’orientamento espresso nel precedente citato nel ricorso (cfr. Cass. 21611/2017 ma vedi anche Cass. Penale 18167/2016), che enunciava il principio della necessaria coincidenza tra la somma che va rifusa allo Stato ai sensi dell’art. 133, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002 e quella erogata dallo Stato stesso al difensore della parte non abbiente, è pervenuta alla conclusione opposta, affermando che «in tema di patrocinio a spese dello Stato, qualora risulti vittoriosa la parte ammessa al detto patrocinio, il giudice civile, diversamente da quello penale, non è tenuto a quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato ex art. 133 del d.P.R. n. 115 del 2002 e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt. 82 e 130 del medesimo d.P.R., alla luce delle peculiarità che caratterizzano il sistema processualpenalistico di patrocinio a spese dello Stato e del fatto che, in caso contrario, si verificherebbe una disapplicazione del summenzionato art. 130. In tal modo, si evita che la parte soccombente verso quella non abbiente sia avvantaggiata rispetto agli altri soccombenti e si consente allo Stato, tramite l’eventuale incasso di somme maggiori rispetto a quelle liquidate al singolo difensore, di compensare le situazioni di mancato recupero di quanto corrisposto e di contribuire al funzionamento del sistema nella sua globalità» (cfr. Cass. nn. 22017/2018, 11590/2019, 8387/2019, 19/2020, 136/2020, 777/2021 e 31928/2023).
2.2 Le ragioni poste a sostegno di questo consolidato approdo ermeneutico della Corte di cassazione civile sono le seguenti: i) non vi sono motivi per ritenere che nel processo civile la parte che risulti soccombente nei confronti della parte non abbiente debba essere avvantaggiata (con evidente violazione del principio di uguaglianza) rispetto alle altre parti soccombenti; ii) il soccombente è tenuto per definizione a corrispondere l’importo liquidato dal giudice secondo tariffa, non l’importo che il vincitore deve al proprio difensore, che non costituisce, infatti, parametro per la liquidazione giudiziale; iii) la valutazione dell’eventuale effetto d’arricchimento dell’Erario non va effettuata in modo atomistico con riguardo alla singola lite, bensì in generale con riguardo al pubblico servizio (difesa assicurata ai non abbienti) reso dallo Stato.
2.3 La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 10/2024, ha dichiarato infondata la questione di incostituzionalità, sollevata dal Tribunale di Cagliari dell’art. 133, comma 1°, del d.lgs. n. 113 del 2002, trasfuso nell’art. 133, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002, per violazione degli artt. 3, 23, 53, 76 e 111, comma 2, Cost., nella parte in cui, secondo l’interpretazione datane dal diritto vivente, prevede che, in caso di vittoria della lite della parte non abbiente ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, il giudice civile quantifichi le spese processuali dovute a quest’ultimo dal soccombente «secondo i criteri ordinari, in misura piena e quindi superiore rispetto a quella dei compensi dovuti dallo Stato al difensore del non abbiente».
2.4 Al lume delle suesposte considerazioni, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, va escluso che il giudice debba quantificare le spese dovute allo Stato dalla parte soccombente nella misura, dimidiata, che lo Stato stesso è tenuto a versare al difensore della parte non abbiente vittoriosa.
Il profilo della censura che investe la complessiva quantificazione delle spese è inammissibile in quanto la contestazione è aspecifica.
Deve preliminarmente precisarsi che il Tribunale ha dato atto della costituzione nel giudizio di revocazione del COGNOME , che ha contestato la domanda proposta dalla curatela ed ha concluso « confidando totalmente nella giustizia, con vittoria di spese ».
3.1 Ciò premesso, va osservato che, in tema di condanna alle spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è soltanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (cfr. Cass. n. 19613/2017).
3.2 Orbene la doglianza è priva di argomentazioni specifiche in quanto si limita ad una generica denuncia circa l’eccessività delle somme liquidate dal giudice, in relazione al valore della causa e alle attività svolte.
3.3 Al riguardo, giova rammentare il principio espresso da questa Corte secondo il quale, «in tema di spese processuali, è inammissibile il ricorso per cassazione che si limiti alla generica denuncia dell’avvenuta violazione del principio di inderogabilità della tariffa professionale per l’importanza del giudizio presupposto e per la complessità delle questioni giuridiche trattate, atteso che, in applicazione del principio di autosufficienza, devono essere specificati gli errori commessi dal giudice e precisate le voci della tabella degli onorari e dei diritti che si ritengono violate» (cfr., ex multis , n. 18190/2015 e 5683/2016).
In conclusione, il ricorso è rigettato.
Nulla è da statuirsi sulle spese, non avendo il RAGIONE_SOCIALE svolto difese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del d.P.R. del 30.05.2002 n.115, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, se dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella Camera di Consiglio tenutasi in data 10 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME