Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1753 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1753 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18334/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente l.r. NOME COGNOME, nonché COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente del RAGIONE_SOCIALE di Amministrazione e Legale Rappresentante, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore della Direzione RAGIONE_SOCIALE Legali e Societari, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, COGNOME;
-intimati-
nonché contro
PRESIDENZA DEL RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO, presso l ‘ RAGIONE_SOCIALE che la rappresenta e difende;
-resistente con atto di costituzione- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2024/2020 depositata il 22/04/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/10/2023 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
Nel 2010, la RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME
(ex presidente della suddetta RAGIONE_SOCIALE), la RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE al fine di sentirli condannare, in solido, al pagamento dell’importo di euro 250.000 inadempimento della convenzione stipulata tra le parti.
A fondamento della propria pretesa, parte attrice deduceva che nel 2007 la RAGIONE_SOCIALE aveva stipulato con la RAGIONE_SOCIALE un accordo per la realizzazione di una campagna di comunicazione al fine di promuovere l’attività sportiva in alta montagna nel rispetto dell’ambiente; nella stipula di tale accordo la RAGIONE_SOCIALE era intervenuta in nome e per conto della RAGIONE_SOCIALE nonché della RAGIONE_SOCIALE, garantendo il pagamento del corrispettivo pattuito per complessivi euro 250.000. Pertanto, la RAGIONE_SOCIALE dopo aver eseguito la prestazione, in conformità della convenzione, chiedeva il pagamento dell’importo pattuito.
Alla prima udienza di trattazione il Tribunale, in relazione alle eccezioni sollevate dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE in merito all’autenticità delle firme apposte in calce alle note del 10 maggio 2007, autorizzava RAGIONE_SOCIALE e COGNOME a chiamare in causa la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, ai quali veniva estesa la domanda di garanzia, sul presupposto che le lettere disconosciute erano state trasmesse dalla RAGIONE_SOCIALE in persona del suo direttore NOME COGNOME.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 1253/14, accoglieva la domanda della RAGIONE_SOCIALE e condannava la RAGIONE_SOCIALE, unitamente al suo presidente, NOME COGNOME a pagare in favore della RAGIONE_SOCIALE euro 250.000, oltre interessi dalla domanda; condannava la RAGIONE_SOCIALE e il suo presidente COGNOME a tenere indenne RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE di quanto dovuto alla RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, il giudice dopo aver accertato la falsità delle comunicazioni riteneva che la convenzione stipulata con la RAGIONE_SOCIALE non
potesse produrre effetti vincolanti per la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE con la conseguente infondatezza nei loro confronti della domanda della RAGIONE_SOCIALE e di garanzia della RAGIONE_SOCIALE. Rilevava anche che nella convenzione l’obbligo di pagare il corrispettivo era previsto direttamente in capo all’RAGIONE_SOCIALE sicché il mandato ad essa conferitole da terzi sarebbe stato privo di rappresentanza.
La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 2024/2020 del 22 aprile 2020, in parziale riforma della sentenza impugnata rigettava la domanda di manleva formulata da RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE per mancanza dei presupposti in quanto non vi era prova del rapporto organico di rappresentanza con la RAGIONE_SOCIALE e del fatto che si sarebbe impegnato come direttore per il compimento dell’operazione negoziale. Riteneva che non si ravvisassero elementi di prova sufficienti a far ritenere che era stata la RAGIONE_SOCIALE a spedire le false comunicazioni del 21 maggio 2007 escludendo così la contraffazione delle stesse realizzata da altri soggetti.
Propongono ricorso in cassazione RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, sulla base di quattro motivi.
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE resistono con autonomi controricorsi. La RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE deposita memoria al fine di partecipare all’udienza di discussione. Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
Considerato che:
5.1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano l’omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, co. l, n. 5 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 1306, co l, c.c., art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. in correlazione all’art. 360, co. l, n. 3 con riferimento alla statuizione resa in riforma della sentenza di primo grado in favore della parte contumace RAGIONE_SOCIALE.
La Corte d’appello avrebbe errato nel riformare il diritto di manleva anche nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, perché avrebbe dovuto dichiarare, invece, nei confronti della parte coobbligata passiva non appellante, il passaggio in giudicato della sentenza emessa dal Tribunale di Roma
5.2. Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia l’omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, co. l, n. 5 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 38 c.c., 1175 c.c., 1176 c.c., 1381 c.c., 1398, co. 1, c.c., 2043 c.c. 2697 c.c., in correlazione all’art. 360, co. l, n. 3.
La Corte d’appello avrebbe errato perché ha disconosciuto qualsiasi responsabilità della RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE rigettando il diritto di manleva in favore dei ricorrenti sull’assunto della mancanza di elementi di prova sufficienti che dimostrassero che era stata la RAGIONE_SOCIALE a spedire le false comunicazioni.
La Corte non avrebbe quindi valutato le prove documentali agli atti. 5.3. Con il terzo motivo di ricorso, parte ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e dell’art. 2043 c.c. in correlazione all’art. 360, co. l, n. 3 e omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, co. l, n. 5.
Denunciano che la corte territoriale avrebbe errato perché la richiesta risarcitoria posta dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in virtù della chiamata in garanzia impropria, si sarebbe estesa automaticamente anche nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, tanto più che, in via principale, è stata eccepita l’inammissibilità della domanda della RAGIONE_SOCIALE proprio sulla base della responsabilità esclusiva degli altri soggetti chiamati in causa tra cui, appunto, RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Per questo motivo la richiesta di condanna diretta dello RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE non poteva
essere considerata una domanda nuova e quindi inammissibile perché non formulata in primo grado.
5.4. Con il quarto motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 c.c. 1422 c.c. 354, co. 4, c.p.c. 356 c.p.c. in correlazione all’art. 360, co. l, n. 3 con riferimento alla richiesta di pronuncia della inefficacia.
Il giudice del merito nel dichiarare la responsabilità di RAGIONE_SOCIALE e di COGNOME ha ritenuto che decisiva sarebbe stata la circostanza che nella convenzione RAGIONE_SOCIALE del 21 maggio 2007, all’art. 9, è previsto l’obbligo di pagamento del corrispettivo in capo ad RAGIONE_SOCIALE in proprio. La decisione sarebbe viziata perché viene omesso l’esame la valutazione di documenti depositati che avrebbero portato ad una decisione di contenuto opposto.
6. Il primo motivo è fondato.
Come esposto correttamente nel primo motivo di ricorso, anche nel rispetto dell’art. 366 n. 6 c.p.c. , il Tribunale di Roma con la sentenza n. 1253/2014 aveva condannato la RAGIONE_SOCIALE ed il sig. NOME COGNOME, in solido da loro, a tenere indenne la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME di quanto quest’ultimi avessero versato per sorta capitale interessi e spese (Cfr. sentenza impugnata pag. 5). Avverso la sentenza di primo grado era stato proposto appello dal solo NOME COGNOME, tanto è vero che la RAGIONE_SOCIALE veniva dichiarata contumace con ordinanza del 7 ottobre 2014 (cfr. sentenza impugnata pag. 9).
Ebbene la Corte d’Appello con la sentenza n. 2024/2020 ha riformato il diritto di FSA e del COGNOME alla manleva anche nei confronti della RAGIONE_SOCIALE condannando FSA e COGNOME a rifondere in favore della RAGIONE_SOCIALE anche le spese del giudizio di primo grado (cfr. pag. 13 sentenza).
Ebbene, la Corte d’appello ha errato nel riformare la sentenza di primo grado perché avrebbe dovuto dichiarare nei confronti della coobbligata passiva non appellante il passaggio in giudicato della
sentenza sulla base del seguente principio di diritto: ‘La mancata impugnazione da parte di uno dei debitori solidali, in quanto soccombenti in giudizio relativamente ad un rapporto obbligatorio scindibile, qual è quello derivante dalla solidarietà (che non incide sull’autonomia e indipendenza dei rapporti sostanziali tra il creditore e ciascun obbligato), determina il passaggio in giudicato della sentenza nei suoi confronti, ancorché altri condebitori solidali l’abbiano impugnata ‘ (Cass. n. 16390/2009; Cass. n. 24728/2018).
6.1. Il secondo e quarto motivo di ricorso sono inammissibili.
Le censure sollevate mirano esclusivamente ad accreditare una ricostruzione della vicenda e, soprattutto, un apprezzamento delle prove raccolte del tutto divergente da quello compiuto dai giudici di merito. E’ noto, infatti, che nel giudizio di legittimità non sono proponibili censure dirette a provocare una nuova valutazione delle risultanze processuali, diversa da quella espressa dal giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, essendo sufficiente, al fine della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti su cui giudicare si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti. Non essendo questa Corte giudice sul fatto, il ricorrente non può pertanto limitarsi a prospettare una lettura delle prove ed una ricostruzione dei fatti diversa da quella compiuta dal giudice di merito, svalutando taluni elementi o valorizzando altri ovvero dando ad essi un diverso significato, senza dedurre specifiche violazioni di legge ovvero incongruenze di motivazione tali da rivelare una difformità evidente della valutazione compiuta dal giudice rispetto al corrispondente modello normativo.
Come costantemente affermato da questa Corte, spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la
concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (cfr., tra le più recenti, Cass. civ. Sez. I, 19/06/2019, n. 16497).
Ciò che rileva in questa sede è che la motivazione non sia viziata da un punto di vista giuridico come nel caso di specie.
6.2. Il terzo motivo è invece inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse conseguente alla dichiarazione di inammissibilità del 2° motivo, che comporta il definitivo accertamento della mancanza di responsabilità dello COGNOME. Inoltre, il motivo è stato formulato in modo non conforme alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6 c.p.c., stante l’inosservanza dei principi di specificità anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, COGNOME e altri c/ Italia, circa il contenuto della domanda svolta nei confronti dello RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE in primo grado (ossia sul fatto che la loro chiamata in causa non fosse avvenuta solo in manleva, come ritenuto dalla Corte di Appello, ma come indicazione del terzo responsabile cui si sarebbe estesa automaticamente la domanda dell’attrice).
In conclusione, la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, cassa in relazione la sentenza impugnata e decidendo nel merito esclude la riforma della sentenza di primo grado in riferimento alla posizione di RAGIONE_SOCIALE. Dichiara inammissibili il secondo, terzo e quarto motivo.
Atteso che, per quanto emerge dal tenore del ricorso e dei controricorsi, le controricorrenti non avevano sostanziale interesse
a resistere nel presente giudizio, sussistono le condizioni per l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, cassa in relazione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, esclude la riforma della sentenza di primo grado in riferimento alla posizione di RAGIONE_SOCIALE. Dichiara inammissibili il secondo, terzo e quarto motivo. Compensa le spese del giudizio di legittimità tra tutte le parti.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza