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Giurisprudenza Civile

Revoca incarico dirigenziale: riorganizzazione e limiti
Una dirigente pubblica ha contestato la revoca del proprio incarico e il trasferimento, avvenuti durante la fusione di due enti. La Corte di Cassazione ha accolto il suo ricorso, stabilendo che la revoca dell'incarico dirigenziale era illegittima. La Corte ha chiarito che l'ente non poteva procedere alla riorganizzazione funzionale e al conseguente riassetto del personale prima dell'emanazione dei decreti ministeriali specificamente previsti dalla legge di fusione, rendendo di fatto prematura e ingiustificata la decisione presa nei confronti della dirigente.
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Cessione del credito e risarcimento: chi può agire?
Un automobilista, vittima di un incidente stradale, si vede negare il risarcimento dei danni materiali al proprio veicolo a causa di una cessione del credito fatta a favore della carrozzeria. La sentenza del Tribunale di Milano chiarisce che la revoca di tale cessione, per essere valida, deve rispettare precisi requisiti formali, altrimenti il danneggiato perde la titolarità del diritto ad agire in giudizio per quel danno specifico. Il risarcimento è stato invece riconosciuto per le sole lesioni fisiche.
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Appalto illecito: quando scatta la clausola sociale?
Due lavoratori di una cooperativa hanno citato in giudizio la società committente, sostenendo un'ipotesi di appalto illecito di manodopera. Il Tribunale del Lavoro ha respinto la domanda principale, ritenendo l'appalto genuino poiché il potere direttivo era esercitato dalla cooperativa. Tuttavia, ha accolto la domanda subordinata per uno dei due lavoratori, applicando una clausola sociale presente nel contratto d'appalto che obbligava la committente ad assumere il personale rientrante nella quota d'obbligo. Di conseguenza, è stato dichiarato il diritto del lavoratore protetto all'assunzione diretta presso la società committente.
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Prassi aziendale: la tolleranza non giustifica sempre
Un lavoratore, licenziato per aver sottratto beni aziendali, si è difeso invocando una prassi aziendale tollerata. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento, ritenendo decisivo l'avvertimento con cui l'azienda aveva precedentemente comunicato la fine di tale tolleranza. La sentenza sottolinea l'importanza del principio di non contestazione: i fatti affermati da una parte e non contestati dall'altra si considerano provati.
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Integrazione del contraddittorio: appello inammissibile
Una Pubblica Amministrazione ha visto il proprio appello dichiarato inammissibile per non aver rispettato il termine perentorio fissato per l'integrazione del contraddittorio nei confronti di un litisconsorte necessario. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, sottolineando che lo smarrimento di atti, se non provato come causa non imputabile, non giustifica la rimessione in termini, e che la violazione di tale termine procedurale comporta l'inammissibilità dell'impugnazione per ragioni di ordine pubblico.
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Dirigente a tempo determinato: parità di trattamento
La Corte di Cassazione ha stabilito che un dirigente a tempo determinato di un ente pubblico ha diritto alla stessa retribuzione dei colleghi assunti a tempo indeterminato, a parità di inquadramento. La Corte ha chiarito che spetta al datore di lavoro, e non al dipendente, dimostrare l'esistenza di ragioni oggettive e concrete che giustifichino un trattamento economico inferiore, ribaltando così la decisione dei giudici di merito e affermando la piena applicabilità della normativa europea sulla non discriminazione.
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Risarcimento danni demansionamento: la Cassazione conferma
Una pubblica agenzia ricorre in Cassazione contro una condanna per risarcimento danni demansionamento a favore di un proprio dipendente. Questi non era stato reintegrato nel suo ruolo di capo team, nonostante una precedente sentenza definitiva lo imponesse. La Corte Suprema dichiara il ricorso inammissibile, confermando la condanna al risarcimento per i danni biologici, morali e patrimoniali derivanti dall'illegittimo demansionamento e dalla violazione del precedente giudicato.
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Rinuncia ricorso spese: Cassazione decide sui costi
Un Ente Sanitario rinuncia al ricorso in Cassazione. La controparte non accetta, chiedendo la liquidazione delle spese. La Corte dichiara estinto il giudizio, ma analizza le ragioni per una compensazione parziale dei costi. A seguito della rinuncia ricorso spese, la Corte condanna l'Ente al pagamento di una quota residua, valorizzando la tempestività della rinuncia stessa.
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Rapporto di lavoro subordinato: docenti scuole militari
Un docente civile, impiegato presso una scuola militare sulla base di convenzioni annuali, ha chiesto il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato. La Corte di Cassazione, accogliendo il suo ricorso, ha stabilito che tale rapporto ha natura di lavoro subordinato di pubblico impiego. La Corte ha cassato la precedente sentenza d'appello, affermando che la valutazione degli indici di subordinazione deve essere complessiva e non frammentaria, e ha rinviato il caso per una nuova decisione in linea con questo principio.
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Stabilizzazione precari: l’assunzione non cancella i danni
Un lavoratore con multipli contratti a termine ha citato in giudizio un'azienda sanitaria per i danni subiti. Nonostante sia stato assunto a tempo indeterminato durante il processo, la Corte di Cassazione ha stabilito che il diritto al risarcimento per l'abuso passato non viene automaticamente meno. La Corte ha precisato che la stabilizzazione precari è un rimedio valido solo se è una conseguenza diretta di misure volte a superare la precarietà, e non il risultato di un concorso generico. Il caso è stato rinviato alla Corte d'Appello per una nuova valutazione.
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Cessazione materia del contendere: accordo e spese
Un lavoratore ricorre in Cassazione contro una società energetica. Le parti raggiungono un accordo transattivo e chiedono la cessazione della materia del contendere. La Corte accoglie la richiesta, dichiarando estinto il giudizio e compensando le spese, poiché l'accordo ha risolto la controversia.
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Indennità sostitutiva ferie: onere della prova del datore
Un'azienda sanitaria è stata condannata a pagare l'indennità sostitutiva per le ferie non godute a un suo dirigente medico al momento della pensione. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, ribadendo che spetta al datore di lavoro dimostrare di aver messo il dipendente nelle condizioni di fruire delle ferie, anche in caso di personale dirigente.
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Revocatoria rimesse bancarie: il saldo di fine giornata
Una società in amministrazione straordinaria ha intentato un'azione di revocatoria rimesse bancarie contro un istituto di credito. Il fulcro della controversia era il metodo di calcolo degli importi da restituire (saldo di fine giornata contro saldo infra-giornaliero) e la prova della conoscenza dello stato di insolvenza da parte della banca. La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, stabilendo che, in assenza di una prova certa sulla cronologia delle operazioni giornaliere, il criterio corretto da applicare è quello del saldo di fine giornata. La Corte ha inoltre confermato la valutazione dei giudici di merito sulla consapevolezza della banca dello stato di crisi dell'impresa.
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Rinuncia al ricorso: No al doppio contributo unificato
Un lavoratore aveva impugnato in Cassazione la decisione che negava il suo diritto a un superiore inquadramento professionale. In seguito alla rinuncia al ricorso da parte del lavoratore, accettata dalla società datrice di lavoro, la Corte ha dichiarato l'estinzione del processo. La decisione chiarisce un punto fondamentale: in caso di rinuncia al ricorso, il ricorrente non è tenuto al pagamento del doppio del contributo unificato, poiché tale sanzione si applica solo in caso di rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione.
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Errore di fatto: quando il ricorso è inammissibile
Un contribuente, dopo aver visto il suo ricorso per cassazione respinto per difetto di autosufficienza, ha tentato la via della revocazione sostenendo un errore di fatto da parte della Corte. La Cassazione, con la presente ordinanza, ha dichiarato inammissibile anche questo ricorso, chiarendo che la valutazione sull'autosufficienza di un atto è un giudizio di diritto e non una percezione fattuale. Non si configura quindi un errore di fatto revocatorio quando il giudice valuta, e non ignora, gli elementi processuali presentati, anche se in modo ritenuto insufficiente dalla parte.
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Rinuncia al ricorso: no al doppio contributo
Un lavoratore, dopo aver impugnato in Cassazione una sentenza sfavorevole sul suo inquadramento professionale a seguito di una fusione aziendale, ha formalizzato una rinuncia al ricorso, accettata dalla controparte. La Suprema Corte ha dichiarato l'estinzione del processo, chiarendo un importante principio: in caso di rinuncia al ricorso, il ricorrente non è tenuto al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato (il cosiddetto "raddoppio"), poiché tale misura si applica solo nei casi tassativi di rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione.
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Riconoscimento del debito: vale la nota del Comune?
La Corte di Cassazione ha stabilito che una semplice nota, sottoscritta da Sindaco e Segretario Comunale, non costituisce un valido riconoscimento del debito se non rispetta i requisiti formali e non esprime una chiara volontà di ammettere l'obbligazione. Di conseguenza, il creditore non è esonerato dall'onere di provare l'esistenza del proprio diritto. La sentenza chiarisce che l'atto deve essere inequivocabile e, per gli enti pubblici, supportato da una delibera formale.
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24 CFU abilitazione: non basta per la II fascia
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 27482/2024, ha stabilito che il possesso di una laurea e di 24 CFU non equivale all'abilitazione all'insegnamento. Di conseguenza, gli aspiranti docenti con questi soli titoli non hanno diritto all'inserimento nella seconda fascia delle graduatorie di istituto, ma devono essere collocati nella terza. La sentenza chiarisce che i 24 CFU sono un requisito per partecipare ai concorsi, non un titolo abilitante di per sé. Viene così annullata la precedente decisione della Corte d'Appello che aveva accolto la richiesta di una docente.
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Cortile comune: la presunzione di condominialità
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 27481/2024, ha stabilito che un cortile si presume di proprietà comune di tutti i condomini, inclusi i proprietari di negozi senza accesso diretto. Questa presunzione legale, basata sulla funzione del cortile di fornire aria e luce a tutto l'edificio, può essere superata solo da una clausola chiara ed esplicita nel titolo costitutivo del condominio che ne riservi la proprietà ad alcuni. La semplice assegnazione di posti auto in una porzione del cortile non è sufficiente a escludere gli altri dalla comproprietà dell'intera area.
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Responsabilità professionale geometra: il caso
Analisi di un'ordinanza della Cassazione sulla responsabilità professionale del geometra. Il caso riguarda la richiesta di risarcimento danni per la mancata approvazione di un piano di lottizzazione. La Suprema Corte ha escluso la responsabilità del tecnico, poiché l'insuccesso del progetto era dovuto a fattori esterni non imputabili alla sua condotta, come la necessità di acquisire terreni di terzi e le modifiche al piano regolatore comunale.
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