Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19365 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 19365 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 24442/2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, con sede in AVV_NOTAIO, al INDIRIZZO, in persona del procuratore AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, presso il cui studio elettivamente domicilia in AVV_NOTAIO, alla INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), con sede in Verona, al INDIRIZZO, in persona del procuratore AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, presso il cui studio elettivamente domicilia in AVV_NOTAIO, alla INDIRIZZO.
-controricorrente – avverso la sentenza, n. cron. 7975/2019, della CORTE DI APPELLO DI ROMA, pubblicata il giorno 19/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 10/07/2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE citò RAGIONE_SOCIALE innanzi al Tribunale di AVV_NOTAIO chiedendone, previa declaratoria di responsabilità, la condanna al pagamento della somma di € 50.000,00, oggetto di un assegno circolare , emesso in suo favore, che fu negoziato dalla società convenuta pagandolo a persona priva di legittimazione attraverso un’asserita condotta negligente, in violazione dell’art. 43 legge ass.
1.1. Costituitasi RAGIONE_SOCIALE, che contestò l’avversa pretesa, l’adito tribunale rigettò la domanda dell’attrice sul rilievo che la denuncia di smarrimento dell’assegno era stata effettuata da quest’ultima il 30 settembre 2013 ed era stata consegnata alla banca traente, al fine di bloccarne il pagamento, solo in data 2 ottobre 2013, mentre la somma di € 50.000,00 era stata resa disponibile sul conto corrente dell’apparente beneficiario l’1 ottobre 2013.
Il gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE (subentrata ad RAGIONE_SOCIALE) avverso tale decisione fu accolto dall’adita Corte di appello di AVV_NOTAIO, con sentenza del 19 dicembre 2019, n. 7975, resa nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE,
2.1. Per quanto qui di residuo interesse, quella corte osservò che, « Nella specie, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha dedotto in primo grado di aver verificato l’integrità del titolo esibito in originale e l’assenza di alterazioni apparenti ed ha altresì dedotto di aver identificato il presentatore del titolo mediante idoneo documento, poiché l’assegno non fu pagato contestualmente alla presentazione per l’incasso, ma solo dopo l’apertura di un libretto di risparmio nominativo su cui furono depositate le somme; in particolare, l’identificazione avvenne con un documento di identità e con il codice fiscale. Tali circostanze non si reputano, tuttavia, idonee ad esonerare le RAGIONE_SOCIALE dalla responsabilità dedotta in giudizio, non solo perché il codice fiscale non costituisce documento di identificazione, in quanto privo della fotografia, ma soprattutto
perché non risulta allegato, né dimostrato, che il soggetto che aveva presentato l’assegno all’incasso era un cliente abituale e che l’incasso dell’assegno era collegato ad un flusso di introiti e ad un’attività economica accertata. In realtà, RAGIONE_SOCIALE, in relazione alle circostanze del caso concreto ed in particolare alla presentazione per l’incasso di un assegno ‘di traenza’, con le particolari caratteristiche sopra descritte, da parte di un soggetto con il quale non aveva un rapporto di clientela abituale, avrebbe dovuto effettuare specifici controlli presso i distinti Comuni di residenza e di nascita indicati nel documento esibito, ovvero pressa l’RAGIONE_SOCIALE delle Entrate che aveva apparentemente rilasciato il codice fiscale, al fine di accertare l’autenticità di quanto esibito dal presentatore all’incasso. Deve quindi affermarsi l’erroneità della sentenza di primo grado, che ha attribuito a RAGIONE_SOCIALE la responsabilità del danno verificatosi invece solo per la negligente condotta di RAGIONE_SOCIALE nella identificazione del prenditore. Pertanto, acclarata la responsabilità di RAGIONE_SOCIALE per aver consentito l’abusivo incasso dell’assegno, la predetta deve essere condannata al pagamento, in favore dell’appellante RAGIONE_SOCIALE, della somma di € 50.000,00 », rivalutata nei modi e nei termini specificamente indicati.
Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorre RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a quattro motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.. Ha resistito, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi denunciano, rispettivamente:
I) « Omessa o insufficiente motivazione , ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per illogicità della relativa motivazione ». Si contesta alla corte distrettuale di non aver esaminato i molteplici profili che avevano indotto il tribunale ad un’opposta conclusione;
II) « Violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736. Violazione di legge sub species degli articoli 1189 e 1192 c.c. ». Si deduce che « la Corte d’Appello, erroneamente ritenendo sussistente la fattispecie del pagamento ‘a persona diversa dal beneficiario del titolo’, ha conseguentemente fatto applicazione dell’art. 43 L.A., in quanto l’assegno,
nell’errato ragionamento logico giuridico sviluppato in sentenza, sarebbe stato pagato ad un soggetto diverso dall’effettivo prenditore. Ora, poiché, come accertato nel merito, l’assegno è stato pagato all’effettivo beneficiario del titolo, sig.ra COGNOME NOME, identificata mediante carta di identità e tesserino del codice fiscale, essendovi perfetta identità fra i dati del soggetto portatore dell’Assegno ed il creditore della somma, quale indicato nell’assegno stesso, è un fuor d’opera l’applicazione dell’art. 43 L.A., nel senso che mancavano i presupposti dell’identificazione. Se RAGIONE_SOCIALE avesse proceduto in questo senso, avrebbe violato le regole di comportamento »;
III) « Violazione e falsa applicazione dei precedenti citati. Il recente decisum di Cassazione civile, Sez. Un., 21/05/2018, n. 12477. Violazione dell’art. 1176 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ». Richiamate le argomentazioni di Cass., SU, n. 12477 del 2018, si assume che « RAGIONE_SOCIALE ha già indiscutibilmente provato di aver legittimamente effettuato tutte le verifiche prima di procedere all’adempimento della obbligazione richiesta, ovvero: a) ha verificato la regolarità formale dell’assegno che risultava perfettamente integro. Tale aspetto è stato provato documentalmente : accertato dal Giudice di Primo Grado (tramite ammissione al deposito dell’originale dell’assegno); mai oggetto di discussione tra le parti; b) ha verificato la genuinità dei documenti identificativi della identità del beneficiario mediante richiesta ed esame di codice fiscale e carta di identità; c) ha atteso quasi 7 giorni prima di procedere al pagamento dello stesso, essendo stato presentato in data 25.09.2013 e pagato solo in data 1.10.2013, un tempo, dunque, sufficiente per le verifiche di cautela e diligenza della banca trattaria, certamente alla stessa ascrivibili . Al riguardo, ai fini dell’effettiva ricostruzione della diligenza adoperata da RAGIONE_SOCIALE nel pagamento, è bene evidenziare una ulteriore erronea indicazione di fatto storico indicato nella sentenza della Corte di Appello di AVV_NOTAIO rilevante ai fini dell’art. 360, comma 1, n. 59 c.p.c. (errore su elementi fattuali della vicenda). La Sentenza, infatti, a pag. 6 afferma che l’avvenuta identificazione del beneficiario per il tramite del codice fiscale e del documento di identità non sarebbe sufficiente in quanto ‘non risulta allegato, né dimostrato che il soggetto che aveva
presentato l’assegno all’incasso era un cliente abituale… ‘, motivo per cui sarebbero stati necessari ulteriori ‘specifici controlli presso i distinti Comuni di residenza e di nascita indicati nel documento esibito, ovvero presso l’RAGIONE_SOCIALE delle Entrate. ..’. L’assunto è errato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. in quanto risulta fatto storico acclarato, accertato e non oggetto di contestazione nel merito che la sig.ra NOME COGNOME, molto tempo prima del richiesto incasso dell’asseg no, ovvero in data 15.04.2013, aveva richiesto ed ottenuto l’apertura del Conto BancoPosta Più e attivazione Servizi Accessori , risultando, dunque, all’evidenza, già ‘cliente’ di RAGIONE_SOCIALE »;
IV) « Omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. Violazione e mancata applicazione dell’art. 1227, comma 1, c.c. ». Si ascrive alla corte capitolina di avere « omesso di esaminare la circostanza rappresentata dal fatto che la spedizione del titolo non era avvenuta mediante posta assicurata ovvero con altre forme di poste tracciabili che, all’evidenza, avrebbero scongiurato il verificarsi dell’evento dannoso ». Si contesta, dunque, l’esclusione della configurabilità del concorso di colpa della danneggiata, ex art. 1227, comma 1, cod. civ., malgrado l’avvenuta, incauta spedizione, da parte sua, del titolo suddetto tramite la posta ordinaria.
2. Il primo motivo di ricorso deve considerarsi radicalmente inammissibile perché fa riferimento ad una nozione di vizio di motivazione (« omessa o insufficiente »; « illogicità ») non riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dal codice di rito, ed in particolare non sussumibile nel vizio contemplato dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (nella formulazione disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza pronunciata il 19 dicembre 2019), che, nell’interpretazione fornitane dalla qui condivisa giurisprudenza di legittimità, ha ridotto, ormai, al ‘ minimo costituzionale ‘ il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché si è chiarito ( cfr . tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 14677, 9807 e 6127 del 2024; Cass. nn. 35947, 28390, 26704 e 956 del 2023; Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022; Cass. nn. 26199 e 395 del 2021; Cass. n. 9017 del 2018) che è oggi denunciabile in Cassazione solo l’anomalia
motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella ” mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico “, nella ” motivazione apparente “, nel ” contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ” e nella ” motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile “, -tutte fattispecie assolutamente inconfigurabili nella motivazione della sentenza della corte distrettuale impugnata in questa sede -esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ” sufficienza ” della motivazione ( cfr . Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti; Cass. nn. 20042 e 23620 del 2020; Cass. nn. 395, 1522 e 26199 del 2021; Cass. nn. 27501 e 33961 del 2022; Cass. n. 28390 del 2023; Cass. n. 14677 del 2024) o di sua ‘ contraddittorietà ‘ ( cfr . Cass. nn. 7090 e 33961 del 2022; Cass. n. 28390 del 2023; Cass. n. 14677 del 2024). Cass., SU, n. 32000 del 2022, ha puntualizzato, altresì, che, a seguito della riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’unica contraddittorietà della motiv azione che può rendere nulla una sentenza è quella ‘ insanabile ‘ e l’unica insufficienza scrittoria che può condurre allo stesso esito è quella ‘ insuperabile ‘.
2.1. In definitiva, quindi, l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 14677, 9807 e 6127 del 2024; Cass. nn. 28390, 27505, 4528 e 2413 del 2023; Cass. n. 31999 del 2022; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. nn. 9351, 2195 e 595 del 2022; Cass. nn. 4477 e 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015).
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connessi, si rivelano fondati nei soli limiti di cui appresso.
3.1. Al loro scrutinio, peraltro, giova premettere che: i ) è incontroverso che l’odierna vicenda ha riguardato la richiesta di RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE) di condanna di RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di € 50.000,00, oggetto di un assegno circolare asseritamente emesso in suo favore, che fu negoziato dalla società convenuta pagandolo a persona priva di legittimazione, attraverso una pretesa condotta negligente, in violazione dell’art. 43 legge ass.; ii ) l’art. 43, comma 2, del r.d. n. 1736 del 1933 (cd. legge assegni) sancisce che ‘ Colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso, risponde del pagamento ‘.
3.2. Rileva il Collegio, poi, che le Sezioni Unite di questa Corte, intervenute per dirimere un contrasto insorto tra le sezioni semplici in ordine alla interpretazione di detta norma, con le sentenze del 21 maggio 2018, n. 12477 e 12478, hanno ribadito o pronunciato i seguenti principi di diritto: a ) la menzionata norma si applica anche all’assegno circolare, all’assegno bancario libero della Banca d’Italia ed all’assegno di traenza (usualmente utilizzato, in luogo del bonifico bancario, per il pagamento di un soggetto che non sia titolare di un conto corrente o di cui non si conoscono le coordinate bancarie) munito della clausola di intrasferibilità; b ) l’espressione « colui che paga », adoperata dall’art. 43, comma 2, l.ass., si riferisce non solo alla banca trattaria (o all’emittente, nel caso di assegno circolare), ma anche alla banca negoziatrice, che è l’unica concretamente in grado di operare controlli sull’autenticità dell’assegno e sull’identità del soggetto che, girandolo per l’incasso, lo immette nel circuito di pagamento; c ) ha natura contrattuale la responsabilità cui si espone il banchiere che abbia negoziato un assegno munito della clausola di non trasferibilità in favore di persona non legittimata; d ) specificamente: « Ai sensi dell’art. 43, comma 2, legge assegni (r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento di assegno bancario, di traenza o circolare, munito di
clausola di non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176, comma 2, c.c. » ( cfr . Cass., SU, n. 12477 del 2018).
3.2.1. A sostegno di tale conclusione, è stata richiamata la precedente sentenza delle stesse Sezioni Unite che, risolvendo il contrasto di giurisprudenza riguardante la responsabilità della banca, ne aveva escluso la natura extracontrattuale, ravvisandovi, invece, un’ipotesi di responsabilità contrattuale cd. da contatto sociale, fondata sull’obbligo professionale di protezione (preesistente, specifico e volontariamente assunto), posto a carico della banca nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità delle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso ( cfr . Cass., SU, n. 14712 del 2007). Nel ribadire tale principio, la nuova pronuncia ne ha evidenziato l’incompatibilità con la natura oggettiva della responsabilità, predicabile soltanto in riferimento a fattispecie d’illecito extracontrattuale, precisando che, al fine di sottrarsi alla responsabilità, la banca è tenuta a provare di aver assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi dell’art. 1176, comma 2, cod. civ., dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere anche in ipotesi di colpa lieve. È stato chiarito, inoltre, che lo scopo della clausola di intrasferibilità consiste non solo nell’assicurare all’effettivo prenditore il conseguimento della prestazione dovuta, ma anche e soprattutto nell’impedire la circolazione del titolo: ed a conferma di tale assunto è stato richiamato l’art. 73 del r.d. n. 1736 del 1933, il quale esclude l’ammortamento dell’assegno non trasferibile proprio perché lo stesso non può essere azionato da un portatore di buona fede, conferendo nel contempo al prenditore, ma solo come conseguenza indiretta, la maggior sicurezza di poterne ottenere un duplicato denunciandone lo smarrimento, la distruzione o la sottrazione al trattario o al traente.
3.3. Alla stregua di tali dicta (peraltro ribaditi dalla successiva giurisprudenza di legittimità. Cfr . pure nelle rispettive motivazioni, ex aliis ,
Cass. n. 25581 del 2018; Cass. n. 34107 del 2019; Cass., SU, n. 9769 del 2020; Cass. n. 9842 del 2021; Cass. nn. 15638, 15642, 15643, 15651, 15818, 6781 e 16782 del 2022; Cass. nn. 12861 e 35755 del 2023, tutte rese in controversie assolutamente analoghe a quella odierna), che il Collegio condivide pienamente (ed alle cui ulteriori argomentazioni giustificative può qui farsi rinvio ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ.), le censure in esame si rivelano fondate nella misura in cui il giudice di secondo grado ha ritenuto sussistente il profilo della colpa, sul rilievo che la prova fornita da RAGIONE_SOCIALE – consistita nell’aver documentato di aver identificato il prenditore del titolo previa esibizione della carta di identità e del tesserino attributivo del codice fiscale (secondo quanto si legge nella sentenza oggi impugnata) – non sarebbe stata idonea alla liberazione del debitore alla stregua, sostanzialmente, di criteri corrispondenti a quelli contenuti nella circolare del 7 maggio 2001 adottata da ll’RAGIONE_SOCIALE.
3.4. In proposito, va osservato che questa Corte ha già affermato, nella sentenza n. 34107/2019, che, avuto riguardo alla natura di clausola generale dell’art. 1176, comma 2, cod. civ., il giudizio di diligenza professionale, riferito alla banca negoziatrice di un assegno di traenza, compiuto dal giudice di merito per integrare il parametro generale contenuto nella predetta ” norma elastica “, costituisce una vera e propria attività di interpretazione della norma – e non meramente fattuale, limitandosi tale profilo alla ricostruzione del fatto – dando concretezza a quella “parte mobile” della stessa che il legislatore ha voluto tale per adeguarla ad un determinato contesto storico-sociale, ovvero a determinate situazioni non esattamente ed efficacemente specificabili a priori ( cfr . Cass. n. 8047 del 2019. In senso sostanzialmente conforme si vedano, pure nelle rispettive motivazioni, le più recenti, e già citate, Cass. nn. 15638, 15643, 15651, 15818, 16781 e 16782 del 2022; Cass. nn. 12861, 24905 del 2023 e 35755 del 2023; Cass. nn. 209, 10711 e 12802 del 2024). Proprio perché si tratta di giudizio di diritto, tale valutazione è censurabile in sede di legittimità, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., quando si ponga in contrasto con i principi dell’ordinamento e con quegli standards valutativi esistenti nella realtà sociale che concorrono con detti
principi a comporre il diritto vivente ( cfr . Cass. n. 3645 del 1999), sempre che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto a quegli standards, conformi ai valori dell’ordinamento ( cfr . Cass. n. 5095 del 2011, nonché ancora le predette Cass. nn. 15638, 15643, 15651, 15818, 16781 e 16782 del 2022, e Cass. nn. 12861 e 35755 del 2023).
3.5. Nel caso di specie, non vi è dubbio che la contestazione con cui RAGIONE_SOCIALE ha censurato il contrasto dell’interpretazione della corte d’appello (riguardo alla diligenza richiesta, ex art. 1176, comma 2, cod. civ., nella identificazione del prenditore dell’assegno) con le norme del nostro ordinamento, sia sufficientemente specifica.
3.5.1. In particolare, deve evidenziarsi che la carta d’identità costituisce nel nostro ordinamento il fondamentale strumento di identificazione personale (come si evince dagli artt. 3 e 4 e ss. del r.d. n. 773/1931; dall’art. 1, lett. c ) e d ), del d.P.R. n. 445/2000; dall’art. 292 del r.d. n. 635/40). Pertanto, contrariamente a quanto statuito dal giudice d’appello, l’istituto bancario non è tenuto, nella identificazione del portatore del titolo, al compimento di attività ulteriori non previste dalla legge, come si evince anche dalla normativa antiriciclaggio ex d.lgs. n. 231 del 2007, la quale stabilisce le modalità tipiche con cui gli istituti di credito devono identificare la clientela e non prevede il ricorso ” ad ogni possibile mezzo “, né alcuna indagine presso il comune di nascita.
3.6. Questo Collegio condivide tale impostazione.
3.6.1. Va premesso che la giurisprudenza di legittimità, nella citata sentenza n. 34107 del 2019, ha già rilevato che l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d’identità personale (carta d’identità, passaporto ovvero patente di guida), sia nell’ambito delle attività aventi rilevanza pubblicistica (come l’attività di identificazione svolta dagli organi di polizia giudiziaria), sia nell’ambito dell’attività negoziale tra privati (come le attività collegate a scambi commerciali, ovvero quelle, più in generale, di natura contrattuale che presuppongano la corretta identificazione dei soggetti contraenti). Ne
consegue che una regola di condotta, che imponga prudenzialmente ulteriori accertamenti, non è rintracciabile neanche negli standards valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili all’interno dell’ordinamento positivo. Resta da dire che, come già specificamente sancito da questa Corte, tra i parametri di valutazione della diligenza dell’intermediario non rientra la raccomandazione, contenuta nella circolare ABI del 7 maggio 2001 indirizzata agli associati, che segnala l’opportunità per la banca negoziatrice dell’assegno di traenza di richiedere due documenti d’identità muniti di fotografia al presentatore del titolo, perché a tale prescrizione non può essere riconosciuta alcuna portata precettiva, e tale regola prudenziale di condotta non si rinviene negli standards valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili dall’ordinamento positivo, posto che l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d’identità personale ( cfr . Cass. n. 35755 del 2023; Cass. nn. 38110 e 35821 del 2022; Cass. n. 34107 del 2019).
3.6.2. Deve osservarsi, altresì, che proprio nei rapporti tra intermediari e clientela – e non vi è dubbio che quello in esame rientri proprio in questa tipologia, essendo pacifico in causa che l’abusivo prenditore del titolo, prima di provvedere al suo incasso, aveva aperto un libretto di risparmio postale su cui poi aveva versato l’assegno – l’art. 19 del d.lgs. n. 231 del 2007 (cd. legge antiriciclaggio), avente ad oggetto le modalità di adempimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela, prevede, al comma 1, lett. a ), che l’identificazione e la verifica della clientela debbano essere svolte, in presenza del cliente, con il semplice controllo del documento di identità non scaduto prima della instaurazione del rapporto continuativo. È imposto, invece, alla lett. b ), che l’identificazione e verifica dell’identità del cliente avvengano mediante l’adozione di misure adeguate e commisurate di rischio, anche attraverso il ricorso a pubblici registri, elenchi, etc., solo se la clientela sia costituita da persone giuridiche, trust o soggetti analoghi, al fine di individuare i soggetti dotati di poteri rappresentativi.
3.6.3. Dunque, anche la legge antiriciclaggio, che si occupa della disciplina dei rapporti degli istituti di credito con i clienti, non ha stabilito modalità più rigorose nella identificazione dei correntisti.
3.6.4. Ne consegue che l’impostazione della corte d’appello di non ritenere in alcun modo liberatoria la prova dell’avvenuta identificazione con documento di identità -tenuto conto, peraltro, che dalla sentenza impugnata non risulta che il titolo presentasse alcun segno di alterazione o contraffazione -si pone in contrasto con i principi dell’ordinamento e con gli standards valutativi esistenti nella realtà sociale ( cfr . in tal senso, Cass. nn. 3649 e 12573 del 2021; Cass. nn. 3078, 6356, 15638, 15643, 15651, 15818, 16781 e 16782 del 2022; Cass. nn. 12861 e 35755 del 2023; Cass. nn. 209, 10711 e 12802 del 2024). Né, in contrario, appaiono decisive particolari circostanze dalla stessa valorizzate (l’essere il portatore dell’assegno sconosciuto alla banca; l ‘avere aperto appositamente un libretto di deposito), che si rivelano, invece, del tutto ‘neutre’. Infatti: i ) l’essere il portatore del titolo sconosciuto alla banca è proprio la ragione che per cui è necessaria la sua identificazione (se fosse un cliente , il problema dell’identificazione neppure si porrebbe); ii ) l’apertura di uno specifico deposito, poi, è una cautela adottata proprio dalle banche, per prassi, al fine di evitare il pagamento immediato in modo da disporre del tempo necessario alla verifica della bontà del titolo da parte della banca trattaria nella stanza di compensazione (il deposito sul libretto venendo svincolato, usualmente, solo dopo il placet della banca trattaria).
Il quarto motivo del ricorso è parimenti fondato nei sensi di cui appresso.
4.1. L’assunto del giudice di appello che non ha considerato la configurabilità del concorso di colpa della danneggiata, ex art. 1227, comma 1, cod. civ., malgrado l’avvenuta, incauta spedizione, da parte sua, del titolo suddetto tramite la posta ordinaria (circostanza, questa, pacificamente oggetto di discussione tra le parti anche in sede di gravame) noncurante che lo stesso arrivasse nelle mani del creditore, non è coerente con quanto recentemente affermato da Cass., SU, n. 9769 del 2020, secondo cui « La spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola
d’intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l’esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gl’interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’identificazione del presentatore » ( cfr ., in senso conforme, le successive Cass. n. 25873 del 2020 e Cass. n. 34201 del 2021; Cass. n. 15642 del 2022). Anche su questo punto, pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata al fine di consentire al giudice di rinvio di procedere ad un nuovo esame del corrispondente motivo d i appello di RAGIONE_SOCIALE alla luce dell’appena riportato principio, dovendosi qui solo ricordare che, come ancora recentemente ribadito, in motivazione, da Cass. n. 12676 del 2024 (richiamando, in proposito, Cass. n. 6062 del 2023), « l’ipotesi prevista dall’art. 1227, comma 1, cod. civ., riguardando il contributo eziologico del danneggiato nella produzione dell’evento dannoso, va distinta da quella disciplinata dal comma 2 dello stesso articolo, la quale, riferendosi al comportamento, successivo all’evento, con cui il medesimo danneggiato abbia prodotto un aggravamento del danno ovvero non ne abbia ridotto l’entità, attiene al danno-conseguenza; di talché l’ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell’evento dannoso non solo va distinta da quella riferibile ad un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire alla sua causazione, ma implica che, nel primo caso, il giudice debba procedere d’ufficio all’indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, dello stesso; invece, la seconda di tali situazioni forma oggetto di un’eccezione in senso stretto, in quanto il dedotto
comportamento del creditore costituisce un autonomo obbligo posto a suo carico dalla legge ».
In conclusione, l’odierno ricorso deve essere accolto quanto ai suoi motivi secondo, terzo e quarto, dichiarandosene inammissibile il primo. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, rinviandosi la causa alla Corte di appello di AVV_NOTAIO, in diversa