SENTENZA CORTE DI APPELLO DI ROMA N. 682 2025 – N. R.G. 00004335 2021 DEL 31 01 2025 PUBBLICATA IL 31 01 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D’APPELLO DI ROMA SEZIONE QUARTA CIVILE
Riunita in camera di consiglio e così composta
dr.ssa NOME COGNOME presidente
dr.ssa NOME COGNOME consigliere rel.
dr. NOME COGNOME consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado d’appello iscritta al numero 4335 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2021, decisa a seguito di discussione orale, ex art. 281sexies c.p.c, all’udienza del giorno 31/01/2025 e vertente
TRA
(c.f. e p.Iva ) in persona del presidente e legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv.to NOME COGNOME in virtù di procura notarile allegata in copia all’atto di appello ed elettivamente domiciliata presso la RAGIONE_SOCIALE in Roma, INDIRIZZO; P. P.
APPELLANTE
– già
– (P.Iva in
P.
persona del procuratore ad acta p.t., rappresentata e difesa dall’avv.to NOME COGNOME in virtù di mandato depositato in primo grado ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv.to NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
APPELLATA
OGGETTO: appello contro sentenza n. 9218/2021 del Tribunale di Roma pubblicata in data 26/05/2021
FATTO E DIRITTO
§ 1. – La vicenda da cui ha tratto origine il presente giudizio di appello è così riassunta nella sentenza impugnata: <>
§ 2. – Il Tribunale di Roma con sentenza n. 9218/2021 così statuiva: <>
§ 3. – Il tribunale a sostegno della decisione osservava:<> § 4. – Ha proposto appello formulando due motivi di gravame, di seguito illustrati. Rassegnava le seguenti conclusioni:<>
§ 4.1 – Si costituiva per eccepire l’inammissibilità e comunque l’infondatezza in fatto ed in diritto del gravame. Rassegnava le seguenti conclusioni:<>
§ 4.2 – All’udienza di prima comparizione del 18 febbraio 2022 la Corte rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni, poi più volte differita, da ultimo all’udienza del 31 gennaio 2025.
Con decreto presidenziale del 9 gennaio 2025 veniva disposto il mutamento del rito e la discussione orale ex art. 281sexies c.p.c. e veniva assegnato ai difensori il termine sino al 21 gennaio 2025 per il deposito di note autorizzate.
I difensori depositavano le note conclusionali ed all’odierna udienza precisavano le conclusioni come da verbale e discutevano brevemente la causa che veniva contestualmente decisa.
§ 5. – i motivi di gravame
§ 5.1 – Con il primo motivo titolato: <>
ha censurato la sentenza di primo grado per avere il Tribunale ritenuto che essa appellante non avesse assolto l’onere di fornire la prova liberatoria circa la sua diligenza. In particolare, ha rappresentato che gli assegni erano stati regolati in stanza di compensazione e, pertanto, sottoposti all’esame dell’istituto emittente che non aveva sollevato alcuna eccezione; ha specificato che la negoziazione di ciascuno degli assegni in parola era avvenuta nei confronti dell’effettivo beneficiario come indicato nel titolo; di aver identificato i soggetti presentatisi per l’incasso degli assegni mediante esibizione di idoneo documento di identificazione e, precisamente, la carta d’identità in corso di validità munita di fotografia e la tessera sanitaria. Significava, inoltre, che la verifica circa la reale identità dei soggetti sarebbe stata possibile unicamente tramite verifica presso il Comune, attività non esigibile dall’operatore di in presenza di validi documenti di identità, privi di anomalie. Affermava, altresì, che la circostanza che i soggetti avessero contestualmente aperto un libretto postale non era tale da indurre in sospetto l’operatore, in quanto nessuna regola gli imponeva di indagare le ragioni per le quali il soggetto aveva deciso di versare l’assegno presso un istituto piuttosto che un altro, e da ciò immaginarne la mala fede. Sosteneva di aver operato secondo la diligenza esigibile, ossia richiedendo il documento identificativo, posto anche che alcun rilievo assumeva la raccomandazione ABI del 7 maggio 2001 che, secondo la giurisprudenza di legittimità, non aveva alcuna portata precettiva.
§ 5.2 – Con il secondo motivo impugnava il capo della sentenza di primo grado relativo alle spese legali, in quanto <>.
§ 6 – Le questioni preliminari
Va disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dall’appellata a mente dell’art. 348bis c.p.c., secondo cui il giudice dichiara inammissibile l’appello quando verifica, in limine litis , che l’impugnazione non ha “una ragionevole probabilità” di essere accolta, meritando le ragioni contenute nell’atto di appello un approfondimento motivazionale incompatibile con una pronuncia di mero rito.
§7 – L’analisi dei motivi
§ 7.1 – Il primo motivo, relativo alla diligenza di , è fondato.
Osserva, preliminarmente, la Corte che la banca negoziatrice o – nella specie – è ammessa a provare che l’inadempimento non è ad essa imputabile allorché dimostri di aver assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta e che è quella nascente, ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2, dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve. Va evidenziato, in iure che la Suprema Corte con le pronunce rese a Sezioni unite n. 12477 e 12478 del 2018, la prima richiamata anche dal primo Giudice, ha enunciato il seguente principio: <>
Quanto all’onere di diligenza in capo alla banca nell’attività di controllo della rispondenza della persona che presenta il titolo al reale beneficiario, si registrano recenti pronunce della Suprema Corte ed in particolare vanno considerati i principi enunciati da Cass. n. 34107/2019: <>.
Rileva, a giudizio del Collegio, per l’approfondita motivazione, anche Cass. n. 15934/2022 (che ha cassato con rinvio una sentenza di questa Corte d’appello che aveva riformato la pronuncia di prime cure avendo ritenuto che non avesse adottato la diligenza necessaria nell’identificazione del soggetto indicato quale beneficiario dell’assegno, sia in relazione agli assegni contraffatti, sia in relazione a quelli incassati da soggetti muniti di falsi documenti). Questa Corte territoriale aveva valorizzato la singolarità delle circostanze accertate (apertura dei libretti postali in concomitanza con la negoziazione dell’assegno presso l’Ufficio Postale, mancanza sui predetti libretti di ulteriori versamenti in data anteriore alla negoziazione dell’assegno) che avrebbero dovuto indurre ad un controllo maggiormente accurato nella identificazione dei soggetti presentatisi come legittimi beneficiari. Inoltre, non vi era prova che avesse seguito nella identificazione dei beneficiari degli assegni le modalità cautelative previste dalla circolare ABI (richiesta di un secondo documento di identità munito di fotografia) che, pur non essendo direttamente
vincolanti, rappresentavano un utile parametro per valutare la diligenza dell’istituto nella negoziazione degli assegni. Orbene, la Suprema Corte, cassando con rinvio, dopo aver richiamato il principio espresso da Cass. n. 34107/2019, sottolineava che la ricorrente aveva: <> e così osservava: <>
La Corte di legittimità ritiene, altresì, che non sia esigibile: <> (così Cass., n. 19342/2024).
Pertanto, non possono essere condivise le affermazioni contenute nella sentenza impugnata, secondo cui l’appellante avrebbe dovuto identificare i soggetti mediante due documenti muniti di fotografia, sia in quanto cautela oggetto di raccomandazione ABI sia in quanto regola di comune prudenza (cfr. pag. 4 della sentenza di primo grado). Parimenti, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità, non può condividersi l’assunto secondo cui era richiesto, nel caso di specie, un maggior grado di cautela, in quanto i soggetti presentatesi per l’incasso dei titoli erano residenti in Comuni diversi rispetto a quello in cui aveva sede l’ufficio postale e in quanto essi avevano proceduto ad aprire un libretto di risparmio sul quale versare l’assegno e contestualmente ritirare la somma (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata), trattandosi di elementi ‘ neutri’ che potevano assurgere a sospetto in ipotesi di presenza di indici di criticità nei documenti identificativi o negli assegni.
Orbene, nel caso in esame ha dimostrato di aver identificato i sedicenti e tramite due documenti: la carta d’identità in corso di validità e munita di fotografia e la tessera sanitaria riportante il codice
fiscale. Siffatta circostanza è stata provata documentalmente nel corso del giudizio di primo grado (cfr. fascicolo di parte di primo grado), da cui risulta appunto che ha identificato tali soggetti tramite carta di identità e tessera sanitaria. Si tratta di documenti che non presentano, ictu oculi , segni di falsità, circostanza, questa, comunque mai contestata dalla controparte. Invero, i documenti erano in corso di validità e non presentavano anomalie di immediata evidenza. Più precisamente, il documento di identità del sedicente risulta datato 12/10/2011 e l’assegno veniva presentato all’incasso in data 27/02/2012; quello della sedicente risulta datato 7/04/2011 e l’assegno veniva presentato in data 14/12/2011; , infine, risulta datato 16/09/2011, a fronte di un
quello del sedicente assegno incassato in data 17/11/2011.
Pertanto, avendo le altre circostanze segno neutro e non assumendo rilievo la circolare ABI del 7 maggio 2001, deve concludersi che abbia operato secondo la diligenza che era ad essa esigibile. Va ricordato che, con riguardo all’identificazione di colui che presenta l’assegno all’incasso, lo sforzo di diligenza richiesto all’operatore bancario in caso di presentazione all’incasso di titolo non alterato o contraffatto mediante documento di identità anch’esso privo di alterazioni la Suprema Corte si è così espressa: <>(così Cass., n. 23390/2024). Del resto, nel caso di specie, la falsità dei titoli non è mai stata contestata e, pertanto, la verifica deve ridursi al controllo dei documenti di identità operato dal banchiere. In conclusione, ha quindi fornito la prova liberatoria.
§ 6.2 – il secondo motivo rimane assorbito dalla riforma della sentenza che comporta la rimodulazione delle spese di lite del doppio grado all’esito della soccombenza dell’appellata.
§ 7. – Le spese del doppio grado seguono la soccombenza dell’appellata e vengono liquidate in favore della parte appellante sulla base dello scaglione di valore della causa (fino a € 26.000,00) nei valori medi per tutte le fasi fatta eccezione per la fase istruttoria-trattazione che ha avuto minimo svolgimento e per la quale vengono liquidati i compensi medi dimidiati.
ha chiesto nell’atto di citazione in appello la restituzione da parte di delle somme eventualmente già percepite in esecuzione della sentenza e, nelle note conclusive autorizzate, ha reiterato la richiesta evidenziando che :<> Deve quindi seguire la restituzione da parte di a della somma di € 15.639,94 per sorte oltre interessi e spese legali come liquidate in sentenza, pagata in esecuzione della sentenza riformata, oltre gli ulteriori interessi legali dalla data dell’avvenuto pagamento al soddisfo.
PQM
La Corte definitivamente pronunciando sull’appello proposto da nei confronti di contro la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Roma n. 9218/2021 pubblicata in data 26/05/2021, ogni altra conclusione disattesa, così provvede:
1. Accoglie l’appello e, per l’effetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, rigetta la domanda proposta da ;
2. Condanna al pagamento in favore di delle spese del doppio grado di giudizio che liquida, quanto al primo grado in € 5.077,00 per compensi, oltre rimborso forfetario ed accessori di legge e quanto al presente grado in € 4.888,00 per compensi, oltre rimborso forfetario ed accessori di legge;
3. dispone la restituzione da parte di a
della somma di € 15.639,94 per sorte oltre interessi e spese legali come liquidate in sentenza, pagata in esecuzione della sentenza
riformata, oltre gli ulteriori interessi legali dalla data dell’avvenuto pagamento al soddisfo.
Così deciso in Roma il giorno 31/01/2025.
Il Consigliere est. Il Presidente
dott.ssa NOME COGNOME dott.ssa NOME COGNOME