Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25317 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25317 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21089/2022 R.G. proposto da : COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME;
-ricorrente-
contro
COGNOME SC ARL, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che l a rappresenta e difende;
-controricorrente-
nonchè contro
ZLATKOV PETROV NOME;
-intimato-
Avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di ROMA n. 644/2022 depositata il 18/01/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/04/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE nell’ambito della propria attività d’impresa, risultava cessionaria di un credito pari ad Euro 816,00 vantato da NOME COGNOME (cedente) nei confronti dei responsabili del sinistro stradale verificatosi in data 16.09.2009, a titolo di risarcimento danni. La detta cessione veniva realizzata pro solvendo, in adempimento di un obbligo contrattuale assunto dal COGNOME per il noleggio di un veicolo fornito dalla cessionaria RAGIONE_SOCIALE
In particolare, oggetto della cessione era il credito risarcitorio per la accertata responsabilità del menzionato sinistro, addebitata in via esclusiva a carico del veicolo di proprietà del sig. NOME COGNOME e condotto da NOMECOGNOME assicurato presso
un’impresa straniera, con copertura rientrante nel sistema gestito dall’Ufficio Centrale Italiano (UCI).
La cessione parziale veniva notificata con raccomandata all’UCI in data 16.11.2009, senza tuttavia riscontro da parte del debitore ceduto.
AC Soluzioni conveniva, quindi, in giudizio, dinanzi al Giudice di Pace, l’UCI e il sig. COGNOME per ottenere la condanna al pagamento della somma oggetto della cessione, nonché il risarcimento dei danni da inadempimento, in relazione al ritardato pagamento. In via subordinata, richiamando gli artt. 1266, 1267 e 1374 c.c., chiedeva la condanna del cedente COGNOME all’adempimento dell’obbligazione ceduta e al risarcimento del danno, in caso di esito infruttuoso della cessione.
Nel corso del giudizio, l’UCI dichiarava di aver corrisposto al sig. COGNOME in data 13.08.2010, l’importo complessivo di Euro 2.072,00, superiore al valore capitale del credito oggetto della cessione.
Cionondimeno, il Giudice di Pace di Roma, con sentenza n. 692/2016, dopo l’ammissione di prova testimoniale e l’espletamento di una c.t.u. (da cui emergeva l’effettiva spettanza del credito risarcitorio per un importo invero superiore ad Euro 816,00), rigettava la domanda, condannando la RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese processuali in favore dell’UCI.
Avverso la sentenza di primo grado proponevano appello entrambe le parti.
Nel dettaglio: a) RAGIONE_SOCIALE lamentava che il pagamento effettuato al cedente non potesse ritenersi liberatorio nei suoi confronti; b) NOME COGNOME, a sua volta, impugnava la decisione nella parte in cui veniva implicato quale soggetto obbligato.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 644/2022, riuniti i giudizi, rigettava entrambe le impugnazioni, qualificando quello proposto
dal COGNOME come appello incidentale, ai sensi dell’art. 113, comma 2, e 339, comma 3, c.p.c.
Avverso tale pronunzia RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione con due motivi illustrati da memoria. NOME COGNOME propone ricorso con un motivo.
3.1. Uci resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 339, commi 2 e 3, e 113, comma 2, c.p.c. (art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.), nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto inammissibile l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE in quanto oggetto di impugnazione era una sentenza del Giudice di pace pronunciata secondo equità.
Assume la ricorrente che tale valutazione è erronea, in primo luogo, perché la controversia decisa in primo grado aveva ad oggetto una domanda di valore superiore al limite di Euro 1.100,00 (segnatamente, pari ad Euro 1.126,00), con conseguente inapplicabilità del limite previsto dall’art. 113, comma 2, c.p.c. e, quindi, piena impugnabilità della sentenza ai sensi dell’art. 339 c.p.c.
In secondo luogo, la ricorrente osserva che, anche laddove si ritenesse applicabile il regime delle decisioni secondo equità, l’appello sarebbe comunque ammissibile, in forza dell’eccezione prevista dall’art. 113, comma 2, secondo periodo, c.p.c., trattandosi di causa fondata su contratti conclusi mediante moduli o formulari, ai sensi dell’art. 1342 c.c.
Deduce, in proposito, che nel caso di specie il contratto di noleggio stipulato tra le parti, così come l’accordo relativo alla cessione del credito, risultano per vero conclusi mediante moduli predisposti unilateralmente.
Ne deriva, secondo la ricorrente, che il Tribunale ha errato là dove ha dichiarato inammissibile il gravame, in violazione dei principi normativi che regolano l’appello avverso decisioni equitative, e in contrasto con la corretta interpretazione delle eccezioni previste dall’art. 113 c.p.c.
4.1.1. Il motivo è fondato e merita accoglimento.
Deve, infatti, darsi continuità al consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, ai fini della verifica dell’appellabilità di una sentenza pronunciata dal Giudice di Pace secondo equità, non rileva il contenuto della decisione, bensì il valore della causa, da determinarsi in base ai criteri di cui agli artt. 10 ss. c.p.c., indipendentemente dall’importo indicato dall’attore (cfr., ex multis, Sez. U, Sentenza n. 13917 del 16/06/2006; Sez. 3, Sentenza n. 11361 del 11/05/2010; Sez. 6 -3, Ordinanza n. 1210 del 18/01/2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 14174 del 24/05/2019).
In particolare, è principio consolidato che, qualora l’attore, pur indicando un importo inferiore al limite di Euro 1.100,00 previsto dall’art. 113, comma 2, c.p.c., abbia comunque formulato una richiesta di ‘maggiore somma ritenuta di giustizia’, la controversia deve considerarsi di valore indeterminato, in assenza di specifica contestazione ex art. 14 c.p.c., con la conseguenza che la relativa sentenza è appellabile, poiché l’appello è qui insensibile alle limitazioni di cui all’art. 339, comma 3, c.p.c. (in tal senso, ex multis, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3290 del 12/02/2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11739 del 05/06/2015; Sez. 3, Sentenza n. 9432 del 11/06/2012).
Analoga conclusione si impone anche nei casi in cui la domanda sia accompagnata da espressioni quali la richiesta del danno emergente, degli interessi moratori, della rivalutazione monetaria e della somma maggiore o minore ritenuta equa dal giudice, trattandosi di domanda a contenuto complesso e di valore
indeterminabile ex ante, come affermato da questa Corte con Ordinanza n. 14174 del 24/05/2019.
Nel caso di specie, la ricorrente ha introdotto la causa dinanzi al Giudice di Pace chiedendo la condanna al pagamento di una somma determinata (identificata in Euro 816,00), ma ha contestualmente proposto domanda per il risarcimento del danno da inadempimento, da ritardato pagamento, nonché per il riconoscimento di ogni ulteriore somma che fosse ritenuta equa, con accessori di legge. In tal modo, la domanda ha senz’altro assunto carattere indeterminato, con conseguente piena appellabilità della decisione di primo grado, ai sensi dell’art. 339, comma 1, c.p.c., non trovando per converso applicazione i limiti previsti dal comma 3 del medesimo articolo.
Per le esposte ragioni, l’impugnazione è stata correttamente proposta con l’ordinario mezzo impugnatorio dell’appello; sicché, il Tribunale capitolino avrebbe dovuto dichiararla ammissibile.
Ne consegue, quindi, l’erroneità della declaratoria di inammissibilità dell’appello pronunciata dal Tribunale, che va, perciò, cassata.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1260 e 1264 c.c. (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.).
La sentenza del Tribunale, confermativa della decisione di primo grado, si fonda su una valutazione che, ad avviso della ricorrente, si pone in contrasto con i principi che regolano la libera circolazione del credito nel nostro ordinamento.
La società ricorrente rileva che il Tribunale ha comunque negato efficacia alla cessione, pur essendo pacifici in causa: a) l’avvenuta cessione del credito da NOME COGNOME ad RAGIONE_SOCIALE, b) la notifica regolarmente effettuata alla debitrice ceduta (UCI) in data 16.11.2009, c) la capienza del credito originario derivante dal sinistro stradale del 16.09.2009, d) il pagamento in favore del cedente per l’importo di Euro 2.072,00, eseguito dalla stessa UCI in
data 13.08.2010. Per questa via, il Tribunale avrebbe ingiustificatamente ostacolato il trasferimento del credito, in violazione degli artt. 1260 e 1264 c.c. e dei principi generali in materia di circolazione dei crediti.
In particolare, ai sensi dell’art. 1264, comma 2, c.c., il debitore ceduto che paga al cedente non è liberato, se il cessionario prova che il debitore era a conoscenza dell’avvenuta cessione prima del pagamento.
In proposito, la ricorrente deduce che, nel caso di specie, tale conoscenza risulta documentalmente comprovata: a) dalla notifica della cessione, avvenuta oltre nove mesi prima del pagamento; b) dalla diffida inviata dal legale della cessionaria; c) dalla proposizione del giudizio di primo grado, con atto di citazione notificato in data 20.04.2010. Deduce altresì che, del resto, la stessa UCI ha ammesso in giudizio sia l’avvenuto pagamento al cedente, sia la riconducibilità dello stesso al sinistro risarcibile, confermando – quindi – la validità sostanziale del credito ceduto.
Alla luce di tali circostanze, la controversia avrebbe dovuto essere definita in diritto, con il riconoscimento che il pagamento effettuato dalla debitrice ceduta in favore del cedente non ha prodotto effetti liberatori nei confronti del cessionario RAGIONE_SOCIALE in quanto effettuato nonostante la piena conoscenza della cessione.
Ne conseguirebbe, ad avviso della ricorrente, che la UCI avrebbe dovuto essere condannata al pagamento della somma ceduta, nei limiti dell’importo di Euro 816,00, nonché al risarcimento del danno da inadempimento (inteso anche quale ritardato adempimento).
4.2.1. Il secondo motivo è parimenti fondato.
L’art. 1264, comma 2, c.c., stabilisce, infatti (con una regola sussidiaria e integratrice a quella di cui al comma 1: «anche prima della notificazione»), l’efficacia non liberatoria del pagamento effettuato dal ceduto al cedente, nei casi in cui il solvens sia comunque consapevole dell’intervenuto mutamento della titolarità
del credito. Una tale consapevolezza può discendere anche da una semplice comunicazione verbale, purché qualificata dall’univoco significato di mezzo di informazione dell’avvenuto trasferimento del credito e tale da giustificare, con ordinaria diligenza, il convincimento che il credito sia stato oggetto di effettiva cessione. Tale disposizione è espressione del principio dell’apparenza, con la precisazione che: mentre l’art. 1189 c.c. prevede che il debitore è liberato se adempie la prestazione al creditore apparente, dovendo – però – dimostrare la sua buona fede, qui, invece, poiché viene in il la norma prevede che sia piuttosto il cessionario a dover provare che il ceduto non era in esponente un’apparenza maggiormente qualificata, essendo cedente soggetto effettivamente legittimato a ricevere prestazione prima della cessione, la buona fede, e non viceversa.
E ciò, nel caso di specie, a fronte di una dichiarazione di adesione della controparte, che esulerebbe dall’area della non contestazione, vertendo, invece, quella dell’ammissione o, ricorrendone i presupposti, finanche della confessione, entrambe declarationes contra se.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, rilevata la fondatezza del ricorso RAGIONE_SOCIALE -con assorbimento di quello proposto da NOME COGNOME si impone la cassazione della sentenza impugnata in relazione alle censure accolte, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio, al Tribunale di Roma, in diversa composizione personale.
P. Q. M.
La Corte accoglie per quanto di ragione il ricorso di RAGIONE_SOCIALE dichiara assorbito il ricorso di NOME COGNOME cassa la
sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, al Tribunale di Roma, in diversa composizione personale.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione in data 14 aprile 2025.
Il Presidente NOME COGNOME