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Ordini di investimento: la ratifica per fatti concludenti

Un’investitrice ha citato in giudizio un istituto di credito in merito a degli acquisti di obbligazioni argentine, sostenendo che gli ordini di investimento fossero nulli. La Corte d’Appello, ribaltando la decisione di primo grado, ha dato ragione alla banca, affermando che tali ordini non necessitano della forma scritta e possono essere ratificati tramite comportamenti concludenti, come l’incasso delle cedole. La Corte di Cassazione ha confermato questa linea, respingendo il ricorso dell’investitrice e sottolineando che le contestazioni generiche sulla violazione degli obblighi informativi sono inammissibili.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Ordini di Investimento: Quando il Silenzio del Cliente Diventa Consenso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8550/2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale nei rapporti tra banche e clienti: la validità degli ordini di investimento impartiti senza forma scritta. La decisione chiarisce che il comportamento successivo dell’investitore, come incassare le cedole senza protestare, può essere interpretato come una ratifica tacita, sanando l’eventuale assenza di un ordine formale. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

Una cliente, in qualità di erede di un’investitrice, aveva avviato una causa contro un noto istituto bancario riguardo a nove operazioni di acquisto di obbligazioni della Repubblica Argentina, effettuate anni prima del default del 2001. La richiesta principale era la declaratoria di nullità o, in subordine, l’annullamento o la risoluzione dei contratti per grave inadempimento della banca, con conseguente richiesta di risarcimento danni.

Il Tribunale di primo grado aveva accolto le ragioni dell’attrice, condannando la banca alla restituzione del capitale investito. Tuttavia, la Corte di Appello ha completamente ribaltato la sentenza. Secondo i giudici di secondo grado:
1. L’obbligo di forma scritta previsto dalla legge (art. 23 TUF) si applica solo al ‘contratto quadro’ e non ai singoli ordini di esecuzione.
2. Gli ordini possono essere ratificati anche tramite ‘fatti concludenti’. Nel caso specifico, l’investitrice aveva continuato a percepire le cedole e ad acquistare titoli della stessa natura senza mai sollevare contestazioni, manifestando così la propria volontà.
3. All’epoca degli acquisti, l’insolvenza dell’Argentina non era affatto prevedibile.

Contro questa decisione, l’erede ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando diversi vizi di violazione di legge e di procedura.

La Decisione della Corte di Cassazione: Validità degli Ordini di Investimento

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile e infondato, confermando integralmente la sentenza della Corte di Appello. La decisione si basa su principi consolidati sia in materia di diritto sostanziale che processuale, offrendo chiarimenti fondamentali per gli investitori.

La Forma degli Ordini di Investimento e la Ratifica Tacita

Il cuore della controversia risiedeva nella validità degli ordini di investimento impartiti senza un documento scritto. La Cassazione ha ribadito un orientamento ormai consolidato: la legge impone la forma scritta solo per il contratto quadro, che regola le condizioni generali del rapporto tra cliente e intermediario. I singoli ordini esecutivi, invece, sono a forma libera.

La Corte ha inoltre valorizzato il concetto di ratifica per facta concludentia. La Corte d’Appello aveva correttamente osservato che il comportamento dell’investitrice – continuare a incassare le cedole e acquistare altri titoli simili – era incompatibile con una presunta assenza di volontà. Questo comportamento concludente ha sanato qualsiasi vizio formale iniziale. La Cassazione ha ritenuto questa motivazione solida e sufficiente a sostenere la decisione, rendendo inammissibile il motivo di ricorso che non l’aveva adeguatamente contestata.

L’Onere della Prova nella Violazione degli Obblighi Informativi

Un altro punto cruciale affrontato dalla Corte riguarda la presunta violazione degli obblighi informativi da parte della banca. L’investitrice lamentava che la banca non l’avesse adeguatamente informata sui rischi, garantendo che gli investimenti erano ‘sicuri e garantiti’.

La Cassazione ha dichiarato il motivo inammissibile per genericità. Secondo la Corte, non è sufficiente lamentare genericamente una mancanza di informazioni. L’investitore che agisce in giudizio ha l’onere di allegare specificamente quali informazioni avrebbero dovuto essere fornite e non lo sono state. Spetta poi all’intermediario dimostrare di averle fornite. Una contestazione vaga e non circostanziata non può essere accolta.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso basandosi su una serie di principi giuridici. In primo luogo, ha confermato che la forma scritta è richiesta solo per il contratto quadro e non per i singoli ordini di investimento. Questi ultimi possono essere validamente ratificati anche attraverso comportamenti concludenti (facta concludentia), come l’incasso delle cedole e l’acquisto di ulteriori titoli della stessa natura. Tale comportamento è stato ritenuto incompatibile con l’affermazione di non aver mai voluto effettuare quelle operazioni.

Inoltre, molti motivi del ricorso sono stati dichiarati inammissibili per difetto di ‘autosufficienza’. Il ricorrente, cioè, non aveva riportato nel proprio atto i contenuti essenziali delle domande e delle eccezioni formulate nei gradi precedenti, impedendo alla Corte di valutare la fondatezza delle censure. Infine, riguardo alla violazione degli obblighi informativi, la Corte ha ribadito che il cliente ha l’onere di specificare quali informazioni rilevanti sono state omesse dall’intermediario; una doglianza generica non è sufficiente per fondare una richiesta di risarcimento.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un principio fondamentale: la responsabilità e la consapevolezza dell’investitore giocano un ruolo attivo nel rapporto con l’intermediario. L’assenza di un ordine scritto può essere superata dal comportamento successivo del cliente, che dimostra di aver accettato l’operazione. Per gli investitori, la lezione è chiara: è essenziale contestare tempestivamente e per iscritto qualsiasi operazione non autorizzata o non compresa. Affidarsi a contestazioni tardive e generiche, specialmente dopo aver beneficiato dei frutti dell’investimento, si rivela una strategia processualmente debole e destinata all’insuccesso.

Gli ordini di investimento necessitano della forma scritta per essere validi?
No. Secondo la sentenza, l’obbligo di forma scritta a pena di nullità, previsto dall’art. 23 del Testo Unico della Finanza (TUF), si applica solo al contratto quadro che disciplina il rapporto generale, ma non ai singoli ordini di investimento o disinvestimento, che possono essere impartiti senza vincoli di forma.

Il comportamento di un investitore può sanare la mancanza di un ordine scritto?
Sì. La Corte ha stabilito che gli ordini di investimento possono essere ratificati anche ‘per fatti concludenti’. Un comportamento come continuare a percepire le cedole dei titoli acquistati senza sollevare contestazioni e, addirittura, acquistare altri titoli della medesima natura, è stato considerato come una ratifica tacita dell’operato della banca, sanando l’eventuale assenza di un ordine formale.

Cosa deve fare un investitore per contestare efficacemente la violazione degli obblighi informativi da parte della banca?
L’investitore non può limitarsi a una contestazione generica. Deve allegare in modo specifico e circostanziato quali informazioni rilevanti l’intermediario avrebbe omesso di fornire. Solo a fronte di un’allegazione precisa, l’onere della prova si sposta sulla banca, che dovrà dimostrare di aver fornito le informazioni dovute.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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