Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8550 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8550 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 11383/2020 proposto da
COGNOME NOME , in proprio e nella qualità di erede unica di COGNOME NOME, rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO, Pec:EMAIL
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, INDIRIZZO -controricorrente-
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze n.2551/2019 depositata il 24.10.2019, notificata il 24.12.2019
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30.1.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Oggetto: intermediazione finanziaria
FATTI DI CAUSA
1. – Con atto di citazione ritualmente notificato alla controparte, RAGIONE_SOCIALE Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE s.p.a. ha proposto appello avverso la sentenza n.2698/2010, con la quale il Tribunale di Firenze (sulle domande promosse da COGNOME NOME, in proprio e nella qualità di unica erede di COGNOME NOME per ottenere, relativamente a nove operazioni di vendita/negoziazione di obbligazioni della Repubblica Argentina, la declaratoria di nullità, ovvero in via subordinata l’annullabilità, ed in via ancor più subordinata la risoluzione per grave inadempimento ed infine il risarcimento dei danni conseguente a responsabilità precontrattuale, contrattuale ed aquiliana della banca convenuta) ha dichiarato risolti per inadempimento della banca convenuta i relativi contratti e ha condannato la banca a restituire in favore di parte attrice il relativo capitale investito e le spese sopportate dalla dante causa dell’attrice COGNOME NOME (previa detrazione dell’ammontare di eventuali cedole incassate e restituzione dei titoli o, in caso di mancata restituzione dei titoli, del relativo valore alla data del 28.12.2006 quanto alle operazioni sub 1 e alla data dell’11.11.2005 quanto alle operazioni sub 2), oltre interessi legali e l’eventuale differenziale tra il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi ed il tasso di interesse legale dal 28.12.2006 quanto alle operazioni sub 1 e dall’11.11.2005 quanto alle operazioni sub 2 sino al saldo.
– Le soccombenti proponevano gravame dinanzi alla Corte di Appello di Firenze che, con la sentenza qui impugnata, ha accolto l’appello in totale riforma della sentenza di primo grado.
Per quanto qui di interesse la Corte di merito ha statuito che:
a) in tema di nullità, la prescrizione dell’art. 23 TUF, secondo cui i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento debbono essere redatti per iscritto a pena di nullità deducibile solo dal cliente, attiene al contratto quadro che disciplina lo svolgimento successivo
del rapporto volto alla prestazione del servizio di negoziazione di strumenti finanziari e non attiene ai singoli ordini di investimento (o disinvestimento) che vengano impartiti dal cliente;
gli ordini di investimento, non richiedendo la forma scritta, possono essere ratificati anche per fatti concludenti e l’investitrice ha continuato a percepire le relative cedole senza sollevare eccezioni ed ha continuato ad acquistare titoli della medesima natura;
i singoli ordini di acquisto possono essere risolti, quali atti negoziali posti in essere in esecuzione del contratto-quadro (quest’ultimo avente lo schema del contratto normativo o master agreement), a fronte della violazione degli obblighi informativi commessa dall’intermediario in concomitanza con l’ordine di acquisto;
all’epoca della negoziazione dei titoli risalente al 1998 l’insolvenza della Repubblica Argentina, dichiarata nel dicembre 2001, era ben lungi dal delinearsi, né era ragionevolmente prevedibile;
la COGNOME era solita investire in maniera cospicua e qualitativamente diversificata somme rilevanti in valori mobiliari;
dagli esiti probatori complessivamente valutati si poteva rilevare che anche le operazioni contestate non fossero inadeguate, considerato anche che la COGNOME non aveva voluto fornire informazioni sulla propria situazione finanziaria;
parte attrice in primo grado non aveva mai fornito prova del nesso causale tra l’asserito inadempimento ed il danno lamentato ;
in accoglimento dell’appello incidentale i titoli in questione, consegnati alla RAGIONE_SOCIALE dopo la sentenza di I grado unitamente alle cedole, dovevano essere restituiti all’attuale ricorrente .
– COGNOME NOME, in proprio e quale erede della COGNOME, ha proposto ricorso per cassazione con otto motivi ed anche memoria.
4.- RAGIONE_SOCIALE Monte dei Paschi RAGIONE_SOCIALE, ha resistito con controricorso ed anche memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. -Con il primo motivo si contesta che la sentenza sia stata redatta da un giudice ausiliario componente del collegio decidente in applicazione degli artt. 62-72 d.l. n. 69/2013 e si deduce, in considerazione della dedotta illegittimità costituzionale di dette norme, la nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c.
5.1 -La censura è infondata.
A seguito della sentenza della Corte Cost. n. 41 del 2021 – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle predette disposizioni, differendone tuttavia gli effetti fino a quando, entro la data del 31/10/2025, non si perverrà ad una riforma complessiva della magistratura onoraria -le Corti d’Appello sono legittimate a valersi dell’opera degli ausiliari nominati in forza di dette disposizioni ; fino a quel momento, infatti, la temporanea tollerabilità costituzionale dell’attuale assetto è volta ad evitare l’annullamento delle decisioni pronunciate dalle Corti d’ Appello con la partecipazione dei giudici ausiliari e a non privare immediatamente le Corti d’ Appello dei giudici onorari al fine di ridurre l’arretrato nelle cause civili (Cass., n. 15045/2021).
6 . -Con il secondo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 1325 c.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c. e si contesta che la sentenza avrebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato laddove ha ritenuto di riconoscere l’esistenza degli ordini di acquisto in quanto essi non sono soggetti a vincoli formali quando al contrario il giudice di I grado aveva statuito che le operazioni non erano state richieste dal cliente.
6.1 -Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza in quanto non si riproduce la domanda avanti al Tribunale né quella proposta in appello. E’ necessario, infatti, che il ricorso per cassazione esponga tutto quanto necessario a porre il giudice di legittimità in condizione di avere completa cognizione della controversia e del suo oggetto, nonché di cogliere il significato e la portata delle censure
contrapposte alle argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Cass., n. 31082/2017; Cass., n. 1926/2015; Cass., n. 7825/2006; da ult. tra le tante Cass., n. 12191/2020; Cass., n. 10143/2020; Cass., n. 12481/2022), sicché il ricorrente per cassazione deve esplicitare quale sia, per la parte rilevante, il contenuto degli atti o dei documenti che pone a fondamento del ricorso, riassumendoli o trascrivendoli a seconda di quanto di volta in volta occorra.
-Con il terzo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 , c.p.c. e si contesta che la Corte avrebbe accolto l’eccezione della RAGIONE_SOCIALE circa l’intervenuta ratifica degli ordini da parte dall’investitrice nonostante la relativa eccezione non fosse stata sollevata in I grado.
7.1 . -Il motivo è inammissibile perché non esaurisce la totalità delle rationes decidendi adottate a presidio della decisione.
La Corte ha riformato sul punto la sentenza di I grado -che aveva deciso per la rilevanza dell’assenza di ordini scritti ed aveva dedotto che questi non erano mai stati impartiti dall’investitrice -considerando, correttamente, che gli ordini non sono soggetti a vincoli formali e che la dichiarata assenza di volontà nell’esecuzione delle operazioni era incompatibile con la circostanza che l’investitrice avesse «continuato a percepire le cedole senza sollevare contestazioni ed (avesse) continuato ad acquistare titoli della medesima natura».
Ha recepito così il consolidato orientamento di questa Corte che ha statuito che «risultano sottratti ad oneri formali anche i negozi eventualmente collegati agli ordini d’investimento, quali l’autorizzazione ad impartirli o il conferimento del relativo incarico ad un terzo, ovvero la ratifica postuma dell’operato di quest’ultimo, il cui compimento non deve necessariamente evincersi da un atto scritto, potendo risultare anche per facta concludentia e può quindi
essere provato anche in via presuntiva» (Cass., n. 1578/2017; Cass., n. 18122/2020; Cass., n. 23489/2021).
Ha così statuito sia sull’assenza dei vincoli formali, sia sulla presenza dell’elemento volontà, ricavandolo per facta concludentia dagli esiti probatori, a prescindere dalla sollevata eccezione di ratifica sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE.
La motivazione al riguardo si vale perciò di una doppia ratio, la prima delle quali non censurata e pertanto il motivo è inammissibile per difetto di interesse, (Cass., n. 20118/2006; Cass., n. 18641/2017; Cass., n. 13880/2020).
8. -Con il quarto motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 21 e 23 d.lgs. n. 58/1998 e degli artt. 26 e 28 Regolamento Consob n. 11522/1998 e si contesta che la Corte non avrebbe verificato l’adempimento agli obblighi informativi asserendo che i rischi del successivo default dello Stato non erano prevedibili, nonostante fosse risultato provato che i funzionati della RAGIONE_SOCIALE avevano garantito che gli investimenti erano ‘sicuri e garantiti da buon rendimento’ , siccome non erano stati acquisiti nemmeno informazioni sul profilo della cliente al fine di valutare l’ adeguatezza dell’operazione.
8.1 -Il motivo è inammissibile.
La disciplina dettata dall’articolo 23, comma 6, del d.lgs. n. 58 del 1998, in armonia con la regola generale stabilita dall’articolo 1218 c.c., impone all’investitore, il quale lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario, nel quadro dei principi che regolano il riparto degli oneri di allegazione e prova, di allegare specificamente l’inadempimento di tali obblighi, mediante la pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrare, nonché di fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra inadempimento e danno, nesso che sussiste se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi
pregiudizievole; incombe invece sull’intermediario provare che tali informazioni sono state fornite ovvero che esse esulavano dall’ambito di quelle dovute (Cass., n. 10111/2018).
La formulata contestazione deflette da questo quadro di riferimento perché è del tutto generica mancando ogni indicazione circa le informazioni che avrebbero dovuto essere date e che non lo furono. 9. -Con il quinto motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 21 TUF e artt. 29 Regolamento Consob n. 11522/1998 dagli artt. 1455, 2727 e 2729 c.c. , in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. e si contesta che le operazioni fossero assolutamente inadeguate, censurando il fatto che la Corte territoriale avesse ritenuto che la pregressa esperienza della COGNOME, insieme ad altre circostanze parimenti significative, rendessero le operazioni adeguate in relazione al profilo del cliente, fermo restando in ogni caso che ciò non avrebbe dovuto esoneravano l’intermediario da ll’adempimento degli obblighi informativi posti a suo carico.
9.1 – Il motivo è inammissibile perché inteso a censurare l’apprezzamento in fatto operato dal decidente del grado.
Con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c. va, infatti, osservato che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi in ogni caso rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo, sì come non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un
legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Cass., n. 5279/2020; Cass.,n. 22366/2021).
-Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione d ell’ art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c. e si contesta che la sentenza abbia rigettato la proposta domanda di risarcimento del danno.
10.1 -Il motivo è assorbito poiché dedotto sul presupposto di una responsabilità contrattuale disconosciuta dalla Corte territoriale.
-Con il settimo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c. e si contesta che la sentenza non abbia pronunciato sulla domanda intesa a denunziare la mancanza di autorizzazione scritta degli ordini fuori mercato.
11.1 -La censura è inammissibile perché difetta di autosufficienza in quanto la domanda asseritamente preterita non è stata riprodotta, sì che la Corte non è perciò in grado di sindacare ex actis prima della decisività della relativa deduzione la veridicità di essa.
-Con l’ ottavo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c. e si contesta che la sentenza non abbia pronunciata sulla domanda di corresponsione degli interessi legali sulle somme che ‘la banca è stata condannata a restituire’ .
12.1 -Il motivo è infondato poiché nella motivazione la questione ha costituito oggetto di esame ed è noto che l’esatto contenuto della sentenza va individuato non alla stregua del solo dispositivo, bensì integrando questo con la motivazione nella parte in cui la medesima
riveli l’effettiva volontà del giudice, (Cass., n. 24600/2017; Cass., n.24867/2023).
-Per quanto esposto, il primo, il secondo, il terzo, il quarto e il quinto e il settimo motivo di ricorso sono inammissibili; risultano assorbito il sesto e infondato l’ottavo motivo di ricorso.
Il ricorso va, quindi, rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 8.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nel la misura del 15%, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione