Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18116 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18116 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14309/2024 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
Contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende -controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 3093/2024 depositata il 06/05/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/06/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME ha chiesto il riconoscimento della sentenza emessa dal Tribunale di Cordoba (Argentina) con la quale il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale è stato condannato al pagamento in suo favore dell’importo di euro 161.461,10. Il Ministero, che si era difeso nel processo svoltosi in Argentina, si è opposto al riconoscimento della sentenza, contestando, per quanto qui di interesse, la contrarietà ai principi di ordine pubblico ex art. 64 l. n. 218/1995 sotto il profilo degli artt. 3, 81 e 97 Cost. per avere il giudice straniero ritenuto a tempo indeterminato un contratto di lavoro che, invece, doveva considerarsi a tempo determinato.
La Corte d’appello di Roma ha respinto le ragioni della difesa erariale e riconosciuto e l’efficacia in Italia della sentenza emessa dal Tribunale di Cordoba n.11020173 del 28/02/2014 comprensiva dei chiarimenti e le delibere interlocutorie ad essa integrate del 11/04/2014 e del 26/10/2017.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero affidandosi a tre motivi.
NOME COGNOME si è difesa con controricorso e ha depositato memoria. Il Procuratore generale ha depositato memoria scritta concludendo per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 64, comma 1, lett. g), e 67, l. n. 218/1995 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La parte ricorrente impugna la sentenza della Corte di appello di Roma laddove ha (in tesi erroneamente) dichiarato inammissibili le difese presentate dall’Amministrazione, relative alla contrarietà all’ordine pubblico della sentenza straniera ai sensi dell’art. 64, lett. g), l. n. 218/1995. Il Ministero deduce che il
Tribunale di Cordoba, in accoglimento dell’avversaria domanda, aveva dichiarato in via giurisdizionale che i contratti a tempo determinato successivamente stipulati dalla sig.ra COGNOME con il locale Consolato dovevano qualificarsi come unico contratto. Per tale motivo, aveva dichiarato la conversione dei contratti a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, riconoscendo alla sig.ra COGNOME il diritto a percepire le differenze retributive con gli interessi. Il Ministero aveva eccepito la contrarietà all’ordine pubblico, posto che tutti i contratti della p.a. a tempo indeterminato necessitano di concorso pubblico ex art 97 Cost. L’accertamento del requisito della non contrarietà all’ordine pubblico era stato richiesto dal Ministero con la propria memoria difensiva, ma la Corte d’appello ha errato sul punto perché anziché valutare la contrarietà all’ordine pubblico della sentenza straniera e gli effetti del suo riconoscimento ai fini di garanzia dei principi fondanti del nostro ordinamento ne ha apprezzato il merito.
-Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., la nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; mancato esame delle difese dell’amministrazione. Il Ministero deduce che sarebbe caduta in errore la Corte di merito perché a fronte della eccezione di contrarietà all’ordine pubblico della sentenza straniera si è limitata a ritenere che l’eccezione sollevata dall’Amministrazione rappresentasse una inammissibile contestazione nel merito della sentenza oggetto della procedura di delibazione, senza pronunciarsi sul punto, in violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
-Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 81 e 97 Cost. la violazione dei principi in materia di pubblico concorso e di accesso al pubblico impiego con contratto a tempo indeterminato in relazione all’art.
360, comma 1, n. 3, c.p.c. Si deduce che la sentenza della Corte di appello di Roma, attraverso il riconoscimento in Italia del provvedimento straniero contrario all’ordine pubblico ex art. 64, comma 1, lett. g), l. n. 218/1995, determina la violazione degli artt. 3, 81 e 97 Cost. Parte ricorrente rileva che con la sentenza il giudice argentino ha convertito in via giudiziale il contratto a tempo determinato della ricorrente in un contratto a tempo indeterminato alle dipendenze di una pubblica amministrazione; per l’effetto, la Corte ha emesso una pronuncia che viola l’art. 97 Costituzione, secondo cui il rapporto di lavoro con la p.a. si costituisce mediante superamento di un pubblico concorso, principio applicabile anche al personale a contratto che, qualora assunto a tempo indeterminato, viene scelto a proprio a seguito di una selezione pubblica avente natura concorsuale, così entrando in contrasto con l’art 97 Cost. Si rileva che in ogni caso la sentenza è errata nel merito, non potendosi applicare la legge argentina, così come stabilito dalla Corte di Cassazione in casi analoghi. Né, per giungere a diversa conclusione, potrebbe obiettarsi che la ricorrente non ha domandato la reintegrazione sul posto di lavoro ma il pagamento della indennità per licenziamento senza giusta causa, posto che entrambe le domande poggiano sul medesimo presupposto giuridico, e cioè l’intervenuta costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con il Consolato Generale. Si osserva che la sentenza argentina appare incompatibile con la Costituzione anche sotto un ulteriore profilo, considerato che il suo riconoscimento e, di seguito sulla scorta di questa, anche di analoghe, future sentenze straniere che dovessero del pari condannare le istituzioni diplomatiche estere a pagamenti legati a prestazioni lavorative del personale a contratto, porterebbe ad un ingente esborso di denaro tale da compromettere il rispetto dei principi di economicità ed equilibrio nella gestione delle risorse disponibili, di cui all’art. 81
della Costituzione, con ripercussioni negative sul bilancio dell’Amministrazione.
4. -Il Procuratore generale si è espresso per il rigetto del ricorso osservando che in parte vengono proposte inammissibili censure di merito alla sentenza del tribunale argentino (cfr., in particolare, sub 4b/4d), in parte infondate. Rileva che secondo la giurisprudenza di legittimità l’art. 64 della legge n. 218 del 1995 non lascia al giudice investito della verifica alcun margine di valutazione sul merito della decisione adottata, essendogli devoluto solo il controllo estrinseco dell’atto, limitato al decisum , cioè al contenuto precettivo della statuizione, sia pure ricostruita alla luce della parte espositiva della motivazione. Osserva che il Ministero omette di riprodurre in ricorso almeno i passi salienti della motivazione della sentenza del Tribunale argentino dai quali dovrebbe risultare che essa contiene disposizioni che producono effetti contrari all’ordine pubblico. Di contro risulta dalla sentenza argentina versata nel fascicolo di questo grado che il Tribunale non ha «costituito» alcun rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra la sig.ra COGNOME e il Consolato Italiano, in violazione dell’art. 97 Cost.; ma ha riconosciuto che i rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato intercorsi tra le parti si sono svolti, in fatto, come un unico contratto di lavoro a tempo indeterminato ed ha conseguentemente condannato il Ministero a pagare alla sig.ra COGNOME indennità risarcitorie previste per l’interruzione senza causa del rapporto. Il riconoscimento della sentenza del Tribunale argentino non comporta, dunque, la costituzione di alcun rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in violazione dell’art. 97 Cost. ma solo un comune obbligo risarcitorio a carico dell’Amministrazione: ne consegue che la sentenza argentina non produce «effetti» contrari all’ordine pubblico. Quanto all’artt. 81 Cost., se è vero, come afferma il Ministero, che la sentenza del
tribunale argentino è errata nel merito, non vi sono elementi per dire che tale errore si ripeterà in ogni causa di contenuto coincidente, e, dunque, che il riconoscimento dell’efficacia di tale sentenza scatenerà la corsa degli «impiegati a contratto» a rivendicare risarcimenti tali da mettere in pericolo l’equilibrio della finanza pubblica.
I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono infondati.
Il Ministero muove dal presupposto che con la sentenza che è stata dichiarata esecutiva in Italia il Tribunale argentino abbia costituito un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra la signora COGNOME e il ministero, illegittimamente trasformando contratti di lavoro a tempo determinato. Controparte contesta invece che nessuna costituzione di rapporto di lavoro vi è stata, ma semplicemente il riconoscimento di una indennità per la illegittima condotta del Ministero che, tramite una serie di contratti di lavoro a tempo determinato, ha in sostanza instaurato un contratto di lavoro a tempo determinato. Questa è stata anche la ragione per la quale la Corte d’appello ha respinto le eccezioni del Ministero, mettendo in rilevo che questi contratti erano stati male redatti dai funzionari incaricati e che da tale ‘condotta malaccorta’ erano derivate conseguenze. Con ciò non ha affatto apprezzato il merito della controversia, come deduce il Ministero, ma ha invece verificato quali fossero gli effetti della decisione e segnatamente se si ponessero in contrasto con l’ordine pubblico italiano. L’autorità giudiziaria argentina si è imitata a constatare che è stato il Ministero ad instaurare irregolarmente con la COGNOME un rapporto di lavoro sostanzialmente a tempo indeterminato, dissimulandolo con una serie ripetuta di contratti di lavoro a tempo determinato peraltro dal contenuto non univoco, ed ha riconosciuto in
conseguenza di questa irregolarità il diritto ad una prestazione pecuniaria (indennità) oltre ad una sanzione.
Una siffatta decisione non può considerarsi contraria all’ordine pubblico italiano, dal momento che il rapporto di lavoro non è stato trasformato, né è stato fatto obbligo alla p.a. di reintegrare la lavoratrice, ma le è stata riconosciuta la stessa indennità che le sarebbe stata dovuta per il licenziamento senza giusta causa e omesso preavviso. Come bene dice la Corte d’appello, è stato il Consolato a violare le norme che presiedono alla stipulazione dei contratti di lavoro con la p.a. ( in primis l’art. 97 Cost.) .
L’effetto della delibazione della sentenza non è la violazione del divieto di conversione del rapporto di lavoro con la p.a. (vigente nel nostro ordinamento) ma soltanto che resta accertata la procedura irregolare nell’instaurare il rapporto di lavoro (abuso di contratti a tempo determinato) e il conseguente diritto ad una prestazione pecuniaria, e ciò, per quanto deliberato secondo la legge argentina, è sostanzialmente conforme a quanto avviene nell’ordinamento nazionale quando si verifica la fattispecie dell’abuso dei contratti di lavoro a tempo determinato, come rimarcato dalla giurisprudenza di questa Corte e dalla sentenza dalla Corte di Giustizia UE, sentenza 7 maggio 2018, in C -494/16 (v. Cass. n. 2175 del 01/02/2021). La circostanza che la prestazione pecuniaria sia stata denominata indennità e non risarcimento del danno e liquidata con riferimento ai parametri delle indennità di licenziamento e di preavviso previste dalla legge argentina è poi questione di merito e di giurisdizione interna argentina; in fase di delibazione è sufficiente accertare che la sentenza non contrasta con l’ordine pubblico, posto che il solo effetto che produce la sua delibazione è il riconoscimento di una prestazione monetaria in conseguenza di un comportamento
illecito e cioè l’abuso del contratto a tempo determinato e la irregolare costituzione del rapporto di lavoro.
E’ poi irrilevante la circostanza che vi possano essere altre analoghe procedure irregolari in cui i lavoratori possano rivendicare le stesse indennità; se vi è un comportamento irregolare della pubblica amministrazione questa ne deve subire le conseguenze ed è questo il principio di ordine pubblico che va riaffermato nella fattispecie e non l’opposto e cioè che invocando l’art. 81 della Costituzione la pubblica amministrazione possa sottrarsi alla responsabilità per il cattivo operato dei suoi organi.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in euro 4.000,00 per compensi oltre euro 200,00 per spese non documentabili. Nessuna dichiarazione in ordine al contributo ex art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, posto che le amministrazioni statali effettuano prenotazioni a debito (Cass. s.u. 8810/2025).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro in euro 4.000,00 per compensi oltre euro 200,00 per spese non documentabili oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e accessori di legge. Così deciso in Roma, il 10/06/2025.