Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9807 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9807 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 26459/2020 r.g. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME , rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata al ricorso, dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME e NOME COGNOME, con cui elettivamente domiciliano presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla INDIRIZZO.
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Siena, alla INDIRIZZO.
-intimata – avverso la sentenza, n. cron. 5/2020, della CORTE DI APPELLO DI REGGIO CALABRIA, pubblicata il giorno 07/01/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 05/04/2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME citarono RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.p.a. (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE) innanzi al Tribunale di Palmi, sezione distaccata di Cinquefrondi, esponendo che: i ) il COGNOME aveva intrattenuto, per oltre vent’anni, rapporti di credito, nella forma del contratto di conto corrente, con la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Polistena RAGIONE_SOCIALE, proseguiti, poi, con la RAGIONE_SOCIALE Regionale Calabrese s.p.a., incorporata per fusione nella RAGIONE_SOCIALE Antoniana RAGIONE_SOCIALE Veneta s.p.a., rapporti assistiti da garanzia fideiussoria prestata dalla COGNOME; ii ) tali rapporti si erano interrotti per recesso dallo stesso comunicato con raccomandata del 31 ottobre 2000; iii ) la banca aveva illegittimamente computato gli interessi passivi, capitalizzandoli trimestralmente, in violazione del divieto di cui all’art. 1283 cod. civ.; iv ) il tasso degli interessi passivi, ultralegale, non era stato espressamente pattuito, bensì rimesso alla illegittima determinazione cd. ” uso piazza “; v ) pure non concordate erano state le c.m.s. e le spese; vi ) gli interessi passivi applicati erano stati superiori al cd. ” tasso soglia “; vii ) l’11 giugno 2001, la banca aveva comunicato alla COGNOME la compensazione del proprio debito con il maggior credito vantato in dipendenza della fideiussione prestata in favore del COGNOME.
1.1. Chiesero, pertanto, tra l’altro: i ) previa declaratoria di nullità delle corrispondenti clausole dei contratti di conto corrente e ricalcolo dei corretti saldi di questi ultimi, condannarsi RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE alla restituzione di quanto illegittimamente percepito per le menzionate causali; ii ) dichiararsi l’illegittimità della compensazione effettuata dalla banca tra la somma costituente il saldo apparente sui libretti di deposito n. NUMERO_DOCUMENTO e n. NUMERO_DOCUMENTO ed il maggior debito della COGNOME, nei confronti della prima, nascente dalla fideiussione prestata in favore del COGNOME e, conseguentemente, condannare la convenuta alla restituzione, in favore dell’attrice suddetta, della somma di £. 20.218.997, nonché al risarcimento dei danni patrimoniali e non, correlati all’indebita appropriazione; iii ) dichiararsi l’illegittimità della segnalazione alla Centrale Rischi della RAGIONE_SOCIALE d’Italia del nominativo di COGNOME
NOME e, conseguentemente, condannarsi la convenuta al risarcimento dei danni connessi.
1.2. Costituitasi RAGIONE_SOCIALE, che contestò le avverse pretese, l’adito tribunale, disposta ed espletata una consulenza contabile, con sentenza del 28 aprile 2008, n. 111, accolse parzialmente le domande degli attori e, dichiarata la nullità della clausola contenuta nei contratti di conto corrente bancario inter partes relativa alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, condannò la menzionata banca a corrispondere al COGNOME l’importo di € 1.000,00, oltre interessi al tas so legale dalla data di pubblicazione della sentenza fino al soddisfo, a titolo di risarcimento del danno, rigettando le altre richieste.
Pronunciando sul gravame promosso dal COGNOME e dalla COGNOME contro quella decisione, l’adita Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza del 7 gennaio 2020, n. 5, pronunciata nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE, lo respinse.
2.1. Per quanto ancora di interesse in questa sede, quella corte, dopo aver descritto i formulati motivi di appello, osservò che « gli appellanti hanno incoato un giudizio di cognizione ordinaria con il quale hanno eccepito un inadempimento contrattuale da parte della convenuta RAGIONE_SOCIALE, chiedendo al t ribunale l’accoglimento delle loro richieste conseguenti all’inadempimento perpetrato dalla convenuta. Sicché, l’onere della prova di tale inadempimento era a loro carico e avrebbero dovuto produrre copia del contratto di apertura del credito in conto corrente e copia degli estratti conto, presupposto indefettibile per l’accoglimento delle richieste degli attori. In realtà, ricorrendo all’uso improprio del disposto di cui all’art 210 c.p.c. gli appellanti, che non avevano la disponibilità dei suddetti documenti, hanno effettuato una vera e propria inversione dell’onere della prova, che, con l’ordine di esibizione disposto con l’ordinanza istruttoria dell’11/2/2004, poi revocata, era stato posto a carico della RAGIONE_SOCIALE. Rileva questa Corte che correttamente il primo Giudice ha ritenuto che ‘la giurisprudenza formatasi in relazione all’art. 210 c.p.c. ha evidenziato come il potere di ordinare ad un terzo l’esibizione di documenti di sua proprietà ed in suo possesso, determinando un’eccezione al
principio generale stabilito dall’art. 2697 c.c., non può essere esercitato dal giudice del merito oltre i limiti previsti dal citato art. 210 del codice di rito. In particolare, è necessario che la situazione processuale sia tale che la prova non possa es sere fornita se non mediante l’esibizione’. Questa Corte, concordemente al deciso del Giudice di primo grado, ritiene che, nel caso di specie, l’ordine di esibizione è stato emesso in relazione alla documentazione contabile in possesso della banca malgrado la parte avrebbe potuto acquisirla di propria iniziativa, ai sensi dell’art. 119 T.U.L.B. e pur non essendoci in atti la prova di un infruttuoso tentativo in tal senso operato. Pertanto, l’ordine è stato emesso in violazione dei presupposti previsti dall’art. 210 c.p.c., e quindi, risulta illegittimo, e correttamente il Giudice ha revocato l’ordinanza istruttoria dell’11/2/2004. Le superiori argomentazioni conducono al rigetto del primo motivo di appello, con la conferma della sentenza di primo grado. Il r igetto del primo motivo comporta l’assorbimento anche del secondo motivo ».
Per la cassazione di questa sentenza hanno promosso ricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME, affidandosi a quattro motivi. RAGIONE_SOCIALE è rimasta solo intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
I) « Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 119 del d.lgs. n. 385 del 1993, in relazione all’art. 210 c.p.c.. Violazione degli artt. 2711 c.c., in relazione all’art. 212 c.p.c. », sostanzialmente contestandosi alla corte distrettuale di avere condiviso l’avvenuta revoca, da parte del tribunale, dell’ordinanza istruttoria recante, tra l’altro, l’ordine di esibizione ex art. 210 cod. proc. civ. rivolto alla banca convenuta, ritenendo poi, indimostrate, in applicazione della regola di cui all’art. 2697 cod. civ., le domande ivi non accolte. Si assume, tra l’altro, che gli appellanti, con il gravame, avevano invocato una diversa regola di giudizio fondata sulle norme di cui agli artt. 2711, comma 2, cod. civ. e 212 cod. proc. civ., ma, sul punto, la corte suddetta non si era espressamente pronunciata;
II) « Art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in relazione agli artt. 111, comma 6, della Costituzione, 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. cod. proc. civ.: mancanza di requisito essenziale, difformità dell’atto dal modello legale, nullità della sentenza ». Si deduce che la corte d’appello, « pur investita da specifico (e peraltro principale) motivo di impugnazione, ha ritenuto di rigettare il gravame ritenendo la censura assorbita nella decisione di conferma della sentenza di primo grado. Ritenuto ammissibile il gravame, radicato il dovere di pronuncia ed affrontato il merito delle questioni sollevate, in presenza di censura funzionalmente autonoma e di regola di giudizio concorrente ed alternativa a quella utilizzata per la decisione di conferma, il mero ricorso al principio dell’assorbimento, quale strumento di motivazione implicita, non era consentito . La questione sollevata con l’impugnazione era direttamente discendente dal rapporto di specialità tra le diposizioni di cui agli 2697 c.c. e 210 c.p.c., da un lato, e quelle di cui agli artt. 2711 c.c. e 212 c.p.c., dall’altro, avrebbe reso applicabile alla fattispecie, regola di giudizio diversa da quella applicata in primo grado. La diversa regola individuata dagli appellanti, operando sulla legittimità di una acquisizione documentale iussu judicis ex art. 2711, comma 2, c.c., rispetto alle scritture contabili obbligatorie dell’imprenditore (e agli estratti di esse ex art. 212 c.p.c.), sarebbe risultata dirimente e, a sua volta, assorbente, rispetto a quella di legittimità dell’ordine di esibizione conseguente ad istanza di parte per impossibilità di acquisizione con mezzi diversi ex art. 210 c.p.c., non viceversa. . Il principio dell’assorbimento (nella forma cd. impropria) è stato erroneamente ritenuto ed applicato dalla Corte e, nella misura in cui esso si è tradotto in motivazione implicita, viene ad impedire il riconoscimento dell ‘iter logico – giuridico del ragionamento sotteso alla decisione di rigetto »;
III) « Art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in relazione agli artt. 111, comma 6, Cost., 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ.: mancanza di requisito essenziale, difformità dell’atto dal modello legale, nullità della sentenza ». Si assume che « Le medesime considerazioni svolte al precedente motivo, con riferimento alla erronea applicazione del principio di assorbimento (improprio) e di mancanza di motivazione, possono essere
opportunamente richiamate e necessariamente estese al rigetto implicito delle richieste istruttorie formulate dagli appellanti con l’impugnazione. La (erronea) revoca pronunciata dal Tribunale in sede decisoria, riguardando solo l’ordine di esibizione, non poteva e non è stata estesa alla ‘valutazione delle richieste istruttorie delle parti, non rigettate con la presente ordinanza’, riservata dall’istruttore -estensore della ordinanza istruttoria dell’11.2.2004, all’esito positivo della verifica di esibizion e della documentazione contabile ». Si aggiunge che, « con l’atto di impugnazione, gli appellanti hanno espressamente chiesto, tra l’altro, ‘l’accoglimento delle richieste istruttorie sopra formulate’, cioè a dire di tutte le richieste riservate in esito all’ordinanza istruttoria dell’11.2.2004. Nessun pronunc iamento della Corte, sul punto, risulta dalla sentenza impugnata »;
IV) « Art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.: falsa applicazione dell’art. 2697, comma 1, c.c., in relazione agli artt. 24 Cost., 99, 115 comma 1, 117 commi 1 e 2, 356 e 279, comma 3, n. 4), c.p.c. – Violazione del diritto alla prova ». Si deduce che « Il rigetto della richiesta istruttoria, per quanto celate siano state le ragioni che lo hanno determinato, ha impedito agli appellanti di esercitare il diritto alla prova dei fatti sui quali il diritto fatto valere in giudizio è fondato, con ciò ponendo gli stessi nella impossibilità di adempiere all’obbligo imposto dall’art. 2697, comma 1, c.c.. La privazione della possibilità di prova in ordine ai fatti costitutivi del proprio diritto, in quanto lesiva del diritto di agire in giudizio per la sua tutela, viola la disposizione dell’art. 24, comma 1, Cost. ed è in contrasto, sia con il ‘principio della domanda’ di cui all’art. 99, sia con quello di ‘diponibilità delle prove’ di cui all’art. 115 c.p.c., che tale diritto attuano ed il suo esercizio regolamentano. La revoca della ordinanza istruttoria dell’11.2.2004, dichiaratamente pronunciata dal Tribunale ai sensi dell’att. 177 (comma 2) c.p.c. in sentenza, anche se atto in astratto inidoneo a produrre giudicato , essendo stata, tuttavia, emessa in sede di deliberazione sul merito della domanda e senza ricostituzione del contraddittorio, concorrendo la omessa pronuncia sull’ammissione ‘delle richieste istruttorie delle parti, non rigettate’ con l’ordinanza dell’11.2.2004 (per tale parte – si ripete – non revocata), ha in
concreto pregiudicato la decisione della causa, in violazione dell’art. 177, comma 1, c.p.c.. Per evitare ciò, il Tribunale, in una con la revoca dell’ordinanza dell’11.2.2004, avrebbe dovuto fare applicazione della norma di cui all’art. 279, comma 2, n. 4 , c.p.c. e rimettere la causa sul ruolo a mente del comma 3 della stessa disposizione. Per altro verso, la Corte di appello, anche nella ipotesi in cui la regola di giudizio, chiamata a giustificare la revoca, fosse risultata corretta, avrebbe dovuto proce dere all’esame delle richieste istruttorie riproposte dagli appellanti e, per il caso di accoglimento, procedere all’assunzione delle prove direttamente, secondo la disposizione di cui all’art. 356 c.p.c., ovvero impartendo distinti provvedimenti per l’ult eriore istruzione della causa in applicazione dello stesso art. 279, comma 2, n. 4, c.p.c. ».
2. Il primo motivo di ricorso si rivela infondato.
2.1. Invero, è sufficiente ricordare che questa Corte, con la sentenza resa da Cass. n. 24641 del 2021, si è occupata, funditus , dei rapporti tra l’art. 119, comma 4, T.U.B., norma di carattere sostanziale, e l’art. 210 cod. proc. civ., avente, invece, natura processuale, confutando specificamente le argomentazioni di Cass. n. 11554 del 2017 (oggi pure invocata dai ricorrenti, insieme ad altre, a sostegno della censura in esame) e giungendo, dopo un’ampia ed articolata motivazione (cui si rinvia, ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., perché pienamente condivisa), ad affermare il principio per cui « Il diritto spettante al cliente, a colui che gli succede a qualunque titolo o che subentra nell’amministrazione dei suoi beni, ad ottenere, a proprie spese, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, ivi compresi gli estratti conto, sancito dall’articolo 119, comma 4, del d.lgs. n. 385 del 1993, può essere esercitato in sede giudiziale attraverso l’istanza di cui all’articolo 210 c.p.c., in concorso dei presupposti previsti da tale disposizione, a condizione che detta documentazione sia stata precedentemente richiesta alla banca e quest’ultima, senza giustificazione, non abbia ottemperato ».
2.1.1. In detta pronuncia (ribadita pure dalle più recenti Cass. nn. 12993 e 35862 del 2023), peraltro, si è puntualizzato ( cfr . § 12.10 della
motivazione) che « il cliente può, se lo ritiene, e se ne ha l’esigenza, chiedere direttamente alla banca, e non per il tramite del giudice, la consegna degli estratti conto dell’ultimo decennio: una volta inoltrata la richiesta, la banca è obbligata ad effettuare la consegna entro il termine previsto. E la norma così congegnata, in difetto di alcuna previsione normativa in tal senso, non impatta affatto né sul riparto degli oneri probatori, né sulla disciplina processuale applicabile. Non è forse superflua qui una ulteriore precisazione, a scanso di pur improbabili equivoci. Quanto precede non sta a significare che il cliente, una volta introdotta la causa in veste di attore, non possa più avvalersi dell’articolo 119, ultimo comma; non può farlo invocando indiscriminatamente l’intervento del giudice, il che stravolgerebbe le regole processuali invece operanti, a meno che la banca non si sia resa inadempiente dell’obbligo che su di essa incombe: ma nulla esclude, viceversa, che il cliente, introdotta la lite (ed al netto dell’osservanza dell’articolo 163, numeri 3 e 4, c.p.c.), possa rivolgersi direttamente alla banca per farsi consegnare la documentazione di cui ha bisogno: si immagini il caso di una istanza avanzata nelle more del secondo termine di cui all’articolo 183, sesto comma, c.p.c. ».
2.2. In senso sostanzialmente analogo, poi, la successiva Cass. n. 23861 del 2022 (cui pure può farsi rinvio, ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., perché pienamente condivisa), dopo aver ripercorso, per ampi tratti, i passaggi motivazionali di Cass. n. 24641 del 2021, ha parimenti precisato che « Non è, dunque, necessario – -che la richiesta sia avanzata in epoca antecedente all’instaurazione del giudizio nell’ambito del quale l’istanza ex art. 210 cod. proc. civ. è proposta, essendo sufficiente, sotto il profilo temporale in esame, che, al momento della formulazione di tale istanza, il cliente abbia chiesto copia della documentazione e che siano decorsi novanta giorni dalla richiesta -tale è il termine assegnato alla banca dall’art. 119, quarto comm a, T.U.B. per ottemperare alla richiesta – senza che la banca medesima abbia proceduto alla consegna della documentazione, a meno che non sia dimostrata l’esistenza di idonea giustificazione dell’inadempimento ».
2.3. Infine, Cass. n. 12993 del 2023 (cui parimenti si rinvia, ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., perché condivisa dal Collegio), ha puntualizzato che, « In tema di conto corrente bancario, la scelta del correntista circa il momento -anteriore all’instaurazione del giudizio da promuoversi contro la banca (con le eventuali conseguenze sull’istanza ex art. 210 cod. proc. civ. se formulata, ricorrendone i presupposti, nel medesimo giudizio) o in pendenza dello stesso – in cui esercitare la facoltà di rich iedere all’istituto di credito la consegna di documentazione ex art. 119, comma 4, del d.lgs. n. 385 del 1993, deve tenere conto, necessariamente, al fine del successivo, tempestivo deposito di detta documentazione, oltre che del termine (novanta giorni) spettante alla banca per dare seguito alla ricevuta richiesta, di quello, diverso e prettamente processuale, sancito, per le preclusioni istruttorie, dall’art. 183, comma 6, cod. proc. civ., con le relative conseguenze ove esso rimanga inosservato, fatta sa lva, tuttavia, in quest’ultima ipotesi, la possibilità di valutare, caso per caso, se la condotta del correntista possa considerarsi meritevole di tutela mediante l’istituto della rimessione in termini ».
2.4. Alla stregua di tutti i suesposti princìpi, la sentenza impugnata risulta immune dai vizi ad essa ascritti dalla censura in esame, le cui argomentazioni, peraltro, nemmeno offrono significativi spunti di riflessione per rimeditare il riportato, più recente, orientamento ermeneutico di questa Corte.
2.5. Resta solo da dire che gli art. 2711 cod. civ. e 212 cod. proc. civ., pur volendosi totalmente prescindere da qualsivoglia ulteriore considerazione circa la loro concreta applicabilità alla fattispecie in esame, descrivono un potere assolutamente discrezionale del giudice (come chiaramente denota l’utilizzo, in entrambe, della locuzione verbale ‘ può ‘), sicché il suo avvenuto esercizio, o meno, non è ulteriormente sindacabile in questa sede.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connessi, sono parimenti infondati.
3.1. Invero, ribadito quanto si appena detto circa le previsioni di cui agli artt. 2711 cod. civ. e 212 cod. proc. civ., giova ricordare che, come ancora ribadito, in motivazione, da Cass. n. 6127 del 2024, l’attuale testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., come modificato dall’art. 54 del d.l. n.
83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 e qui applicabile, ratione temporis , risultando impugnata una sentenza pubblicata il 7 gennaio 2020, ha ormai ridotto al ‘ minimo costituzionale ‘ il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché si è chiarito ( cfr . tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 35947, 28390, 26704 e 956 del 2023; Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022; Cass. nn. 26199 e 395 del 2021; Cass. n. 9017 del 2018) che è oggi denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella ” mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico “, nella ” motivazione apparente “, nel ” contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ” e nella ” motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile “, -tutte fattispecie assolutamente inconfigurabili nella motivazione della sentenza della corte distrettuale impugnata in questa sede -esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ” sufficienza ” della motivazione ( cfr . Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti; Cass. nn. 20042 e 23620 del 2020; Cass. nn. 395, 1522 e 26199 del 2021; Cass. nn. 27501 e 33961 del 2022; Cass. n. 28390 del 2023) o di sua ‘ contraddittorietà ‘ ( cfr . Cass. nn. 7090 e 33961 del 2022; Cass. n. 28390 del 2023). Cass., SU, n. 32000 del 2022, ha puntualizzato, altresì, che, a seguito della riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’unica contraddittorietà della motivazione che può rendere nulla una sentenza è quella ‘ insanabile ‘ e l’unica insufficienza scrittoria che può condurre allo stesso esito è quella ‘ insuperabile ‘.
3.2. In particolare, il vizio di omessa o apparente motivazione della decisione sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento ( cfr . Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022; Cass. nn. 26199, 1522 e 395 del
2021; Cass. nn. 23684 e 20042 del 2020; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012). Ne deriva che è possibile ravvisare una ‘ motivazione apparente ‘ nel caso in cui le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’ iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche, tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice. Un simile vizio, inoltre, deve apprezzarsi non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva ( cfr . Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 26893 del 2020; Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017).
3.3. Il menzionato art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riguarda, dunque, un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 6127 del 2024; Cass. nn. 28390, 27505, 4528 e 2413 del 2023; Cass. n. 31999 del 2022; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. nn. 9351, 2195 e 595 del 2022; Cass. nn. 4477 e 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015).
3.3.1. In definitiva, il vizio di motivazione, ancor più in rapporto al richiamato testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, atteso che, come ancora recentemente ricordato, in motivazione, da Cass. n. 2607 del 2024, « i) spetta solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti
in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova; mentre alla Corte di cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti; ii) giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, per la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., non è indispensabile che la motivazione prenda in esame tutte le argomentazioni svolte dalle parti al fine di condividerle o confutarle, essendo necessario e sufficiente, invece, che il giudice abbia comunque indicato le ragioni del proprio convincimento in modo tale da rendere evidente che tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse siano state implicitamente rigettate (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 6073 del 2023; Cass. n. 4784 del 2023; Cass. n. 956 del 2023; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 29860 del 2022; Cass. n. 3126 del 2021; Cass. n. 25509 del 2014; Cass. n. 5586 del 2011; Cass. n. 17145 del 2006; Cass. n. 12121 del 2004; Cass. n. 1374 del 2002; Cass. n. 13359 del 1999) ».
3.4. Tanto premesso, appare di tutta evidenza che la motivazione (già riportata nel § 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘) adottata dalla corte distrettuale per respingere il gravame degli odierni ricorrenti sia, oltre che giuridicamente corretta per quanto si è detto respingendosi il primo motivo del loro ricorso, anche ampiamente in linea con il ‘ minimo costituzionale ‘ richiesto da Cass., SU, n. 8053 del 2014.
3.4 .1. I ricorrenti, invece, insistono nell’ascrivere alla medesima corte di non avere considerato le proprie argomentazioni riguardanti gli artt. 2711 cod. civ. e 212 cod. proc. civ., a loro dire fondanti una regola di giudizio differente da quella utilizzata dai giudici di merito, e di non essersi pronunciata sulle altre istanze istruttorie la cui valutazione era stata differita « dall’istruttore -estensore della ordinanza istruttoria dell’11.2.2004, all’esito positivo della verifica di esibizione della documentazione contabile ».
3.4.2. Così argomentando, dunque, essi, da un lato, mostrano, di mirare ad ottenere, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale, una diversa valutazione di quanto deciso, in contrario, dal giudice di merito, totalmente dimenticando, però, che, come si è già detto, per la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., non è indispensabile che la motivazione prenda in esame tutte le argomentazioni svolte dalle parti al fine di condividerle o confutarle, bastando, invece, che il giudice -come concretamente accaduto nella specie -abbia comunque indicato le ragioni del proprio convincimento in modo tale da rendere evidente che tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse siano state implicitamente ri gettate; dall’altro, nemmeno indicano compiutamente la tipologia ed il contenuto delle suddette altre istanze istruttorie, in evidente violazione del principio di autosufficienza del ricorso, così impedendo a questa Corte qualsivoglia controllo circa la loro effettiva decisività.
Infondato, infine, è anche il quarto motivo ricorso.
4.1. Invero, un’autonoma questione di malgoverno del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si pone esclusivamente ove il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di un’eventuale incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia ritenuto, o meno, assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 11963 del 2022; Cass. n. 17313 del 2020; Cass n. 19064 del 2006; Cass. n. 2935 del 2006), nella specie nemmeno prospettato (e comunque da rapportarsi – in ipotesi – al testo novellato di cui alla citata norma, introdotto dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza resa il 7 gennaio 2020).
4.2. Resta solo da dire, dunque, che le conseguenze già esposte, rigettandosi i precedenti motivi secondo e terzo, della omessa, compiuta
indicazione della tipologia e del contenuto delle istanze istruttorie della cui mancata ammissione oggi si dolgono gli odierni ricorrenti, in evidente violazione del principio di autosufficienza del ricorso, rendono superfluo il dilungarsi ulteriormente sulla doglianza in esame.
5. In conclusione, l’odierno ricorso promosso da NOME COGNOME e NOME COGNOME deve essere respinto, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo RAGIONE_SOCIALE rimasta solo intimata, altresì dandosi atto, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile