Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26760 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26760 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 17849/2022 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’AVV_NOTAIO, dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, i quali dichiarano di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, INDIRIZZO .
-ricorrente-
CONTRO
Comune di Altavilla Vicentina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura allegata al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, il quale dichiara di voler ricevere le
comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
-controricorrente –
E
NOME NOME, NOME, NOME e NOME
-intimate- avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 37/2022, depositata l ’11 /1/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/9 /2025 dal AVV_NOTAIO .
RILEVATO CHE
Con ricorso ex art. 702bis c.p.c. il Comune di Altavilla Vicentina conveniva in giudizio NOME COGNOME, figlio di NOME COGNOME, deceduto, oltre a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
In particolare, il Comune evidenziava di aver sopportato la spesa di euro 48.612,00, al fine di provvedere direttamente al contenimento di una frana che aveva interessato la zona collinare identificata nel comune di Altavilla, danneggiando anche la strada Vicinale denominata «INDIRIZZO».
Il Comune aveva emesso due ordinanze contingibili ed urgenti: la n. 22 del 2/4/2009, con cui aveva ordinato ai proprietari dei terreni di effettuare una perizia idrogeologica, per individuare le opere necessarie a regimentare la frana che riguardava porzioni di mappali di loro proprietà; la n. 24 del 6/5/2009, in cui, preso atto della mancata ottemperanza alla precedente ordinanza n. 22, rinnovava gli ordini in questa già impartiti.
Stante l’inerzia dei proprietari, quindi, il Comune provvedeva alla messa in sicurezza della frana e chiedeva, a titolo di rimborso, la somma di euro 48.612,00.
Il tribunale accoglieva la domanda; rigettava l’eccezione di difetto di legittimazione passiva del COGNOME, come pure l’eccezione fondata sull’art. 5 della legge n. 2245 del 1865, allegato F, oltre che sugli articoli 30 e 31 del d.lgs. n. 285 del 1992, in quanto «nella specie non si trattava della manutenzione di una strada vicinale gravata da uso pubblico».
La strada era soggetta a frana in conseguenza «del cedimento a sua volta franoso del terreno finitimo, sia a monte che a valle».
Per la stessa perizia depositata dalla difesa dei NOME e NOME le cause della frana venivano individuate «nelle intense precipitazioni meteoriche», individuando del pari «le c.d. cause predisponenti nelle caratteristiche della coltre terrosa di elevato spessore e creatasi per deposito nei secoli».
Esisteva dunque l’obbligo dei convenuti di mantenere le ripe a monte e a valle in stato da impedire franamenti o cedimenti del tratto stradale, con potere della PA di provvedere di ufficio salvo addebito.
Il tribunale negava anche l’operatività dell’istituto della disapplicazione nei giudizi con una parte pubblica.
Proponevano appello NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; le appellanti rilevavano che nella specie «non si sarebbe trattato di manutenere una strada comunale». Sarebbe artificiosa la distinzione tra frana e manutenzione della strada, essendo temi strettamente collegati.
Quanto alle ripe, nei mappali delle proprietarie non vi era stata alcuna frana autonoma.
Le appellanti aggiungevano che non avevano costruito la strada interessata all’evento e che il giudice ordinario poteva provvedere alla disapplicazione.
Proponeva appello incidentale il COGNOME deducendo: errata valutazione degli elementi di fatto e di diritto, in ordine all’eccezione di carenza di legittimazione passiva; le ordinanze contingibili ed urgenti erano state emesse nei confronti del padre, deceduto; non era sufficiente, ai fini di individuare il proprietario effettivo del bene, la visura catastale; gli erano state notificate due sole ordinanze; non aveva potuto impugnare le ordinanze in quanto indirizzate a soggetto diverso, ossia al padre.
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 37/2022, depositata l’11/1/2022, rigettava gli appelli.
In particolare, per quel che ancora qui rileva, evidenziava che l’ordinanza sindacale era l’unico legittimo strumento o provvedimento tale per esigere una condotta conforme a legge.
In ragione dell’inerzia dei proprietari era dovere dell’ente territoriale intervenire per la messa in sicurezza della zona.
Non si era trattato esclusivamente di una mera manutenzione della strada.
Tale strada non era di natura vicinale gravata da uso pubblico.
In realtà, la frana aveva interessato la «collina attraversata dalla strada medesima per una superficie in movimento di cd. 800 mq., con un fronte di ca. 30 metri (dati ben desumibili dalla relazione biotecnica dimessa dalle convenute COGNOME–COGNOME)».
Pertanto, – a giudizio della Corte territoriale – «la causa scatenante è rappresentata dalle precipitazioni metereologiche ma le cause c.d. predisponenti sono rappresentate dalle caratteristiche dei luoghi una coltre terrosa di elevato spessore depositatasi nei
secoli per trasporto colluviale del litotipi vulcanici situati nelle sommità delle colline di Costa Tamagnina».
Di talché, i proprietari «a monte e a valle dei terreni erano gravati dall’obbligo di mantenere le rive a valle e a monte per impedire franamenti sul manto stradale, essendo irrilevante che abbiano costruito la stessa».
Aggiungeva la Corte territoriale che il potere di disapplicazione «non poteva essere esercitato attesa la qualità delle parti e il motivo del contendere (cfr. Cass., SS.UU., 2444/2015)».
Le medesime argomentazioni venivano utilizzate per respingere l’appello incidentale di COGNOME.
Il giudice di secondo grado condivideva «la resa motivazione di prime cure», in quanto il COGNOME «come risulta dai pubblici registri, è comproprietario del bene per cui è (anche) causa e il di lui legale ha riscontrato le ordinanze (due) notificategli dichiarandosi appunto comproprietario».
Quanto alla impossibilità per il giudice ordinario di disapplicare l’atto amministrativo la Corte «si è già spesa con riferimento alla posizione NOME COGNOME e a dette considerazioni ci si riporta».
Quanto alla valutazione degli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento dell’eccezione di illegittimità nei confronti delle note ordinanze sindacali numeri 22 e 24, la Corte di merito richiamava quanto già espresso in merito all’appello principale.
Lineare era poi la motivazione circa le cause geologiche dell’accadimento, non essendo necessarie «ulteriori indagini peritali».
Era irrilevante la prova testimoniale richiesta, «poiché la responsabilità solidale del COGNOME dipende dal diritto di proprietà e non dalla strada percorsa per raggiungere l’abitazione».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso il Comune di Altavilla Vicentina.
Sono rimaste intimate NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME.
9.Il ricorrente depositava memoria scritta.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., con riferimento all’art. 4 legge 2248/1865: non è consentito al Giudice ordinario di sanare/integrare le ordinanze sindacali. Conseguente erronea individuazione del soggetto passivo delle ordinanze emesse dal Sindaco del Comune di Altavilla».
Le ordinanze sindacali, in realtà, sono state emesse nei confronti di NOME COGNOME, deceduto, cioè il padre di NOME COGNOME.
Tale erronea individuazione del soggetto passivo dell’obbligazione contenuta nelle due ordinanze avrebbe «impedito a COGNOME NOME l’impugnazione delle ordinanze sindacali, in sede amministrativa».
Tale errore non avrebbe potuto conferire al tribunale, e poi alla Corte d’appello, «il potere di ritenere che gli ordini impartiti al padre (defunto) valessero come ordini indirizzati anche al figlio».
Il giudice ordinario avrebbe così commesso un errore di diritto, in quanto avrebbe «sanato ed integrato il contenuto delle ordinanze sindacali emesse contro RAGIONE_SOCIALE senza aver alcun potere riguardo».
Sarebbe stato violato l’art. 4 della legge n. 2248/1865, spettando solo al giudice amministrativo il potere di revocare o modificare i provvedimenti della pubblica amministrazione.
Sarebbe stato onere dell’amministrazione quello di individuare correttamente i destinatari degli «ordini».
Tra l’altro il Comune ha prodotto in causa la visura catastale (estratta nel 2013) priva di carattere di certezza in ordine all’assetto proprietario.
La circostanza che COGNOME NOME, figlio, avesse ricevuto la notifica solo di due delle tre ordinanze sindacali non determinava affatto una sanatoria-integrazione del contenuto delle ordinanze e soprattutto «non poteva conferire al NOME il potere di impugnarle, proprio perché dirette a soggetti diversi».
Con lettera del legale del ricorrente, in data 14/7/2009, si era evidenziato che le ordinanze erano illegittime, per non avere correttamente individuato i soggetti tenuti alla manutenzione della strada.
Tra l’altro il NOME era proprietario della ripa a monte, che non aveva subito alcun cedimento. Il Comune, se avesse inteso perseverare nell’errore e ordinare a COGNOME NOME gli interventi di messa in sicurezza, «avrebbe potuto e dovuto emettere un’ordinanza nei suoi confronti».
L’errore di diritto commesso dal giudice di merito sarebbe quello di «aver notificato una ordinanza sindacale in assenza di alcuna norma che lo consente», ed anzi in contrasto con l’art. 4 della legge n. 2248 2865.
Il giudice del merito «avrebbe potuto e dovuto disapplicar» le ordinanze sindacali.
Con il secondo motivo di impugnazione si deduce «art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.: violazione-falsa applicazione dell’art. 5 legge 2248/1865 allegato E; sulla disapplicabilità, nel caso che ci occupa, delle ordinanze sindacali».
La Corte d’appello si sarebbe limitata ad affermare l’impossibilità di disapplicazione delle ordinanze sindacali da parte del giudice ordinario per «la qualità delle parti e il motivo del contendere».
Vi sarebbe violazione dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865, allegato E, in quanto ben poteva il giudice ordinario disapplicare le ordinanze sindacali anche nel giudizio in cui fosse parte la pubblica amministrazione.
Per il ricorrente, la PA si rivolge, nel caso di specie, al giudice come «un qualunque privato cittadino» trovandosi «in una posizione necessariamente paritaria rispetto alle altre parti».
Si tratterebbe «di atti amministrativi che non fondano direttamente la pretesa azionata in giudizio dal Comune ma che costituiscono i presupposti, logico giuridici, che hanno determinato il Comune a eseguire dei lavori e a richiederne poi pagamento è convenuti».
L’atto ritenuto illegittimo sarebbe «un atto pregiudiziale in senso tecnico, cioè un mero antecedente logico-giuridico della – illegittima – pretesa di pagamento del Comune di Altavilla».
Il provvedimento, qualora risulti illegittimo, può essere disapplicato dal giudice, essendo irrilevante che esso sia divenuto inoppugnabile.
La Corte d’appello non avrebbe valutato che la posizione assunta dalla p.a. nel giudizio in esame sarebbe quella di soggetto che «agisce in mera veste privata e non come pubblica autorità».
Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta «art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.: nullità della sentenza o del procedimento per omessa-apparente motivazione».
La Corte territoriale si sarebbe limitata a rigettare la richiesta di disapplicazione motivando con la frase «per la qualità delle parti e il motivo del contendere».
Il «motivo del contendere» non consentirebbe di comprendere le ragioni poste a base della decisione.
Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente deduce «art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.: nullità della motivazione con riferimento al 3º motivo di appello del RAGIONE_SOCIALE con cui veniva censurata la sentenza di primo grado per l’errata valutazione degli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento delle eccezioni di illegittimità svolte dal RAGIONE_SOCIALE nei confronti delle ordinanze sindacali numeri 22 e 24».
La motivazione della decisione sarebbe completamente mancante.
La Corte di merito avrebbe trattato le posizioni COGNOME e COGNOME «come se fossero sovrapponibili», mentre era pacifico, anche per le signore COGNOME, che a franare era «stata la ripa di valle in loro proprietà e non, invece, la ripa di Monte in proprietà COGNOME».
Con il quinto motivo di impugnazione si deduce «art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.: omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla circostanza per cui nessuna frana ha interessato il terreno a monte, in proprietà COGNOME. Conseguenza sulla errata applicazione di norme di diritto».
La Corte di merito avrebbe omesso l’esame di un fatto decisivo, avendo il COGNOME affermato «che il terreno a monte, di sua proprietà, non era franato».
Con il sesto motivo di impugnazione si lamenta «art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.: Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, anzi, pacifico tra le parti, cioè che la strada per cui è causa è strada vicinale ad uso pubblico. Conseguenza sull’applicazione dell’art. 51 legge 2248/1865».
La Corte d’appello ha ritenuto irrilevante la prova testimoniale, poiché la responsabilità solidale del COGNOME dipendeva dal diritto di proprietà e non dalla strada percorsa per raggiungere l’abitazione.
L’omesso esame del fatto decisivo consisterebbe nella circostanza «che la strada per cui è causa è una strada vicinale ad uso pubblico».
La Corte d’appello ha affermato che la strada «non è strada Vicinale gravata da uso pubblico».
Si tratterebbe di un’erronea trascrizione della sentenza di primo grado, ove si era affermato che «non trattasi di manutenzione della INDIRIZZO gravata da uso pubblico».
Il tribunale di Vicenza, dunque, non aveva messo in discussione la natura della strada, ma solo il tipo di intervento eseguito.
Era pacifico per tutti che si trattasse di strada Vicinale di uso pubblico.
La Corte territoriale non avrebbe minimamente esaminato il fatto rilevante, è pacifico per le parti per il tribunale, della natura della strada: la strada in questione era Vicinale di uso pubblico.
In realtà a franare sarebbe stata la parte a valle di una strada privata ad uso pubblico, e per tali strade gli oneri di manutenzione o riparazione gravavano, per legge, non sui proprietari, ma sugli utenti e sul comune.
Tra l’altro, il COGNOME era comproprietario della strada per il 50%, ma non ne era un utente, «perché alla sua abitazione si accede percorrendo unicamente INDIRIZZO».
I primi tre motivi di impugnazione, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
7.1. Correttamente, la Corte d’appello ha ritenuto che NOME COGNOME, quale erede di NOME COGNOME (padre deceduto) avrebbe dovuto proporre impugnazione avverso le ordinanze contingibili e urgenti,
n. 22 del 2/4/2009 e n. 24 del 6/5/2009, dinanzi agli organi di giustizia amministrativa, non potendo il giudice ordinario provvedere alla disapplicazione di provvedimenti divenuti inoppugnabile, ex articoli 4 e 5 della legge n. 2248 del 1865, allegato E.
Per la Corte d’appello, infatti, il giudice ordinario può disapplicare il provvedimento amministrativo anche ove sia parte del processo la PA, purché si tratti di un’ipotesi di pregiudizialità in senso tecnico e non di pregiudizialità logica.
È possibile, dunque, per il giudice ordinario disapplicare il provvedimento amministrativo, esclusivamente se lo stesso non è fonte costitutiva del diritto vantato in giudizio.
Nella specie, le due ordinanze sindacali contingibili ed urgenti costituiscono proprio il fondamento del diritto vantato dal Comune, il quale, a fronte dell’inadempimento e dell’inerzia del privato, ha provveduto a sue spese alla messa in sicurezza della collina, chiedendo il rimborso di quanto effettivamente speso.
La Corte di merito ha infatti osservato che «egittime o meno che fossero le ordinanze, in ogni caso, il potere di disapplicazione, quivi, non poteva essere esercitato attesa la qualità delle parti e il motivo del contendere (cfr. Cass. SS.UU. 2444/2015). Quanto all’azione innanzi all’A.G.O. come promossa da una PA, ovvero in punto esistenza di un diritto soggettivo all’azione di recupero cfr. Cass. SS.UU. ordinanza 15611/2006)».
8. Va chiarito, sul punto, che il potere del giudice ordinario di disapplicare gli atti amministrativi, ex art. 5 della l. n. 2248 del 1865, all. E, può essere esercitato anche nelle controversie in cui è parte la pubblica amministrazione e non soltanto nelle liti tra privati, a condizione che l’atto illegittimo venga in rilievo come mero antecedente logico e non già come fondamento del diritto dedotto in giudizio -e, cioè, che la questione della sua legittimità sia
prospettata come pregiudiziale in senso tecnico e non come principale – e che il provvedimento sia affetto da vizi di legittimità, come tali lesivi di diritti, dovendosi invece escludere il sindacato del giudice con riguardo alle valutazioni di merito attinenti all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione (Cass. Sez.U., 25/5/2018, n. 13193; Cass., Sez.U., 6/8/1975, n. 2987; 10/9/2004, n. 18263; 9/1/2007, n. 116; 5/6/2014, n. 12644; di recente Cass., sez. 1, 14/3/2025, n. 6834; contra per l’esercizio del potere di disapplicazione del giudice ordinario solo nei giudizi tra le parti cfr. Cass., Sez.U., 2/11/2018, n. 28053, che tuttavia non si confronta con le ragioni di SS.UU. 13193/2018).
Tuttavia, ai fini della disapplicazione è necessario che ricorrano due condizioni oggettive: a) il provvedimento amministrativo non può costituire l’oggetto diretto della controversia, cioè non può venire in rilievo come fondamento del diritto dedotto in giudizio, sicché la questione della sua legittimità si prospetti come pregiudiziale in senso tecnico e non come principale (Cass., n. 13193 del 2018; Cass., Sez.U., n. 2987 del 1975; n. 2244 del 2015; Cass., 22/2/2002, n. 2588; 13/9/2006, n. 19659; 10/1/2017, n. 276; di recente in materia tributaria Cass., sez. 5, 2/10/2024, n. 25935 in ordine al potere del giudice tributario di disapplicare tutti gli atti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’imposizione, quale espressione di un principio generale dell’ordinamento, fissato dall’art. 5 della legge n. 2248 del 1865, allegato E ); b) il provvedimento deve essere affetto da vizi di legittimità, come tali lesivi di diritti, mentre il sindacato del giudice è escluso con riguardo alle valutazioni di merito attinenti all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione (Cass., sez.U., n. 13193 del 2018; Cass., Sez.U., n. 18263 del 2004 e n. 116 del 2007).
8.1. Nella specie i provvedimenti contingibili e urgenti, adottati dal sindaco per la messa in sicurezza della collina, vengono in rilievo nella fattispecie in esame proprio come fondamento del diritto dedotto in giudizio, attinente alla richiesta di rimborso di quanto speso dal Comune per effettuare i lavori, per la inottemperanza dei privati alle disposizioni ad essi impartite.
Tra l’altro, va anche chiarito che non v’è stata alcuna ‘invasione di campo’ da parte della Corte di merito in ordine alle ordinanze contingibili ed urgenti notificate al padre del ricorrente, ossia a NOME COGNOME.
Costituisce principio giurisprudenziale consolidato in sede di giustizia amministrativa quello per cui l’erede subentra nella medesima posizione del de cuius, con una totale continuità nelle situazioni giuridiche che lo coinvolgono, che non ammette deroghe. Conseguentemente non è vero che il Comune deve rinotificare al ricorrente, affinché diventino efficaci nei suoi confronti, atti già notificati all’originario proprietario, e da tempo divenuti inoppugnabili; né che, in conseguenza della successione, il ricorrente possa essere rimesso in termini per la loro impugnazione (TAR Sicilia, Palermo, sez.II, 3/2/2023, n. 337; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 9 luglio 2019, n. 1816; Consiglio Giustizia Amministrativa Regione Sicilia, Sez. Giurisd., 22 novembre 2022, n. 1208).
Pertanto, risulta pacificamente, a seguito di accertamento meritale effettuato dalla Corte d’appello, che le ordinanze contingibili ed urgenti del 2/4/2009 e del 6/5/2009 sono state notificate al ricorrente NOME COGNOME, quando il padre era già deceduto, tant’è vero che il difensore di NOME COGNOME ha inviato una missiva al Comune proprio sul tema in discussione («il Collegio condivide la resa motivazione di prime cure. Il COGNOME, come risulta dai pubblici registri, è comproprietario del bene per cui è (anche) causa e il di lui legale
ha riscontrato le ordinanze (due) notificategli dichiarandosi appunto comproprietario».
Il ricorrente avrebbe potuto, dunque, proporre impugnazione dinanzi al giudice amministrativo avverso le ordinanze contingibili ed urgenti.
9.1. Ed infatti, per questa Corte spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla controversia relativa al recupero delle spese per l’effettuazione d’ufficio da parte di un comune di opere a tutela della pubblica incolumità (volte, nella specie, ad evitare movimenti franosi che avevano coinvolto una strada pubblica), oggetto di ordinanza contingibile ed urgente rimasta ineseguita dal destinatario. Indipendentemente, infatti, dallo strumento prescelto dall’amministrazione per detto recupero (procedura monitoria o procedimento previsto per la riscossione delle entrate patrimoniali dal r.d. n. 639 del 1910), la natura della posizione soggettiva incisa dall’ordinanza del sindaco (avverso la quale il privato era peraltro, nella specie, autonomamente insorto innanzi al giudice amministrativo) non viene sotto alcun profilo in rilievo nella fase di riscossione del credito dell’amministrazione per le spese affrontate a seguito dell’inerzia del destinatario dell’ordine, in quanto al giudice ordinario non compete stabilire se il potere sia stato legittimamente esercitato in sede di emissione del provvedimento amministrativo, ma solo se sussista il diritto soggettivo dell’amministrazione ad essere rimborsata, per avere effettivamente speso le somme di cui domanda il rimborso e per non essere stata la spesa eccessiva in relazione all’obiettivo perseguito e determinato nel provvedimento: diritto soggettivo che è del tutto estraneo all’ambito dei “diritti patrimoniali conseguenziali”, la cui cognizione è rimessa al giudice amministrativo, i quali attengono al risarcimento dei danni subiti dal privato a seguito dell’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa
e non già ai diritti di credito dell’amministrazione nei confronti del soggetto privato (Cass., Sez.U., 10/7/2006, n. 15611).
Il quarto motivo di impugnazione è inammissibile.
10.1. In sostanza, il ricorrente chiede una nuova e diversa valutazione degli elementi istruttori, già compiutamente effettuata dal giudice d’appello, non consentita in questa sede.
Il ricorrente, in particolare, deduce l’erronea valutazione degli elementi di prova, in quanto la frana avrebbe interessato esclusivamente i terreni posti a valle della strada, e non quelli posti a monte della stessa, come il proprio terreno.
Va evidenziato, però, che vi è una doppia decisione conforme di merito che preclude, ex art. 348ter c.p.c., nella versione ratione temporis vigente, la possibilità per il ricorrente di proporre la censura per vizio di motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c..
Ed infatti, a prescindere dalla rubrica del motivo, che richiama espressamente l’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., in realtà si contesta «l’errata valutazione degli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della eccezione di illegittimità svolta dal RAGIONE_SOCIALE nei confronti delle ordinanze sindacali numeri 22 e 24».
La Corte d’appello, conformemente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, ha ritenuto che la frana sia stata determinata da elementi atmosferici e meteorologici che, però, traevano fondamento dalla mancata messa in sicurezza dell’intera collina, a partire dalla sommità della stessa, non avendo rilevanza dunque che i terreni dei proprietari fossero collocati a monte o a valle della strada stessa.
La Corte di merito ha osservato, sul punto, che per il tribunale «la strada era soggetta a frana in conseguenza del cedimento a sua volta franoso del terreno finitimo, sia a monte che a valle», sicché «la stessa perizia dimessa dalla difesa NOME COGNOME individua la
causa della frana ovvero la causa scatenante nelle intense precipitazioni meteoriche e del pari individua le c.d. cause predisponenti nelle caratteristiche della coltre terrosa di elevato spessore e creatasi per il deposito nei secoli».
Di qui l’obbligo dei proprietari convenuti «di mantenere le ripe a monte e a valle in stato da impedire franamenti o cedimenti del tratto stradale».
Con la precisazione, in sede d’appello, che «si tratta di una frana della collina attraversata dalla strada medesima per una superficie in movimento di cd. 800 mq., con un fronte di ca. 30 metri (dati ben desumibili dalla relazione geotecnica dimessa dalle convenute COGNOME–COGNOME)».
Ha svolto un ruolo fondamentale la «coltre terrosa di elevato spessore depositatasi nei secoli per trasporto colluviale dei litotipi vulcanici situati nella sommità delle colline di Costa Tamagnina, dunque, nel riporto realizzato per il superamento della vallecola ad opera della strada INDIRIZZO, con regimentazione insufficiente di acque meteoriche».
Di talché, « proprietari a monte e a valle dei terreni erano gravati dall’obbligo di mantenere le rive a valle e a monte per impedire franamenti sul manto stradale, essendo irrilevante che abbiano costruito la stessa».
Il quinto motivo di impugnazione è anch’esso inammissibile.
13.1. Anche in questo caso, il ricorrente, in realtà, si duole della errata valutazione dei fatti di causa e degli elementi istruttori, reputando che nessuna frana avrebbe interessato il terreno a monte.
L’esistenza di una doppia decisione conforme di merito impedisce l’esame della censura della motivazione della sentenza della Corte d’appello.
Il sesto motivo è anch’esso inammissibile.
Con pieno accertamento meritale la Corte territoriale ha affermato che «a strada non è strada vicinale gravata da uso pubblico».
14.1. Va applicato, allora, l’art. 31 del d.lgs. n. 285 del 1992, il quale sancisce che « proprietari devono mantenere le ripe dei fondi laterali alle strade, sia a valle che a monte delle medesime, in stato tale da impedire franamenti o cedimenti del corpo stradale, ivi comprese le opere di sostegno di cui all’art. 30, lo scoscendimento del terreno, l’ingombro delle pertinenze e della sede stradale in modo da prevenire la caduta di massi o di altro materiale sulla strada. Devono altresì realizzare, ove occorrono, le necessarie opere di mantenimento ed evitare di eseguire interventi che possono causare i predetti eventi».
14.2. Tuttavia, anche ove si trattasse di strada vicinale gravata da uso pubblico, la responsabilità della frana sarebbe comunque imputabile a responsabilità dei proprietari dei terreni posti a valle e a monte della stessa che la utilizzavano, in quanto il Comune avrebbe comunque potuto partecipare alla spesa unitamente agli utilizzatori.
Ed infatti l’art. 3 del decreto-legge luogotenenziale 1/9/1918, n. 1446 (Concernente la facoltà agli utenti delle strade vicinali di costituirsi in Consorzio per la manutenzione e la sistemazione o la ricostruzione di esse) stabilisce che «l Comune è tenuto a concorrere nella spesa di manutenzione, sistemazione e ricostruzione delle strade vicinali soggette al pubblico transito, in misura variabile da un quinto sino alla metà della spesa, secondo la diversa importanza delle strade».
Al comma 2 si prevede che «er le vicinali non soggette ad uso pubblico il concorso del Comune è facoltativo, e può essere concesso soltanto per opere di sistemazione o ricostituzione, in misura non eccedente il quinto della spesa».
Quanto all’art. 51 della legge 23 del 1865, n. 2248, allegato F, al comma 1 si dispone che «a riparazione e conservazione delle strade vicinali sta a carico di quelli che ne fanno uso per recarsi alla loro proprietà sia che queste si trovino o no contigue alle strade stesse, quanto per diritto o per consuetudine un tale carico non ricada sopra determinate proprietà o persone. Il municipio potrà essere pure tenuto ad una determinata quota di concorso nella spesa di riparazione delle strade vicinati più importanti».
Tuttavia, come detto, con pieno accertamento meritale, la Corte d’appello ha ritenuto che la responsabilità della frana sia da ascrivere esclusivamente alla condotta dei proprietari dei terreni limitrofi alla strada.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico del ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rimborsare in favore del controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 5.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sezione civile il 18 settembre 2025
Il Presidente NOME COGNOME