Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 29170 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 29170 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/11/2025
Oggetto: sanzione amministrativa. Attività commerciale e di somministrazione. Impugnabilità ordinanza del Sindaco.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17334/2021 R.G. proposto da COGNOME NOME in qualità di rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME ed NOME COGNOME, con elezione di domicilio all’indirizzo PEC del primo come indicato ;
-ricorrente –
contro
COMUNE DI TORTORETO, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e con elezione di domicilio digitale all’indirizzo PEC indicato;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 1048/2020 resa dal Tribunale di Teramo in grado d’appello, pubblicata il 18/12/2020 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8 ottobre 2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Rilevato che:
Ai fini della migliore comprensione dei fatti di causa, è opportuno riassumere la vicenda sulla base della ricostruzione operata dal Tribunale, integrata con gli elementi risultanti dal ricorso.
Con ricorso dinanzi al Giudice di Pace di Teramo, COGNOME NOME, nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, propose opposizione avverso l’ordinanza -ingiunzione n. 96/2015 del l’ 11/9/2015, notificata il 22/9/2015, con la quale il Comune di Tortoreto aveva determinato nella misura di euro 516,00 la sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell’articolo 10 della legge 26 ottobre 1995, n. 447, dovuta in relazione al verbale n. 36/5, elevato il 10/8/2014 dai Carabinieri della Stazione del medesimo Comune e al l’inerente rapporto di servizio del 3/11/2914, per avere violato l’ordinanza sindacale n. 93 del 28/7/2014, avendo esercitato attività di intrattenimento musicale e danzante oltre l’orario consentito.
Si costituì il Comune di Tortoreto, chiedendo il rigetto del ricorso. All’esito, il Giudice di Pace, con la sentenza n. 18/2016, rigettò l’opposizione e compensò le spese di lite.
Il giudizio di appello, instaurato dalla RAGIONE_SOCIALE, si concluse, nella resistenza del Comune, con la sentenza indicata in epigrafe n. 1048/2020, pubblicata il 18/12/2020, con la quale il Tribunale di Teramo respinse il gravame, confermando la sentenza impugnata e condannando l’appellante alle spese di giudizio.
Per quel che rileva in questa sede, il Tribunale ritenne che la condotta sanzionata amministrativamente si riferisse all’attività di intrattenimento musicale, accessoria a quella svolta dalla società di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, e non attenesse a quella commerciale e di somministrazione di alimenti e bevande soggetta alle norme sulla liberalizzazione, e che la sanzione discendesse dalla leggequadro sull’inquinamento acustico n. 447/95, applicabile al caso di specie, poiché il superamento dei limiti acustici contestato alla società doveva intendersi come diretta conseguenza della violazione del limite orario per l’esercizio, presso lo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, dell’attività di intrattenimento musicale.
Ritenne, inoltre, inammissibile in sede civile la spiegata impugnazione dell’ordinanza del sindaco.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati anche con memoria.
Il Comune di Tortoreto ha resistito con controricorso.
Considerato che:
1.1. Con il primo motivo di ricorso, si denunzia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e in particolare dell’art. 31, primo comma, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 241, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., perché il giudice d’appello, pur rilevando la sussistenza della norma di liberalizzazione degli orari, ne aveva limitato la portata alla sola attività di somministrazione di cibi e bevande, evidenziando che la sanzione aveva riguardato lo svolgimento, oltre l’orario, dell’attività di intrattenimento musicale e che questa era secondaria ed esclusa dalla normativa in esame.
Ad avviso della ricorrente, il giudice non aveva considerato che la citata normativa aveva liberalizzato gli orari delle attività commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande, senza vincoli di chiusura festiva e infrasettimanale, né giornalieri di apertura, e che questa si applicava anche ai pubblici esercizi con attività di spettacolo, intrattenimento e ballo, quali discoteche, sale da ballo ecc., né aveva considerato che quest’ultima attività era svolta dalla società non in via accessoria, ma autonoma dallo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Quest’ultima circostanza, dimostrata documentalmente, avrebbe consentito di accertare che, per ottenere la licenza, era stato necessario adeguare la porzione di
arenile destinata a discoteca alle stringenti norme di pubblica sicurezza, ottenere il parere favorevole dell’apposita commissione, adeguarsi alla circolare prefettizia sui pubblici spettacoli, effettuare studi di compatibilità ambientale in relazione all’inquinamento acustico, dotare la porzione di arenile di uscite di sicurezza per le emergenze e dotarsi di squadra per la RAGIONE_SOCIALE delle emergenze e la lotta antincendio, mentre invece la motivazione era stata affidata alla laconica affermazione che l’attività di intrattenimento musicale, svolta peraltro sotto altra insegna, era da considerarsi accessoria.
1.2. Il primo motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
Occorre, in primo luogo, rigettare l’eccezione di inammissibilità del ricorso, in generale, per difetto del requisito di necessaria specificità, sollevata dal controricorrente, salva la valutazione, sul punto, dei singoli motivi.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ. il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito (tra le tante Cass., Sez. 6-3, 28/5/2018, n. 13312; Cass., Sez. 6-3, 3/2/2015, n. 1926).
Il principio di autosufficienza non risponde, invero, ad un’esigenza di mero formalismo, ma è volto ad agevolare la comprensione
dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione, e a consentire di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Cass., Sez. 3, 12/1/2024, n. 1352; Cass., Sez. 5, 4/10/2018, n. 24340).
A questi principi si è attenuto la ricorrente, il quale ha adeguatamente descritto i fatti sostanziali e processuali che hanno preceduto il presente giudizio e prospettato in modo chiaro ed esauriente le ragioni poste a fondamento delle doglianze, richiamando i punti della sentenza asseritamente erronei.
1.3. E’ , invece, inammissibile la doglianza sussunta sotto la fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., atteso che, nell’ipotesi di c.d. «doppia conforme», prevista dall’art. 348ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994), incombente questo non adempiuto nella specie.
1.4. Quanto alla doglianza sussunta sotto la fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., si osserva che il d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv., con modif., dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, stabilisce, all’art. 31 che « In materia di esercizi commerciali, all’articolo 3, comma 1, lettera d-bis del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, sono soppresse le parole: “in via sperimentale” e dopo le parole “dell’esercizio” sono soppresse le seguenti “ubicato nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte” ».
Il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, citato nella predetta disposizione, stabilisce all’art. 3, comma 1, che « Ai sensi delle disposizioni dell’ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi e al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità e il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. 3) e m) della Costituzione, le attività commerciali, come individuate dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni: d -bis), il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio », mentre il successivo art. 4 contiene le definizioni ai fini del decreto, stabilendo cosa si intenda per commercio all’ingrosso, per commercio al dettaglio, per superficie di vendita di un esercizio commerciale, per esercizi di vicinato, per medie e grandi strutture di vendita, per centro commerciale, per forme speciali di vendita al dettaglio, per vendita
per mezzo di apparecchi automatici, per corrispondenza o tramite televisione o altri sistemi di comunicazione e presso il domicilio dei consumatori, e quali attività ne restino escluse (ad esempio le farmacie).
Non vi sono, invece, indicazioni con riferimento alle discoteche, con la conseguenza che le disposizioni sopra esaminate non possono trovare applicazione rispetto ad esse, ma al limite alla sola somministrazione di alimenti e bevande in queste praticata (ossia all’attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale, di cui alle definizioni di cui alla lett. b delle dell’art. 4 sopra ricordato).
Con riguardo alla disposizione in esame, questa Corte, pur chiarendo che la regolamentazione degli orari degli esercizi commerciali appartiene alla competenza esclusiva dello Stato, ex art. 117, comma 2, lett. e), Cost., afferendo alla materia della tutela della concorrenza, e che il giudice ordinario ha, perciò, l’obbligo di disapplicare le disposizioni degli enti locali che, in contrasto con l’art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, modificativo dell’art. 3, comma 1, lett. d-bis), del d.l. n. 223 del 2006, ai sensi del quale le attività commerciali sono svolte senza limiti e prescrizioni, anche per quanto concerne l’obbligo della chiusura, introducono limiti a tali orari, ha altresì precisato che viene fatto salvo il potere di adozione, da parte del Sindaco e sulla base di un’adeguata motivazione che ne individui le sottese ragioni di tutela del pubblico interesse, di ordinanze contingibili ed urgenti, ex art. 50, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, con limitati effetti spaziali e temporali (Cass., Sez. 2, 11/03/2021, n. 6895).
Pertanto, se è vero che, come precisato da Cass., Sez. 2, 11/03/2021, n. 6895, cit., la totale liberalizzazione degli orari degli
esercizi commerciali non costituisce soluzione imposta dalla Costituzione, sicché lo Stato potrà rivederla in tutto o in parte, temperarla o mitigarla e, nondimeno, nel vigore del divieto di imporre limiti e prescrizioni sugli orari, stabilito dallo Stato nell’esercizio della sua competenza esclusiva a tutela della concorrenza, la disciplina regionale che intervenga per attenuare il divieto risulta illegittima sotto il profilo della violazione del riparto di competenza, donde la conseguente illegittimità degli atti amministrativi o regolamentari, costituente fonte secondaria, attuativi di tali disposizioni regionali che invadono la competenza esclusiva statale, è anche vero che rimane naturalmente salvo l’esercizio del potere del Sindaco di adottare ordinanze contingibili ed urgenti (ai sensi dell’art. 50, comma 5, del d. lgs. n. 267/2000), con le quali imporre eventualmente orari di chiusura dei predetti esercizi per la tutela di altri valori costituzionalmente rilevanti, provvedimento che, per loro intrinseca natura, devono spiegare effetti spaziali e temporali limitati e devono essere sorretti da una specifica e adeguatamente motivata individuazione delle situazioni di fatto dalle quali potrebbe originarsi la lesione di interessi pubblici, quali quelli connessi alla salvaguardia dei valori della sicurezza e della salute (che, quindi, non possono essere disciplinati, in via generale, da regolamenti locali con efficacia indifferenziata e temporalmente indeterminata).
A questa deroga va, altresì, aggiunta quella prevista dal comma 2 dell’art. 31 del ridetto d.l. n. 201 del 2011, il quale, nella versione ratione temporis applicabile, ossia alla data del 2014, stabiliva che « Secondo la disciplina dell’Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di RAGIONE_SOCIALE e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura,
esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro il 30 settembre 2012, potendo prevedere al riguardo, senza discriminazioni tra gli operatori, anche aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi attività produttive e commerciali », sostanzialmente rimasto immutato sotto questo profilo, ma soltanto integrato dall’art. 12 della legge 30/12/2023 n. 214, la quale ha stabilito che « Secondo la disciplina dell’Unione europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di RAGIONE_SOCIALE e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali nel territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente e dei beni culturali, nonché alla salvaguardia della sicurezza, del decoro urbano o delle caratteristiche commerciali specifiche dei centri storici o di delimitate aree commerciali. Per tali finalità le regioni, le città metropolitane e i comuni, fermo restando quanto previsto dall’art. 52 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, possono prevedere, d’intesa con le associazioni degli operatori e senza discriminazioni tra essi, limitazioni all’insediamento di determinate attività commerciali in talune aree o l’adozione di misure di tutela e valorizzazione di talune tipologie di esercizi di vicinato e di botteghe artigiane, tipizzati sotto il profilo storico-culturale o commerciale, anche tramite costituzione di specifici albi volti a valorizzarli. I comuni possono altresì promuovere percorsi conciliativi tra esercenti e proprietari dei locali, volti a evitare fenomeni di espulsione di operatori commerciali qualificati dai centri storici. Le presenti
disposizioni si applicano decorsi quattro mesi dalla data della loro entrata in vigore ».
Tale norma consente sostanzialmente di apporre limiti o vincoli di qualsiasi natura finalizzati alla tutela della salute, dei lavoratori e dell’ambiente, senza specificare la natura del relativo provvedimento e, dunque, la necessità che questo sia dettato da motivi contingibili e urgenti.
Come osservato dalla giurisprudenza amministrativa proprio con riguardo al Comune di Tortoreto (T.A.R. Abruzzo 30/5/2017, n. 339), se è vero che i Comuni non possono più perseguire finalità di programmazione generale utilizzando la leva degli orari, è altrettanto vero che, ai sensi del citato art. 31, comma 2, del D.L. 06/12/2011, n. 201, possono proporsi obiettivi quali la protezione dell’ambiente, della salute e del riposo dei vicini nelle ore notturne, pregiudicato dalle diffusioni acustiche degli stabilimenti balneari, derivante non soltanto dagli strumenti elettroacustici, ma anche dal rumore antropico degli avventori del locale adibito a discoteca, pervenendo alla conclusione che il provvedimento adottato dal Comune non disponeva una programmazione degli orari, ma imponeva limiti di orario notturno proprio al fine di tutelare la quiete pubblica ai sensi della predetta disposizione, stabilendo altresì ulteriori prescrizioni esclusivamente agli stabilimenti balneari serviti da impianti elettroacustici fissi e da impianti elettroacustici mobili, come desunto dalla motivazione contenuta nella delibera commissariale di approvazione del regolamento, che si propone di ‘contemperare le precisate esigenze degli imprenditori con quelle dei residenti e soggiornanti in genere, al rispetto delle occupazioni e del riposo delle persone, tenuto conto della ubicazione, ad ovest del lungomare, di numerose unità immobiliari adibite ad abitazione, nonché di svariate strutture turisticorecettive…’.
Alla stregua dei principi sopra esposti, si deve ritenere, perciò, corretta la decisione assunta dal giudice di merito sul presupposto che l’ordinanza sindacale investita dalla doglianza non avesse contestato l’apertura, oltre l’orario consentito, dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande, rientrante effettivamente nell’ambito della liberalizzazione, ma quella completamente diversa dell’intrattenimento musicale atteso che, come si è detto, le discoteche non rientrano nell’ambito applicativo del d.l. n. 201 del 2011 e che, con riguardo alle attività di somministrazione di alimenti e bevande, è consentita la deroga per motivi legati alla tutela della salute ai sensi del comma 2 dell’art. 31.
Consegue da quanto detto l’infondatezza della censura , sotto il denunciato profilo di violazione di legge.
2.1. Con il secondo motivo, si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ. (violazione del giudicato esterno), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., perché il giudice di merito, nell’affermare che la società non svolgeva attività di discoteca, aveva violato il giudicato esterno formatosi tra le stesse parti con la sentenza n. 928/2015, con la quale il Giudice di Pace di Teramo, con riguardo ad altra sanzione applicata sugli stessi presupposti, aveva accertato la natura di discoteca dell’attività svolta dalla ricorrente, rientrante come tale tra i c.d. locali di spettacolo, sostenendo che l’ordinanza sindacale posta a base della sanzione irrogata era stata oggetto di implicita abrogazione dalle disposizioni relative alla liberalizzazione attuata e avente vigore in tutto il territorio nazionale con riguardo agli orari delle attività commerciali, compresa quella in esame.
Ad avviso della ricorrente, era, dunque, illegittima l’irrogazione di una nuova sanzione, in applicazione degli stessi principi e delle medesime norme, laddove vi era stato un giudicato tra le stesse parti che escludeva la detta violazione, il quale era stato, peraltro, ampiamente dibattuto tra le parti (comparse conclusionali e repliche in appello), senza che la sentenza recasse alcuna considerazione in proposito.
2.2. Il secondo motivo presenta anch’esso profili di inammissibilità e di infondatezza.
Quanto alla doglianza riferita all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., trova, infatti, applicazione il principio della c.d. doppia conforme descritto nel precedente punto 1.2, non avendo il ricorrente assolto all’incombente prescritto.
2.3. Quanto alla dedotta violazione del giudicato, va preliminarmente rilevato, alla luce dell’eccezione di inammissibilità anche sui motivi sollevata dal controricorrente, che all’interpretazione del giudicato ‘esterno’ -che si conforma all’esegesi degli atti normativi e si correla a quanto stabilito e nella motivazione e nel dispositivo della sentenza (cfr. Cass. (ord.) 13.10.2017, n. 24162; Cass. 10.12.2015, n. 24952) -può attendere pur direttamente questa Corte di legittimità con piena cognizione nei limiti in cui il giudicato ‘esterno’ sia riprodotto nel ricorso per cassazione in forza del principio di ‘autosufficienza’ di tale mezzo di impugnazione. Di conseguenza, il ricorso deve riprodurre il testo della sentenza – che si assume passata in giudicato – con richiamo congiunto e della motivazione e del dispositivo (cfr. Cass., Sez. 1, 12.12.2023, n. 34606; Cass. 19.8.2020, n. 17310; Cass. sez. lav. 8.3.2018, n. 5508; Cass. 23.6.2017, n. 15737; Cass. 11.2.2015, n. 2617; Cass. sez. lav. 13.12.2006, n. 26627), riproduzione che, in questa sede, è stata fedelmente eseguita dal ricorrente.
Del resto, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata.
Si tratta, infatti, di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem , corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione (Cass., Sez. U, 16/6/2006, n. 13916; Cass., Sez. L, 21/4/2022, n. 12754).
Ciò detto, si osserva che, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative a un punto fondamentale comune a entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo e il petitum del primo (Cass., Sez. U, 17/12/2007, n. 26482).
Nella specie, questa identità di rapporto giuridico non sussiste, attenendo le due fattispecie di illecito contestate a fatti
temporalmente differenti e in alcun modo sovrapponibili da un punto di vista sostanziale.
Consegue da quanto detto l’infondatezza della censura di violazione di legge.
3.1. Con il terzo motivo, si denunzia la violazione o falsa applicazione della legge 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, all. E, con riguardo alla mancata disapplicazione per incompetenza dell’organo emanante in relazione al provvedimento amministrativo presupposto della sanzione applicata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere il giudice d’appello ritenuto inammissibile la doglianza con la quale era stata rappresentata l’incompetenza del Sindaco, ai sensi degli artt. 50 e 54 del d.gs. n. 267 del 2000 (TUEL), ad emettere un’ordinanza contingibile e urgente che disciplinasse in modo organico una determinata materia (orari di diffusione sonora di uno RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE), oltretutto applicata dopo oltre tre anni, siccome, a suo dire, soggetta alla giurisdizione amministrativa, senza considerare che avrebbe potuto procedere a disapplicare il provvedimento amministrativo non conforme a legge indipendentemente dalla declaratoria di illegittimità del giudice amministrativo, aspetto questo non esaminato in sentenza ancorché prospettato con l’atto d’appello.
3.2. Il terzo motivo è infondato.
In disparte la genericità della censura, per avere i ricorrenti omesso di descrivere il contenuto del provvedimento a loro dire disapplicabile, in contrasto con la prescrizione contenuta nel n. 6 dell’art. 366 cod. proc. civ., il quale impone di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777), mediante la riproduzione diretta o indiretta del contenuto che sorregge la censura, precisando, in quest’ultimo
caso, la parte del documento cui quest’ultima corrisponde (Cass., Sez. 5, 15/07/2015, n. 14784; Cass., Sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679) e i dati necessari all’individuazione della sua collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777), si osserva che il giudice di merito ha affrontato la questione, a differenza di quanto lamentato, sostenendo che oggetto della contestazione non era l’ordinanza -ingiunzione, ma la legittimità del procedimento di formazione del provvedimento amministrativo che stabiliva gli orari di chiusura di riferimento, contestazione che, afferendo alla legittimità di un provvedimento amministrativo, non poteva che essere fatta valere dinanzi al giudice amministrativo.
Inoltre, alla luce di quanto affermato nel precedente punto 1.3, l’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011 consente l’adozione di provvedimenti che limitino gli orari al fine del soddisfacimento del l’esigenza di tutelare la salute.
4.1 Con il quarto motivo, si lamenta, infine, la violazione o falsa applicazione degli artt. 10-11 della legge 26 ottobre 1995, n. 447, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., perché non era applicabile la sanzione prevista dall’art. 10 della legge sopra citata, nella versione ratione temporis applicabile, essendo stata questa modificata dall’art. 13, comma 1, d.lgs. 17 febbraio 2017, n. 42, laddove era contestata la violazione dell’ordinanza sindacale n. 39 del 2011 e non un regolamento di esecuzione di cui all’art. 11 del predetto d.lgs, né erano applicabili i commi 1 e 2 del ridetto art. 10, in quanto, per il comma 2, sarebbe stata necessaria una misurazione dei valori delle emissioni sonore, mentre per il comma 1 sarebbe stata necessaria una valutazione di legittimità di un’ordinanza contingibile e urgente emanata ben tre anni prima, la cui legittimità era esclusa dall’art. 9 del medesimo d.lgs.
4.2 Anche il quarto ed ultimo motivo è destituito di fondamento.
L’art. 10 della legge 26 ottobre 1995, n. 447 (Legge quadro sull’inquinamento acustico), stabiliva, nella versione ratione temporis applicabile, ossia alla data del 2014, che « 1. Fatto salvo quanto previsto dall’art. 650 cod. pen., chiunque non ottempera al provvedimento legittimamente adottato dall’autorità competente ai sensi dell’articolo 9, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 2.000.000 a lire 20.000.000 » (comma 1) e che « 2. Chiunque, nell’esercizio o nell’impiego di una sorgente fissa o mobile di emissioni sonore, supera i valori limite di emissione e di immissione di cui all’articolo 2, comma 1, lettere e) e f), fissati in conformità al disposto dell’articolo 3, comma 1, lettera a), è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 1.000.000 a lire 10.000.000 » (comma 2).
In virtù del richiamo operato dal comma 1 del predetto art. 10, la condotta è quella descritta nel comma 1 dell’art. 9, il quale stabilisce, in particolare, che « 1. Qualora sia richiesta da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell’ambiente il sindaco, il presidente della provincia, il presidente della giunta regionale, il prefetto, il Ministro dell’ambiente, -secondo quanto previsto dall’art. 8 della legge 3 marzo 1987, n. 59, e il Presidente del Consiglio dei ministri, nell’ambito delle rispettive competenze, con provvedimento motivato, possono ordinare il ricorso temporaneo a speciali forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l’inibitoria parziale o totale di determinate attività. Nel caso di servizi pubblici essenziali, tale facoltà è riservata esclusivamente al Presidente del Consiglio dei ministri ».
Orbene, il ricorrente richiama innanzitutto impropriamente nella censura quanto sancito dall’art. 11, che riguarda, invece, i regolamenti di esecuzione, mentre in questo caso l’illecito
contestato è stato riferito alla violazione dell’ordinanza sindacale, sicché è all’art. 10, comma 1, che occorre far riferimento, onde individuare la sanzione applicabile.
Con specifico riferimento a tale disposizione, il ricorrente insiste nel sollecitare la disapplicazione dell’ordinanza contingibile e urgente emessa dal sindaco, sia in quanto non erano state eseguite le misurazioni delle emissioni sonore (quanto al comma 2 dell’art. 10), sia in quanto l’ordinanza asseritamente violata era illegittima siccome emessa tre anni prima, ancorché contingibile e urgente.
Quanto al primo punto, è corretto quanto affermato dai giudici di merito, secondo cui la sanzione prevista per il superamento dei limiti acustici costituisce conseguenza logicamente inevitabile della violazione del limite orario per l’esercizio, presso lo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, di un’attività di intrattenimento musicale, con conseguente legittimità della sanzione irrogata, sicché la censura non attinge, sotto questo profilo, la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Quanto al secondo punto, vanno, invece, richiamate le argomentazioni svolte con riferimento al primo motivo in ordine ai limiti alla liberalizzazione dettati da esigenze di tutela della salute pubblica, oltre a doversi ribadire il difetto di specificità della censura nella parte in cui pretende che si proceda alla disapplicazione del provvedimento, siccome emesso tre anni prima, senza neppure riportarne il contenuto.
In conclusione, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico della ricorrente.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte
della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 550,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 100,00 e ad iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del l’ 8/10/2025.
Il Presidente NOME COGNOME