Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8143 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8143 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27361/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
CITTA’ METROPOLITANA DI FIRENZE, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrente –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 690/2021 depositata il 25/03/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/09/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorsi ex art. 6, d.lgs. n. 150 del 2011, NOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE deduceva, innanzi al Tribunale di Firenze, l’illegittimità di due ordinanzeingiunzione emesse dall’allora Provincia di Firenze (oggi Città Metropolitana di Firenze) sulla base della mancanza di autorizzazioni di alcuni scarichi di acque reflue urbane provenienti da agglomerati urbani inferiori a 2000 abitanti equivalenti nella provincia di Firenze, nel periodo 23 aprile – 19 novembre 2009.
1.1. Con scritti difensivi, gli opponenti contestavano quanto dedotto nei verbali di accertamento nn. 37-42 del 02.02.2009 relativi all’ordinanza -ingiunzione n. 2757/2014, evidenziando, in primo luogo, che gli scarichi ispezionati erano autorizzati direttamente dalla legge; in secondo luogo, che la condotta sanzionata non era in alcun modo loro imputabile a titolo di colpa.
Riuniti i due ricorsi, il Tribunale di Firenze rigettava le opposizioni. Avverso la decisione del giudice di prime cure NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE proponevano appello innanzi alla Corte d’Appello di Firenze, che rigettava il gravame così decidendo:
alla luce dei principi giurisprudenziali applicati dalla Corte di legittimità deve essere disattesa la censura della sentenza di prime cure nella parte in cui non aveva accolto l’eccezione di difetto assoluto di motivazione dell’ordinanza ingiunzione n. 2753/2014, sul presupposto che fosse lecita una motivazione per relationem dell’amministrazione in quanto già espressa in analogo procedimento notificato a RAGIONE_SOCIALE (ordinanza-ingiunzione n. 2757/2014) con il quale era stata sanzionata identica violazione. Nel caso di specie, non sussiste alcun difetto di motivazione delle due ordinanzeingiunzione (n. 2753/14; n. 2757/14), emergendo sufficientemente dall’esame del loro contenuto tutti gli elementi a sostegno delle
contestazioni che, oltre a richiamare la normativa violata, fanno riferimento agli atti preordinati che hanno costituito l’attività istruttoria dell’Amministrazione;
deve essere disattesa la tesi degli opponenti in virtù della quale gli scarichi ispezionati erano autorizzati direttamente dalla legge. Come già sostenuto in altre pronunce passate in giudicato, con cui questo collegio si è espresso in vertenze analoghe, la normativa applicata dalla Provincia per irrogare le ingiunzioni è quella contenuta nel d.lgs. n. 152/2006, c.d. codice dell’ambiente, art. 124, che prevede la preventiva autorizzazione agli scarichi, sanzionata dal successivo art. 133; l’art. 26 L.R. T oscana n. 20 del 2006 promuove e prevede la stipula di accordi con i soggetti economici interessati, ai quali è subordinata la concessione dell’autorizzazione anche provvisoria degli scarichi; la Provincia di Firenze aveva espressamente rifiutato l’accordo di programma ed aveva emanato apposita delibera in tal senso (D.G.P. n. 256/08). Tale ricostruzione conduce ad escludere che la fattispecie in esame possa essere disciplinata secondo il combinato disposto dell’art. 26 L.R. n. 20/06 e dell’art. 55, comma 2, del Regolamento n. 46/2008 attuativo della Legge Regionale, come sostenuto dagli opponenti, norma quest’ultima che aveva prorogato l’adeguamento degli scarichi al 2005;
va disattesa la censura degli opponenti per la quale la condotta dei sanzionati non era in alcun modo imputabile a RAGIONE_SOCIALE a titolo di colpa o negligenza, posto che la mancata verifica per un trattamento appropriato degli scarichi non dipendeva da cause a lei imputabili, ma da ritardi e inerzie accumulatesi negli anni, note alla Provincia. Dall’art. 124 d.lgs. n. 152/2006 risulta che la norma si estende ad ogni tipo di scarico, senza escludere quelli già esistenti al momento di presa in carico da parte del SII: RAGIONE_SOCIALE, gestore
delle risorse idriche dei Comuni, avrebbe dovuto essere perfettamente consapevole della necessità di dover verificare – nella pienezza degli obblighi convenzionali e dei propri poteri gestionali – le messe in atto di trattamenti appropriati per il rispetto dei valori limite di emissione fissati ai sensi dell’art. 28, comma 1 e 2 del d.lgs. n. 152/99, che ha attuato la direttiva europea n. 91/271 e per il quale i detti trattamenti appropriati dovevano essere assicurati nel termine del 31 dicembre 2005, ex art. 31, comma 3, lett. c) d.l.gs. n. 152/99.
3. Avverso detta decisione hanno proposto ricorso per Cassazione NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE, affidandolo a quattro motivi.
Resiste con controricorso la Città Metropolitana di Firenze.
In prossimità dell’adunanza entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., degli artt. 1 e 3 della legge 07.10.1990, n. 241; dell’art. 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689. Nella prospettazione dei ricorrenti, la sentenza impugnata applica erroneamente i principi concernenti la motivazione per relationem dei provvedimenti amministrativi, tra cui rientrano le ordinanze-ingiunzione: nel caso in cui le ragioni del provvedimento finale risultino da un altro atto, l’Amministrazione può semplicemente rinviare a questo; nel caso di specie ciò non è avvenuto, perché l’ordinanza-ingiunzione n. 2753/2014 non contiene alcun rinvio.
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., degli artt. 1 e 3 della legge 07.10.1990, n. 241; dell’art. 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689. A dire dei ricorrenti, la sentenza impugnata applica erroneamente i principi giurisprudenziali relativi alla motivazione per
relationem delle ordinanze-ingiunzioni (Cass. n. 2959/2016; Cass. n. 391 del 1999), applicabili nei casi in cui la motivazione esiste ma si considera insufficiente, non nei casi – come quello in esame – in cui la motivazione è totalmente assente nell’ordinanza -ingiunzione n. 2753/2014.
I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto entrambi censurano l’ asserita mancanza di motivazione dell’ordinanza -ingiunzione n. 2753/14, e quindi denunciano l’impossibilità di applicare la normativa e i principi giurisprudenziali sulla motivazione per relationem negli atti amministrativi. Entrambi sono infondati per le ragioni che seguono.
3.1. In tema di opposizione ad ordinanza ingiunzione per l’irrogazione di sanzioni amministrative, questa Corte ha già avuto modo di precisare che i vizi di motivazione in ordine alle difese presentate dall’interessato in sede amministrativa non comportano la nullità del provvedimento, e quindi l’insussistenza del diritto di credito derivante dalla violazione commessa, in quanto il giudizio di opposizione non ha ad oggetto l’atto ma il rapporto, con conseguente cognizione piena del giudice, che potrà (e dovrà) valutare le deduzioni difensive proposte in sede amministrativa (eventualmente non esaminate o non motivatamente respinte), in quanto riproposte nei motivi di opposizione, decidendo su di esse con pienezza di poteri, sia che le stesse investano questioni di diritto che di fatto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12503 del 21/05/2018, Rv. 648753 -01).
Il principio enunciato è a sua volta radicato in un orientamento consolidato e risalente di questa Corte alla stregua del quale il contraddittorio tra l’Amministrazione procedente e l’interessato è assicurato, nell’ambito della fase endo-procedimentale, dalla preventiva contestazione degli addebiti, nonché dall’esplicazione del
diritto degli incolpati di dedurre le loro difese e di esercitare il diritto di accesso agli atti della procedura sanzionatori (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20935 del 30/09/2009, Rv. 610517 -01; in senso conforme: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4521 del l’11.02. 2022, Rv. 663829 -02, soprattutto punto 30; Cass. n. 12503 del 21/05/2018, cit.; Cass. n. 8210/2016; Cass. n. 18683/2014).
3.1.1. E’ stato anche ulteriormente precisato da q uesta Corte che nell’ordinanza-ingiunzione di una sanzione amministrativa, l’autorità pubblica non è tenuta a rispondere analiticamente e diffusamente alle censure avanzate dall’intimato, potendo semplicemente richiamare il verbale di accertamento, a meno che le difese dell’intimato non contengano circostanze o fatti nuovi non indicati nel verbale o rilevanti per la configurabilità della contravvenzione o la sua gravità, nel qual caso la motivazione del provvedimento autoritativo deve, pur sinteticamente, tener conto delle ulteriori prospettazioni difensive, affinché, in applicazione dei principi del giusto processo, il giudice dell’opposizione possa compiere una valutazione esaustiva dei fatti posti a fondamento della pretesa sanzionatoria (Cass. Sez. L, Sentenza n. 3128 del 11/02/2010, Rv. 612004 -01; Cass. Sez. L, Sentenza n. 17104 del 22/07/2009, Rv. 610413 – 01).
3.2. Nel caso di specie, pur avendo la Provincia riscontrato solo gli scritti difensivi riferiti all’ordinanza – ingiunzione n. 2757/2014, essendo tuttavia il contenuto di essi identico anche a quelli riferiti all’ordinanza -ingiunzione n. 2753/2014, per i principi sopra espressi -in assenza appunto di circostanze o fatti nuovi non indicati nel verbale – deve ritenersi soddisfatto l’onere di motivazione richiesto all’Amministrazione, tenuto conto che entrambe le ordinanzeingiunzione richiamavano la normativa violata e facevano riferimento a tutti gli atti dell’attività istruttoria , così rispettando il nucleo
irriducibile di garanzie del contraddittorio endo-procedimentale, individuato -come si è detto nella contestazione dell’addebito e nella valutazione delle controdeduzioni dell’interessato .
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., degli artt. 124, commi 1, 3 e 6, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152; art. 26, comma 2, L.R. 31 maggio 2006, n. 20; artt. 55, comma 2, e 58, comma 1, D.P.G.R. 8 settembre 2008, n. 46/R. I ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata applica erroneamente il combinato disposto delle norme citate, in base alle quali nei giorni del sopralluoghi che hanno dato origine alle ordinanze-ingiunzioni impugnate (ossia il 23 aprile 2009 e il 19 novembre 2009) la prosecuzione degli scarichi oggetto del presente giudizio era autorizzata sino al 10 gennaio 2010, data che risultava sommando, a partire dal 17 settembre 2008 (data di pubblicazione del regolamento di attuazione della L.R.) i 180 giorni previsti per l’entrata in vigore del Regolamento ( ex art. 58, comma 1), e i 300 giorni di cui all’art. 26, comma 2, della L.R. Toscana n. 20 del 2006. L’errore in cui è incorsa la Corte d’Appello di Firenze consiste nella mancata applicazione dell’art. 55, comma 2, del D.P.G.R. 8 settembre 2008 n. 46/R. È ben vero, precisano i ricorrenti, che l’accordo di programma del 16 luglio 2008 – che prevedeva la provvisoria autorizzazione degli scarichi di cui è causa – non fu sottoscritto dall’allora Provincia di Firenze; ma è anche vero che la Delibera del 7 novembre 2008, n. 256, che rifiutava di sottoscrivere l’accordo di programma del 16 luglio 2008, non aveva più alcuna rilevanza, in quanto alla luce del combinato disposto di cui sopra la prosecuzione degli scarichi sanzionati era stata medio tempore autorizzata direttamente dalla legge, ossia da una fonte
gerarchicamente superiore a qualsiasi accordo o delibera amministrativa.
3.1. Il motivo è infondato.
Dall’esame della normativa applicabile al caso che ci occupa si deduce che l ‘autorizzazione provvisoria allo scarico di acque reflue urbane era comunque necessaria, del resto in linea con il principio generale espresso dall’art. 124 d.lgs. n. 152/2016, in virtù del quale: «Tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati».
La L.R. Toscana n. 20/2006, comma 1 -testo espressamente promulgato ai fini delle attribuzione delle competenze e della definizione delle procedure autorizzative -all’art. 13 , comma 1, recita: «L a Giunta regionale, entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della legge, provvede a disciplinare con regolamento (lett. d): le fasi di autorizzazione provvisoria agli scarichi degli impianti di depurazione delle acque reflue per il tempo necessario al loro avvio , che non può eccedere i trecentosessantacinque giorni, termine rinnovabile una sola volta in caso di dimostrata necessità tecnica». Contrariamente a quanto argomentato in memora dai ricorrenti (p. 13, punti 40-45), la disposizione citata -che rinvia, appunto, ad una necessaria autorizzazione provvisoria disciplinata mediate regolamento -si riferisce alle acque reflue in generale (incluse, quindi, quelle domestiche, urbane, industriali) e relativi impianti di depurazione senza nessuna ulteriore delimitazione rispetto agli agglomerati inferiori ovvero superiori ai 2000 abitanti equivalenti, ai quali, invece, espressamente si rivolge il comma 2 dell’art. 26 . L ‘art. 13 è, poi, completato dall ‘ultimo inciso dell’invocato art. 26 , comma 2, L.R. Toscana n. 20/2006: « La provincia autorizza l’esercizio allo scarico in via provvisoria e previa stipula tra le parti interessate di un accordo di programma che individui le priorità in relazione agli obiettivi del piano
di tutela delle acque e le modalità di copertura finanziaria degli interventi».
Alla luce del rispetto della gerarchia delle fonti, che vede prevalere le fonti primarie regionali sulle fonti regolamentari secondarie, deve, pertanto, ritenersi illegittima la disposizione di cui all’art. 55 del regolamento attuativo, laddove considera autorizzata -per lo meno fino a trecento giorni dalla data di entrata in vigore del regolamento stesso: art. 26, comma 2, L.R. Toscana n. 27/2006, primo inciso – la prosecuzione dello scarico delle acque reflue urbane (di cui all’art. 26, comma 1, L.R. Toscana n. 20/2006).
Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ., dell’art. 132 cod. proc. civ. Carenza assoluta di motivazione. La sentenza impugnata merita di essere riformata nella parte in cui ha escluso che la condotta sanzionata potesse essere esente da colpa ai sensi dell’art. 3 legge 24 novembre 1981, n. 689, senza pronunciarsi sulle dettagliate contestazioni sollevate dai ricorrenti.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. Con riferimento alla censura relativa alla motivazione apparente, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il vizio ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante: Cass Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, in motivazione; Cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526; Cass. Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del
01/03/2022, Rv. 664061; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019, Rv. 654145; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 23123 del 28/07/2023, Rv. 668609 – 01).
Nel caso in esame il denunziato vizio non ricorre perché la Corte d’appello ha illustrato il fondamento della sua decisione in merito alla non imputabilità della mancata verifica del trattamento appropriato degli scarichi, laddove ha stabilito che RAGIONE_SOCIALE, gestore delle risorse idriche dei Comuni, avrebbe dovuto essere perfettamente consapevole della necessità di dover verificare – nella pienezza degli obblighi convenzionali e dei propri poteri gestionali – le messe in atto di trattamenti appropriati per il rispetto dei valori limite di emissione fissati dalla normativa interna e comunitaria (v. sentenza p 14, 1° capoverso).
4.3. Con riferimento all’insussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, si è è costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di violazioni amministrative poiché, ai sensi dell’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, per integrare l’elemento soggettivo dell’illecito è sufficiente la semplice colpa, per cui l’errore sulla liceità della relativa condotta, correntemente indicato come «buona fede» , può rilevare in termini di esclusione della responsabilità amministrativa, al pari di quanto avviene per la responsabilità penale in materia di contravvenzioni, solo quando esso risulti inevitabile, occorrendo a tal fine un elemento positivo, estraneo all’autore dell’infrazione, idoneo ad ingenerare in lui la convinzione della sopra riferita liceità, oltre alla condizione che da parte dell’autore sia stato fatto tutto il possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero possa essergli mosso, così che l’errore sia stato incolpevole, non suscettibile cioè di essere impedito dall’interessato con l’ordinaria
diligenza (v. Cass. nn. 16320/10, 13610/07, 11012/06, 9862/06, 5426/06 e 11253/04).
L’onere della prova degli elementi positivi che riscontrano l’esistenza della buona fede è a carico dell’opponente e la relativa valutazione costituisce un apprezzamento di fatto di stretta competenza del giudice di merito, (Cass., Sez. 2, n. 21280/2015; V. anche Cass. n. 19759/2015; Cass. n. 23019/09): nel caso in esame, la Corte di merito ha escluso la prova della buona fede.
In definitiva, il ricorso va respinto e le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in € . 4.0 00,00 per compensi, oltre ad € . 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 27 settembre 2023.
Il Presidente
NOME COGNOME