Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20725 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20725 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 21347-2020 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DEL RAGIONE_SOCIALE E DELLE POLITICHE SOCIALI, ISPETTORATO RAGIONE_SOCIALE -ISPETTORATO TERRITORIALE DEL RAGIONE_SOCIALE SEDE DI BOLOGNA;
– intimati – avverso la sentenza n. 34/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 06/02/2020 R.G.N. 19/2019;
Oggetto
Opposizione a ordinanza ingiunzione per sanzioni amministrative
R.G.N. 21347/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 29/05/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/05/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa
La Corte d’appello di Bologna, con la sentenza in atti, ha rigettato l’appello proposto da COGNOME NOME avverso la sentenza del tribunale che aveva respinto l’opposizione ad ordinanza ingiunzione con cui gli venivano irrogate le sanzioni in materia di illeciti alla normativa di RAGIONE_SOCIALE nero.
A fondamento della sentenza la Corte d’appello ha sostenuto che non rilevava la tesi della instaurazione del rapporto di RAGIONE_SOCIALE in nero nell’interesse della famiglia, e che la compagna e poi moglie del dr. COGNOME, ing. COGNOME, avrebbe potuto essere al più una mera codatrice, circostanza irrilevante ai sensi dell’art. 5 della legge n. 689/81 atteso che ogni trasgressore risponde della propria condotta. Non esisteva inoltre, secondo la Corte, alcun vizio di motivazione dell’ordinanza ingiunzione, che poteva essere motivata anche per relationem; in ogni caso il ricorrente si era difeso in modo esaustivo nel merito con conseguente irrilevanza dell’errore materiale, sub specie iuris, del quadro normativo applicato nelle ordinanze ingiunzioni, non essendo revocabile in dubbio che l’autorità ingiungente avesse inteso fare applicazione della normativa previgente alla legge n. 183/2010.
Quanto alle contestazioni del principio tempus regit actum, trattandosi di condotta pacificamente relativa al lasso temporale 2/11/2007-15/5/2010, doveva rilevarsi che, come affermato dalla Corte costituzionale, con sentenza n.193/2016, il principio di retroattività del regime sanzionatorio più favorevole nella materia de qua non derivava né da fonti di diritto interno né da precetti di natura sovranazionale, e senza
che il predetto più favorevole trattamento potesse ritenersi costituzionalmente imposto trattandosi del legittimo esercizio della discrezionalità politica del legislatore.
Anche l’ultima doglianza in punto di quantum debeatur non coglieva nel segno, secondo la Corte di appello, dovendosi ritenere conforme a diritto l’interpretazione in punto di estensione dell’ambito di applicabilità del procedimento di diffida fatta propria in sede amministrativa, posto che il presupposto della diffida non può che essere la sanabilità dell’illecito mentre nel caso di specie il lavoratore era sprovvisto del permesso di soggiorno ed in quanto tale era esclusa qualsiasi possibilità di sanatoria.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME con nove motivi.
Il RAGIONE_SOCIALE non si è costituito in giudizio. Il ricorrente ha comunicato memoria. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo si sostiene la violazione dell’articolo 2909 c. c. e 112 c.p.c., ex articolo 360 numero 4 c.p.c. ; omesso esame, senza alcuna motivazione, circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti con riferimento all’articolo 360 numero 5 c.p.c. per aver disatteso il giudicato (sentenza Corte appello Bologna n. 463/2018) con cui veniva confermata l’estromissione dal giudizio della moglie ing. COGNOME NOME, in quanto non menzionata nell’ordinanza ingiunzione oggetto di causa, contrariamente a quanto sempre sostenuto dal COGNOME circa la responsabilità della moglie.
2.- Col secondo motivo si sostiene la violazione dell’articolo 2909 c.c. in relazione all’articolo 360 n. 4 c.p.c., violazione articolo 18 legge 689/1981, violazione articoli 4 e 5 legge 2248 del 1865 allegato E) in relazione all’articolo 360, n. 3 c.p.c. per avere rigettato l’eccezione di illegittimità della ordinanza ingiunzione sotto il profilo della motivazione, perché nella ordinanza ingiunzione era stata espressamente contestata una norma (l’art. 36 bis, 7 comma del decreto legge 4.7.2006 n. 223, convertito in legge l4.8.2006 n. 248) che non si applicava al datore di RAGIONE_SOCIALE domestico (come il ricorrente) e che era diversa da quella successivamente ritenuta violata in giudizio ed in sentenza (legge n. 183/2010).
3.- Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’articolo 2909 c.c., articolo 112, 163 n. 3, 183 c.p.c., principio del divieto della mutatio libelli in relazione all’articolo 360 n. 4 c.p.c., articoli 22 e 23 legge 689/81, articolo 6 decreto legislativo n. 150/2011 in relazione all’articolo 360 n. 3 c.p.c. per non aver preso in esame il motivo d’appello relativo alla mutatio libelli attuata dalla amministrazione dopo l’impugnazione dell’ordinanza ingiunzione; allorché nel costituirsi in giudizio l’amministrazione aveva invocato a sostegno della sua pretesa sanzionatoria una disposizione di legge di contenuto diverso da quella integralmente trascritta nell’ingiunzione opposta dal COGNOME.
4.- Col quarto motivo si deduce violazione dell’articolo 2909 c.c. e 112 c.p.c. in relazione all’articolo 360 comma 1 numero 4 c.p.c. , violazione dell’articolo 36 bis decreto legge n. 223/2006 come inserito dalla legge di conversione 4 agosto 2006 n. 248 , articolo 4 legge 183/2010, in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c.; difetto di motivazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’articolo 360 n. 5. c.p.c.
5.- Con il quinto motivo si sostiene la violazione dell’articolo 112 c.p.c. in relazione all’articolo 360 numero 4, articolo 36 bis decreto legge 223/2006 come inserito dalla legge di conversione 4 agosto 2006 numero 248, articolo 4 legge n. 183/2010 in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. per avere il tribunale prima e la Corte d’appello dopo illegittimamente corretto la motivazione dell’ordinanza ingiunzione eliminando ciò che era scritto nella stessa ed applicando direttamente le disposizioni ritenute esatte.
6.- Con il sesto motivo si denuncia la violazione dell’articolo 3 comma 5 decreto legge 22/2/2002 numero 12 convertito nella legge 23/4/2002 numero 73; l’articolo 36 bis comma 7 decreto legge 4/7/2006 numero 223 come inserito dalla legge di conversione 4/8/2006 numero 248, articolo 4 comma 1 legge 4/11/2010 numero 183 n. 124; articoli 16, 17,18 legge n. 689/1981; tutte violazioni in relazione all’articolo 360 n. 3 c.p.c. per la mancata adozione nei confronti del COGNOME della procedura di diffida di cui all’articolo 13 decreto legislativo n. 124 del 23/4/2004.
7.- Col settimo motivo si sostiene la violazione dell’articolo 112 c.p.c. in relazione all’articolo 360 numero 4 c.p.c.; violazione dell’articolo 3 decreto legge 22/2/2002 numero 12 convertito nella legge 23/4/2002 numero 73; articolo 4 comma 1 legge 4/11/2010 numero 183; articolo 1,16, 17,18 legge 689 1981, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
8.Con l’ottavo motivo si denuncia la violazione dell’articolo 112 c.p.c. in relazione all’articolo 360 numero 4 c.p.c.; violazione dell’articolo 3 decreto legge n. 22/2/2002 numero 12 convertito nella legge 23/4/2002 numero 73; articolo 4 comma 1 legge 4/11/2010 numero 183; articolo 22 decreto legislativo 14/9/2015 numero 151; articolo 1 legge n. 689/81; violazione
in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. per non aver disposto l’applicazione alla fattispecie della più recente RAGIONE_SOCIALE disposizioni sanzionatorie del decreto legislativo n. 151/2015 sul RAGIONE_SOCIALE sommerso entrata in vigore prima dell’adozione dell’ingi unzione qui contestata.
9.- Con il nono motivo viene dedotta la violazione dell’articolo 36 bis decreto legge 223/2006 come inserito dalla legge di conversione 4/8/2006 numero 248; articolo 4 legge 4/11/2010 numero 183, articolo 14 decreto legge 23/12/2013 numero 145 sostituito dalla legge di conversione 21/2/2014 numero 9; articolo 22 decreto legislativo 14/9/2015 numero 151; articolo 1 legge 24/11/1981 numero 689; articoli 3, 25 e 117 Costituzione; articoli 6 e 7 Cedu, tutte violazioni in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. perché la sentenza impugnata aveva affermato che al NOME non potesse essere applicato il più favorevole regime sanzionatorio stabilito per il datore di RAGIONE_SOCIALE domestico sommerso dalla normativa succeduta all’articolo 36 bis decreto legge 223/2006 (articolo 4 legge 183/2010 e successive leggi sopra indicate ) ostando il cosiddetto principio di legalità del comma 2 articolo 1 legge n. 689/1981.
10.- Il primo motivo di ricorso è privo di fondamento.
Non sussiste la denunciata nullità della sentenza per omessa pronuncia della Corte d ‘appello sull’addebitabilità alla moglie del ricorrente, NOME COGNOME e in che misura, dell’illecito sanzionato, per effetto del giudicato interno che si sarebbe formato sulla sua estromissione dal giudizio (con la sentenza n. 463 del 2018 della Corte d’appello di Bologna, sull’impugnazione dell’ordinanza -sentenza non definitiva del Tribunale di Bologna 23 novembre 2016), non essendo stata la
medesima menzionata nell’ordinanza ingiunzione nei confronti del primo.
E’ in fatti legittima la statuizione della Corte d’appello in ordine al difetto di legittimazione nella presente causa intentata dal COGNOME della moglie ing. COGNOME NOME; essendo altresì la relativa statuizione conforme, e perciò tutt’altro che in contraddizione, con il giudicato già intervenuto in proposito. A nulla può rilevare infatti che la moglie ing. COGNOME fosse stata estromessa dalla causa con sentenza n. 463/2018 trattandosi qui della diversa responsabilità del marito COGNOME.
10.1. In proposito, è opportuno ribadire che, per pacifica giurisprudenza, nella controversia instaurata con opposizione ad ordinanza ingiunzione è inammissibile la chiamata in causa di un terzo, giacché nel giudizio di opposizione ex artt. 22 e 23 della legge n. 689 del 1981 – avente ad oggetto soltanto l’accertamento della legittimità della pretesa sanzionatoria nei confronti dell’autore dell’illecito amministrativo o dell’obbligato in solido – non sono configurabili situazioni di comunanza di causa ovvero ipotesi di chiamata in garanzia per essere il “thema decidendum” limitato all’accertamento della legittimità della pretesa sanzionatoria nei confronti dell’autore dell’omissione contributiva o dell’obbligato in solido. (V. Cass. n. 8364/2014, n. 14179/1999).
10.2. Quanto al profilo di censura relativo all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti lo stesso deve ritenersi inammissibile posto che la ricorrente denuncia l’esistenza del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza di una cd. ‘doppia conforme’ (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022),
senza indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019).
11.- Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, da esaminare unitariamente per connessione, sono invece fondati.
Ed invero la RAGIONE_SOCIALE nel costituirsi in giudizio ha ammesso di avere motivato la pretesa sanzionatoria svolta nell’ordinanza ingiunzione in modo erroneo, sicché riformulava ex novo la motivazione dell’ingiunzione, chiedendo l’appl icazione di una disposizione di legge di contenuto totalmente diverso da quello trascritto nell’ingiunzione.
11.1. Secondo i giudici di merito l’indicazione della norma applicata e trascritta integralmente nell’ingiunzione costituiva un mero errore materiale, non invalidante benché l’Amm inistrazio ne nell’ingiunzione avesse indicato come violato l’art. 36 bis L. 248/06 come modificato dall’art. 4 L. 183/10 anziché la norma l’art. 36 bis legge 248/06 nella sua formulazione originaria.
11.2. Tale argomentazione ha consentito di ritenere legittima l’applicazione in giudizio di una norma diversa da quella applicata nell’ordinanza ingiunzione (che non si applicava nemmeno al datore domestico, né al RAGIONE_SOCIALE domestico di cui soltanto si discute nella causa) sostenendosi che quella in essa indicata fosse frutto di un errore materiale non tale da fuorviare la difesa del ricorrente.
11.3. Appare invece evidente, a giudizio di questa Corte, in base al fondamentale principio di legalità e tipicità dell’attività amministrativa sanzionatoria, che tale errore non possa essere considerato un vizio di motivazione sanabile in modo tale da consentire nel corso del giudizio l’indicazione di una norma di
legge totalmente diversa da quella che punisce il fatto e che era stata contestata come violazione al trasgressore. Addirittura dopo aver contraddittoriamente contestato un fatto (come l’esercizio irregolare di RAGIONE_SOCIALE domestico), pure esentato dalla sanzione proprio in base alla norma di legge in origine riportata nel provvedimento impugnato.
Sicché, la sanzione ritenuta comminabile in giudizio non poteva esserlo in base alla stessa norma di legge la cui violazione era stata in precedenza contestata al ricorrente, per la posizione soggettiva del COGNOME di datore di RAGIONE_SOCIALE domestico, espressamente eccettuata dall’applicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni stabilite nella disposizione di legge riportata nell’ingiunzione (l’art. 36 bis L. 248/06 come modificato dall’art. 4 L. 183/ 10).
11.4. Il divieto imposto alla Pubblica Amministrazione di mutare la normativa posta alla base del fatto contestato nell’ordinanza ingiunzione, in sede di giudizio di opposizione alla stessa ingiunzione, è altresì ricavabile dal consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, quale portato del principio di legalità dell’azione amministrativa il quale non consente alla PA convenuta in giudizio di dedurre, a sostegno della propria pretesa punitiva, motivi o circostanze diversi, anche sul piano giuridico, da quelli enunciati nell’ordinanza ingiunzione impugnata, atteso che l’opposizione avverso la pretesa sanzionatoria amministrativa investe la legittimità formale e sostanziale del provvedimento già emesso (v. Cass. 27.11.1999 n. 13263; Cass. 7.10.2015 n. 20038; Sentenza n. 5675 del 05/05/2000; Sentenza n. 14021 del 27/09/2002).
L’individuazione corretta della norma di legge violata costituisce infatti requisito fondamentale, di forma e di contenuto, del tipico esercizio del potere punitivo che si concreta con l’emissione d i una ordinanza ingiunzione.
12.- Per tali ragioni, il secondo ed il terzo motivo di ricorso devono essere accolti.
Gli altri motivi di ricorso restano assorbiti.
La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rimessa al giudice di rinvio indicato in dispositivo il quale dovrà procedere alla prosecuzione della causa e provvedere altresì sulle spese del giudizio di cassazione, conformandosi ai principi sopra espressi.
12.- Non sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso nella camera di consiglio del 29.5.2024