Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13924 Anno 2024
Oggetto
revocazione
R.G.N. 11221/2023
COGNOME.
Rep.
Ud. 15/02/2024
CC
Civile Ord. Sez. L Num. 13924 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 11221-2023 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE;
– intimato – avverso l’ordinanza n. 6697/2023 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 07/03/2023 R.G.N. 26092/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/02/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la revocazione della ordinanza della sesta sezione civile -L n. 6697 del 2023 con la quale è stato accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri e la Corte ha cassato la sentenza impugnata rinviando la causa a diverso giudice del medesimo tribunale per un nuovo esame ed anche per le spese del giudizio di legittimità.
1.1. La ricorrente deduce che alla Corte di Cassazione era stato denunciato con un unico motivo che il giudice di appello sarebbe incorso nella violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., del d.m. n. 37 dell’8.3.2018, del d.m. 10.3.2014 n. 55, de ll’art. 13 comma 6 della legge 31.12.2012 n. 247, dell’art. 2233 comma 2 c.c. nella liquidazione delle spese di primo e di secondo grado (€ 1200,00 per il primo grado ed € 915,00 per l’appello).
1.2. Ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. la causa era avviata per la decisione in camera di consiglio da parte della sesta sezione essendo il motivo manifestamente fondato.
1.3. Evidenzia che l’ordinanza n. 6697 del 7.3.2023 riporta per errore la motivazione e il dispositivo di altro procedimento (il n. 20262 del 2021 tra NOME COGNOME e l’RAGIONE_SOCIALE) e deduce che nella specie la difformità non potrebbe essere oggetto di correzione di errore materiale ma integrerebbe piuttosto un errore di fatto revocatorio emendabile con la relativa procedura. Un errore percettivo nella disamina del motivo atteso che non vi è alcun riferimento alla questione sollevata nel ricorso proposto dalla r icorrente. Essendo perciò necessaria un’ulteriore attività decisoria ritiene che il rimedio esperibile sia solo la revocazione in quanto l’errore nella lettura degli atti interni al giudizio può ricadere tanto sull’identificazione del motivo quanto nell’i ndividuazione dei soggetti nei cui confronti quel motivo è fatto valere. In definitiva l’errore percettivo che si traduce in una svista o mancata attenzione su un fatto materiale o processuale può cadere anche sull’ambito soggettivo della pronuncia che alla Corte viene chiesta.
1.4. In conclusione, chiede che la Corte, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. e 395 comma 1 n. 4 c.p.c. revochi l’ordinanza n. 6697 del 2023 e cassi la sentenza della Corte di appello di Roma del 15.4.2021 n. 1511 con o senza rinvio ad altro giudice.
L’RAGIONE_SOCIALE, nonostante la rituale notifica del ricorso, non si è costituito nel presente giudizio di revocazione.
All’esito dell’odierna camerale il Collegio ha riservato la decisione.
RITENUTO CHE
L’ordinanza n. 6697 del 2023 oggetto del presente giudizio di revocazione deve essere dichiarata inesistente.
4.1.Rileva infatti il Collegio che non si tratta di una vera pronuncia ma piuttosto un simulacro di provvedimento. Come evidenzia esattamente il ricorrente di fatto il ricorso non è stato oggetto di trattazione nel senso di cui al giudizio di cassazione fi ssato e deciso con l’ordinanza su richiamata. Vi è stato piuttosto un incompiuto esercizio della giurisdizione con conseguente necessità di procedere alla sua rinnovazione, emanando un nuovo atto conclusivo del giudizio, questa volta valido (in questi termini le sezioni unite di questa Corte con l’ordinanza n. 31019 del 2023 e già l’ordinanza interlocutoria delle stesse sezioni unite n. 11032 del 2023).
4.2. Da quanto esposto discende che mancando nella specie ‘quel minimo di elementi o di presupposti che sono necessari per produrre quell’effetto di certezza giuridica che è lo scopo del giudicato” e trattandosi di nullità rilevabile anche d’ufficio, si deve procedere ad un nuovo esame della controversia.
Ciò posto rileva il Collegio che la Corte d’appello di Roma, con la sentenza del 15 aprile 2021 n. 1511, ha accolto l’appello promosso da NOME e, in riforma della sentenza del Tribunale di Velletri n. 813 del 2019, ne ha dichiarato il diritto a percepire l’assegno sociale ex art. 3 comma 6 della legge n. 335 del 1995 a decorrere dal 1° novembre 2015 condannando l’RAGIONE_SOCIALE a corrisponderle i ratei dovuti oltre interessi legali a decorrere dal 120° giorno successivo alla presentazione della domanda amministrativa sui ratei arretrati dalle singole scadenze al saldo. Inoltre, la
Corte territoriale di merito ha condannato l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del doppio grado, liquidate in € 1.200,00 per il primo ed € 915,00 per l’appello oltre rimborso delle spese forfettarie come per legge, Iva e C.p.a..
5.1. Avverso la sentenza ha proposto ricorso la sig.ra NOME e l’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Con l’ unico motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., del D.M. n. 37/2018, del D.M. n. 55/2014, dell’art. 13, comma 6, 1. 247/2012, dell’art. 2233 c.c., per avere la Corte territoriale liquidato le spese processuali in deroga ai minimi tariffari appositamente previsti, senza il sostegno di alcuna motivazione. Il ricorrente rileva che, trattandosi di giudizio in materia previdenziale ed assistenziale, vada applicata la disposizione di cui all’art. 13, primo comma, c.p.c., alla stregua del quale, se il titolo è controverso, il valore della causa si determina in base alle somme dovute per due anni; nel caso di specie, il valore della causa va, pertanto, individuato tra euro 5.200 ed euro 26.000, poiché in tale scaglione rientra l’ammontare di due annualità della prestazione richiesta.
Il motivo è manifestamente fondato.
Questa Corte ha già ritenuto che il minimo ed il massimo delle tariffe di cui al D.M. 55/2014 possano essere discrezionalmente derogati dal giudice solo mediante apposita motivazione, motivazione che difetta nel provvedimento impugnato (v. Cass. n. 2386/2017; 29606/2017; 18167/015). Nel caso di specie, il valore della causa va individuato tra € 5.000 ed € 26.000, poiché in tale scaglione rientra l’ammontare di due annualità, della prestazione richiesta, sicché i compensi professionali, pur applicando le riduzioni previste dal decreto fino al 50%, non
potevano essere inferiori ai minimi di €1.369,00 per il primo grado ed € 1569,00 per il giudizio di appello.
La liquidazione delle spese legali operata dalla Corte di appello nel provvedimento impugnato è inferiore ai parametri considerati dal D.M. 55/2014, sicché il capo della sentenza relativa alle dette spese va cassato.
Il ricorrente denuncia, altresì, la mancata applicazione dell’art. 4 comma 1 bis, del D.M. 55/2014, delineante un aumento del compenso del 30% quando gli atti sono depositati con modalità telematica e redatti con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione.
Il motivo, che propone questione su cui questa Corte si è del pari già pronunciata in casi simili (Cass. 15572/22 e 10531/22), resta assorbito.
Il ricorso va, dunque, accolto e la sentenza impugnata va cassata limitatamente al capo relativo alle spese. La causa va rinviata alla stessa Corte d’appello, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, previa declaratoria di inesistenza dell’ordinanza n. 6697 del 7 marzo 2023, accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata limitatamente al capo relativo alle spese e rinvia la causa alla stessa Corte d’appello in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 15 febbraio 2024