Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20402 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20402 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 662/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CF:CODICE_FISCALE)
-Ricorrenti –
Contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CF: CODICE_FISCALE), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE)
-Controricorrenti –
nonché contro
NOME DELLA SIGNORA NOME COGNOME COGNOME
-Intimati –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PERUGIA n. 119/2020 depositata il 22/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME e NOME COGNOME, con ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Terni dopo convalida di sfratto, a norma dell’art. 664 c.p.c., con il quale veniva loro ingiunto da NOME COGNOME il pagamento di euro 13.000,00 a titolo di canoni di locazione di un immobile situato in Terni, asseritamente scaduti e richiesti con l’intimazione di sfratto per morosità convalidata, eccepirono la sua inefficacia per essere stato notificato oltre il termine di cui all’art. 644 c.p.c. e ne chiesero la revoca. In via riconvenzionale -per quello che riferisce la sentenza impugnata -chiesero il pagamento di euro 3.410,00 per l’impianto elettrico e di condizionamento dell’immobile, di euro 750,00 ciascuno versati a titolo di ‘ acconto ‘ , la restituzione di euro 763,50, versati in eccedenza ed in via subordinata la compensazione di tali somme con quanto dovuto per i canoni di locazione.
Si costituì la COGNOME, riconoscendo di aver notificato il decreto ingiuntivo oltre il termine di efficacia, ma chiedendo di non limitare il giudizio alla declaratoria di inefficacia, bensì di estenderlo al merito della pretesa azionata.
Con sentenza n. 198/2018 il Tribunale di Terni dichiarò l’inefficacia del decreto ingiuntivo per essere stato notificato oltre il termine di sessanta giorni. Accolse parzialmente la domanda riconvenzionale dell’ingiunta di pagamento di euro 13.000,00 a tit olo di canoni di locazione dal febbraio 2015 al maggio 2016, ritenendo che gli opponenti non avessero provato il pagamento e anzi avessero ammesso il parziale inadempimento, ma detraendo (sempre per quanto riferisce la sentenza impugnata, ma anche lo dicono i ricorrenti), la somma di euro 1.500,00 corrisposta dai conduttori a titolo di deposito cauzionale. Condannò gli opponenti in solido al pagamento in favore dell’opposta delle spese di lite.
Avverso la predetta sentenza proposero gravame il COGNOME e il COGNOME, adducendo la mancata allegazione dei canoni scaduti e asseritamente non corrisposti nella citazione per convalida, la conseguente carenza di specificità dell’allegazione, con compromissione del loro diritto di difesa, e nullità della domanda, in particolar e sostenendo che: a) l’ordinanza di convalida di sfratto e il successivo decreto ingiuntivo non avrebbero potuto essere pronunciati per la radicale mancanza dell’indicazione de i canoni scaduti (indicati nell’irrisoria somma di euro 13.000,00), onere incombente sulla parte locatrice, e da adempiere, sotto il profilo dell’allegazione e dell’imputazione dei pagamenti, in modo specifico, al fine di consentire ai conduttori di provvedere al tempestivo pagamento o di esercitare la facoltà loro concessa dall’art. 55 della l. n. 392/1978, allegazione non effettuata e comunque non provata; b) difettavano del tutto le motivate richieste necessarie per indirizzare e facilitare la sanatoria nel termine fissato dalla legge ed essendo state formulate fin dall’introduzione del giudizio in modo tale da non consentire all’affittuario di individuare con precisione la prestazione richiesta e di eseguire la stessa, la contestazione non poteva considerarsi validamente operata; c) nel rito lavoro il giudice non poteva ascrivere alla parte una carenza di allegazione e/o prova superabile con l’esercizio dei poteri stessi facendo meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull’onere d ella prova, ma aveva l’obbligo -in ossequio a quanto prescritto dall’art. 134 c.p.c. ed al disposto di cui all’art. 111, 1° comma, Cost., sul ‘ giusto processo regolato dalla legge ‘ – di esplicitare le ragioni per le quali reputi di non far ricorso all’uso dei poteri istruttori nonostante la specifica richiesta di una delle parti.
Relativamente alla domanda riconvenzionale esperita, impugnarono la sentenza, ai sensi dell’art. 434, n. 1 e n. 2, c.p.c., nelle seguenti parti: a) ove aveva affermato che la locatrice aveva contestato il credito asseritamente sussistente in capo agli opponenti, relativo al
rifacimento dell’impianto elettrico e dell’impianto di condizionamento, aveva ribadito la solidarietà passiva tra gli opponenti stessi e aveva dichiarato di non aver trattenuto alcuna somma a titolo di acconto; b) ove: non aveva riconosciuto ai conduttori il credito relativo alla realizzazione dell’impianto elettrico e di condizionamento dell’immobile locato ritenendo che l’art. 6 del contratto di locazione statuiva che l’impianto di condizionamento d’aria ed i cablaggi informatici e telefonici, di propriet à dei conduttori, rappresentavano miglioria realizzata a cura e spese degli stessi, che avrebbe dato titolo, al momento della cessazione del contratto, ad una somma corrispondente al maggior valore locatizio, che non doveva considerarsi pari alla somma eventualmente spesa per la realizzazione dell’impianto, ma che doveva essere provata dai conduttori, onere ritenuto non assolto; ove aveva rigettato la domanda volta alla restituzione di somme versate dai conduttori in eccedenza a quanto dovuto a titolo di spese condominiali, ritenendo non essere stata fornita la prova e che essi opponenti, nella missiva del 22.11.2011, avevano dichiarato di avere preso visione dei conteggi inviati relativamente alle stesse e avevano preso atto del debito esistente. Assunsero che non erano stati specificamente contestati e, quindi, dovevano ritenersi ammessi, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., i seguenti punti: a) il pagamento dell’importo a titolo di condominio da parte degli opponenti per la somma di euro 5.520,00 ciascuno (euro 11.040,00 complessivi) mai rendicontata e che costituiva indebito arricchimento; b) l’entità del credito per i lavori eseguiti (impianto di condizionamento, impianto di cablaggi LAN e telefonico), essendo stata contestata unicamente la mancata approvazione per iscritto della locatrice, non necessaria perché oggetto di pattuizione nel contratto regolarmente sottoscritto e registrato.
Costituendosi, la COGNOME dedusse che: (i) nel fascicolo del procedimento di sfratto erano inserite le comunicazioni tramite email
e il conteggio dei canoni insoluti, fascicolo e relativi documenti che, già prodotti nel giudizio di primo grado, venivano nuovamente prodotti in appello; (ii) dopo la convalida dello sfratto per morosità, volontariamente notificava tardivamente il decreto ingiuntivo, confidando che, per il tempo concesso, gli opponenti almeno formulassero una proposta transattiva, che sarebbe stata valutata e caldeggiata. Richiamava, rispetto al primo motivo di gravame, il principio generale, in materia contrattuale, secon do cui sull’attore incombe soltanto l’onere di dimostrare i fatti, le situazioni, e gli elementi costitutivi del diritto fatto valere, mentre incombe sul convenuto l’onere di dimostrare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi, allegazione costituita, nel caso in esame, dal contratto di locazione, acquisito agli atti di causa, di per sé stesso produttivo dell’onere del debitore di provare. In ordine al secondo motivo sosteneva che: (i) non era pertinente il riferimento degli appellanti al principio di non contestazione in quanto non era stata offerta in primo grado prova alcuna in ordine alle pretese dedotte nell’atto introduttivo anche in riconvenzionale non avendo dimostrato dì essere stati autorizzati dalla locatrice riguardo alla realizzazione degli impianti elettrici e dì condizionamento, né di averne dato ad essa avviso, come previsto nell’art. 6 del contratto, né soprattutto di averne sopportata la spesa, a tal fine essendo assolutamente privo di efficacia probatoria il ‘ computo metrico ‘ ; (ii) era assurda la richiesta di restituzione di quanto versato in eccedenza, perché non era stato dimostrato quanto versato nel corso del rapporto e non era stata negata l’incolpazione di morosità, ufficialmente sancita dal provvedimento di convalida dello sfratto. Concluse chiedendo il rigetto dell’appello.
Con sentenza n. 119/2020, depositata in data 22/05/2020, oggetto di ricorso, la Corte di Appello di Perugia ha rigettato l’appello avverso la sentenza n. 198/2018 del Tribunale di Terni, condannando gli appellanti alla rifusione delle spese del grado.
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso affidato a due motivi, cui NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 c.p.c.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha depositato note scritte per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Violazione e falsa applicazione degli artt. 658 c.p.c. e 664 c.p.c., con riferimento all’art. 360 n. 3 ‘ , lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 658 e 664 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che parte locatrice non avesse l’onere di allegare specificatamente i canoni scaduti e non corrisposti nel giudizio di intimazione di sfratto per morosità, instaurato avverso gli odierni ricorrenti (conduttori). I ricorrenti sostengono che la mancata dimostrazione dell’adempimento dell’obbligo di pagamento dei canoni (per i quali parte locatrice ha promosso il giudizio monitorio) è dipesa dalla omessa allegazione e specifica indicazione di tali canoni scaduti e non corrisposti nell’atto introduttivo e durante il giudizio di cui all’art. 658 c.p.c. (pagina 8 del ricorso).
Il motivo non può essere accolto, pur essendo necessaria una correzione della motivazione. La Corte perugina si sarebbe dovuta limitare a rilevare che la questione prospettata, nella sostanza implicante che la pronuncia della convalida di sfratto fosse stata illegittima per non avere la parte locatrice precisato l’oggetto della morosità, era preclus a dall’esistenza della cosa giudicata sulla cessazione della locazione per morosità in forza del regime che pacificamente ha, sotto il profilo dell’efficacia di giudicato, l’ordinanza di convalida di sfratto: si veda la pacifica risalente
giurisprudenza di questa Corte: Cass. n. 3364 del 1958; n. 741 del 1959; n. 2615 del 1960; n. 3429 del 1968; n. 2182 del 1972 (ed anzi, più recentemente, nel solco di una tesi dottrrinale, questa Corte ha anche affermato che « Solo quando nel giudizio di convalida di sfratto per morosità sia stato proposto ricorso per l’ingiunzione di pagamento di canoni scaduti, il provvedimento destinato a concluderlo può assumere l’efficacia di cosa giudicata, non soltanto circa l’esistenza e validità del rapporto corrente ‘ inter partes ‘ e sulla misura del canone preteso, ma anche circa l’inesistenza di tutti i fatti impeditivi o estintivi, anche non dedotti, ma deducibili nel giudizio d’opposizione, come l’insussistenza, totale o parziale, del credito azionato in sede monitoria dal locatore, per effetto di controcrediti del conduttore per somme indebitamente corrisposte a titolo di maggiorazioni ‘ contra legem ‘ del canone » (così Cass. n. 12994 del 2013). Tale principio avrebbe anche precluso addirittura -ma non è questa la questione che pone il motivo – qualsisasi contestazione sul credito oggetto dell’ingiunzione). In sostanza, e per questo basta il ricordato risalente principo, la Corte perugina avrebbbe dovuto rilevare che ogni discussione sulla ritualità della pronuncia dell’ordinanza di convalida era preclusa dal giudicato.
Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Violazione e mancata applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 116 c.p.c. II comma e 167 c.p.c., con riferimento all’art. 360, I comma n. 3’ , lamentando che la Corte territoriale non ha preso in considerazione il difetto di specifica contestazione da parte della locatrice dei crediti oggetto della domanda riconvenzionale. I ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 2° comma e 167 c.p.c., per avere la Corte territoriale disatteso l’efficacia legale di una prova raggiunta per assenza di specifica contestazione. In particolare, la Corte territoriale se da un lato ha ritenuto pacifici i crediti vantati dalla parte conduttrice nei confronti della parte locatrice, dall’altro lato
non ha accolto l’appello proposto dai primi per ottenere la compensazione tra crediti reciproci, con particolare riferimento a quella oggetto della domanda riconvenzionale (p. 10, 2° §, del ricorso).
Sul secondo motivo. Il motivo è inammissibile per manifesta violazione dell’art. 366 , n. 6, c.p.c., in quanto assumendo, in contrasto con quanto affermato dalla sentenza e sopra riportato, che i crediti dei qui ricorrenti erano stati tutti incontestati, lo fa evocando in modo generico la comparsa di costituzione della parte locatrice nel giudizio di opposizione al decreto, omettendo di riprodurre il preteso contenuto integrante la non contestazione ed anzi, manifestamente contraddicendosi, a pag. 11 evoca sempre la comparsa alla pag. 10 alludendo ad un’asserzione della locatrice che contestava l’autorizzazione ai lavori e comentandola.
4.1 Peraltro, ferma l’assorbenza del rilievo svolto, se il motivo fosse scrutinabile, meriterebbe ricordare innanzitutto che, come ribadito da Cass., sez. III, ord. 07/06/2023, n. 16028, il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., se solleva la parte dall’onere di provare il fatto non specificamente contestato dal convenuto costituito, non esclude tuttavia che il giudice, ove dalle prove comunque acquisite emerga la smentita di quel fatto o una sua diversa ricostruzione, possa pervenire ad un diverso accertamento (conforme Cass., sez. III, ord. 15/02/2023, n. 4681, secondo la quale ‘ L’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto quando i fatti controversi siano noti alla parte, con la conseguenza che spetta a chi denunci la violazione del principio di non contestazione allegare che la controparte era a conoscenza della circostanza assunta come controversa, non essendo altrimenti configurabile a carico della predetta un onere di contestazione sulla questione ‘ ).
4.2 Sempre se il motivo fosse scrutinabile, si dovrebbe rilevare che, per quanto specificamente riguarda la dedotta violazione dell’art. 115
c.p.c., va aggiunto che essa non rispetta i criteri indicati da Cass. n. 11892 del 2016, ribaditi, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016 e, quindi, ex multis , da Cass., sez. Un., sent. 30/09/2020, n. 20867, secondo cui ‘ In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. ‘ (conforme di recente Cass., sez. Trib., ord. 9/06/2021, n. 16016).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso è inammissibile, stante l’inammissibilità di entrambi i motivi su cui si fonda.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo in favore dei controricorrenti, seguono la soccombenza. Non si ravvisano ragioni per applicare l’art. 96, terzo comma, c.p.c., tenuto conto della correzione della motivazione disposta a proposito del primo motivo e considerato che l’errore riscontrato quanto alla questione con esso proposta è dipeso anche dalla resistente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre agli esborsi, liquidati in euro 200,00, oltre al rimborso spese generali 15% e accessori di legge, in favore dei controricorrenti, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13, 1° comma, quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14/03/2024 nella camera di consiglio della