Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12507 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12507 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21438-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato dell’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 61/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 12/02/2020 R.G.N. 678/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
18/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 21438/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 18/03/2025
CC
Rilevato che
La Corte di appello di Milano rigettando l’appello di RAGIONE_SOCIALE ha confermato la sentenza non definitiva con la quale il locale Tribunale, in accoglimento della domanda di NOME COGNOME aveva condannato la società datrice di lavoro al pagamento in favore del lavoratore (formalmente assunto con rapporto a tempo parziale articolato su 24 ore settimanali) le differenze retributive connesse al maggior orario di lavoro settimanale osservato dal dipendente il quale, secondo quanto accertato, per l’intera durata del rapporto di lavoro, aveva prestato la propria attività per sei giorni alla settimana, dalle ore 13.30 alle 23.30 con un’ora di pausa pranzo.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE sulla base di cinque motivi illustrati con memoria; la parte intimata ha depositato controricorso.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente deduce error in procedendo denunziando erronea interpretazione dei fatti e documenti di causa ed erronea e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2722 c.c.; censura la sentenza impugnata in punto di interpretazione delle dichiarazioni testimoniali ed in generale degli elementi di prova; sostiene inoltre che in violazione del criterio di distribuzione dell’onere della prova la Corte di merito aveva posto a carico di essa società la dimostrazione dell’orario di lavoro effettivamente osservato dal dipendente. Assume quindi violazione dell’art. 2722 c.c. per avere la sentenza impugnata ritenuto in via presuntiva dimostrata la percezione di
un corrispettivo ‘in nero’ , in contrasto con le dichiarazioni rese a verbale dallo stesso lavoratore.
Con il secondo motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 2697 c.c. <> e violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la sentenza impugnata ritenuto irrilevante la mancata completa produzione dei cedolini paga. Denunzia il difetto di specifica domanda concernente l’espletamento di lavoro straordinario e assume che costituiva onere del lavoratore dimostrare in termini rigorosi, in conformità delle indicazioni del giudice di legittimità, il relativo svolgimento. Lamenta il mancato rilievo della nullità del ricorso di primo grado per violazione dell’art. 414 n. 3 e 4 c.p.c.
Con il terzo motivo deduce error in procedendo per vizio di ultrapetizione, omessa pronunzia e violazione dell’art. 112 c.p.c.,censurando la sentenza impugnata per avere accertato l’espletamento di un orario di lavoro superiore a quello richiesto in domanda.
Con il quarto motivo deduce error in iudicando per erronea applicazione dell’art. 2948 c.c. e mancata valutazione dell’omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado sulla eccezione di prescrizione. Censura la sentenza impugnata per avere escluso l’applicazione del regime di stabilità reale alla luce della disciplina in tema di licenziamento posta dal cd. Job act ed a tal fine evidenzia che per il lavoratore, assunto in data 1.4.2012, trovava applicazione la diversa disciplina di cui alla legge n. 92/2012.
Con il quinto motivo di ricorso deduce omessa pronunzia su un punto decisivo della controversia e violazione dell’art. 112
c.p.c. rappresentando che controparte non aveva offerto elementi per ritenere la giusta causa di interruzione del rapporto di lavoro e che il giudice di appello non aveva pronunziato circa un messaggio inviato successivamente alle dimissioni dal lavoratore alla società datrice di lavoro, con il quale il dipendente chiedeva di essere riammesso in servizio.
6. Il primo motivo di ricorso deve essere respinto.
6.1. La sentenza impugnata ha confermato l’apprezzamento di prime cure del materiale probatorio che ha ritenuto univocamente convergere nel senso della osservanza da parte del Rayes di un orario di lavoro dalle ore 13.30 alle 23.30, per sei giorni alla settimana con un’ora di pausa pranzo.
6.2. Tale valutazione si sottrae alle censure articolate con il motivo in esame. Invero, la censura che denunzia violazione dell’art. 2697 c.c. è inammissibile in quanto tale violazione è configurabile solo nelle fattispecie in cui il giudice del merito, in applicazione della regola di giudizio basata sull’onere della prova, abbia individuato erroneamente la parte onerata della prova ed abbia deciso la controversia sulla base della regola residuale di giudizio in conseguenza della quale la mancanza, in seno alle risultanze istruttorie, di elementi idonei all’accertamento della sussistenza del diritto in contestazione determina la soccombenza della parte onerata della dimostrazione dei relativi fatti costitutivi (Cass. n. 15107/2013, Cass. n. 13395/2018), non invece là dove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107/2013, Cass. n. 13395/2018). Nel caso in esame vi è stato un concreto accertamento fattuale, fondato sugli esiti della prova testimoniale, in ordine all’orario
di lavoro concretamente osservato, accertamento che peraltro non è suscettibile di essere rivisitato per la preclusione scaturente da <> ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c. nel testo vigente ratione temporis , non avendo parte ricorrente indicato, come suo onere, le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 26774/2019 Cass. n. 19001/2016, Cass. n. 5528/2014), risultando, anzi, dalla motivazione della decisione la piena adesione del giudice di seconde cure all’apprezzamento del materiale probatorio operato dal giudice di primo grado.
6.3. Le censure intese a sollecitare direttamente una diversa valutazione del materiale probatorio sono inammissibili; come chiarito dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. , tra le altre, Cass. n. 7007/2015, Cass. n. 7921/2011, Cass. n.
15693/2004), fermo restando che il giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza tuttavia essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 16467/2017, Cass. n. 1111/2014, Cass. n. 42/2009).
6.4. Le censure che denunziano violazione dell’art. 2722 c.c. presentano un profilo di inammissibilità in quanto non sorrette dall’adeguata esposizione del fatto processuale necessario alla piena comprensione delle censure articolate, come prescritto dall’ art. 366, comma 1 n. 4 c.p.c., e sono comunque superate dalla possibilità per il giudice del lavoro di ammettere ai sensi dell’art. 421 c.p.c. ogni mezzo di prova in deroga ai limiti fissati dal codice alla prova testimoniale, in via generale, negli artt. 2721, 2722 e 2723 cod. civ. (Cass. n. 11926/2004).
6.5. La denunzia di omesso rilievo della nullità del ricorso di primo grado è inammissibile in quanto non sorretta dalla trascrizione o esposizione per riassunto nelle parti di pertinenza del ricorso di primo grado, come, viceversa, necessario al fine di consentire al giudice di legittimità il diretto esame dell’atto e più in generale la verifica di fondatezza delle censure articolate sulla base del solo esame del ricorso per cassazione come, invece, prescritto (Cass. n. 12761/2004, Cass. Sez. Un., n. 2602/2003, Cass. n. 4743/2001).
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in relazione alla dedotta violazione dell’art. 2697 c.c. alla luce di quanto osservato in sede di esame del primo motivo di ricorso (v.§ 6.2.) circa l’accertamento operato dal giudice di merito sulla base delle emergenze probatorie in atti. La Corte di merito ha ritenuto provata sulla base di accertamento istituzionalmente demandato al giudice di merito l’osservanza di un orario giornaliero sempre uguale (vale a dire dalle 13,30 alle 23,30 con un’ora di pausa , per sei giorni alla settimana) ed in questa prospettiva si giustifica l’affermazione della non necessità di una prova rigorosa dello straordinario, affermazione che non si pone in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di relativa allegazione e prova ( ex plurimis, Cass. n. 16150/2018), ma, come esplicitato in sentenza, vuole solo dire che a fronte della durata giornaliera della prestazione di lavoro, uguale nell’intero periodo, non si richiedeva che fossero dettagliati i giorni e le ore lavorate in eccedenza per la configurabilità dello straordinario.
7.1. In relazione alle deduzioni di violazione dell’art. 112 c.p.c. occorre premettere che il vizio di ultra ed extra petizione ricorre solo quando il giudice pronunzia oltre i limiti delle domande e delle eccezioni non rilevabili d’ufficio fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, mentre al di fuori di tali specifiche previsioni il giudice, nell’esercizio della sua potestas decidendi, resta libero di individuare l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronunzia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle all’uopo prospettate, in quanto ciò attiene all’obbligo inerente all’esatta osservanza della legge, che il giudice deve conoscere
e applicare (art. 113 c.p.c.).( Cass. 29200/2018, Cass. n. 6945/2007, Cass. n. 9887/1998). Avuto, poi, specifico riguardo alle circostanze di fatto che possono essere poste a fondamento di una domanda o di una eccezione, affinché la modifica o la sostituzione di tali fatti possa concretare la violazione dell’art. 112 c.p.c. è necessario che i medesimi abbiano natura costitutiva della fattispecie integrante la domanda o l’eccezione; di talché introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, si alteri l’oggetto sostanziale dell’azione o dell’eccezione ed i termini della controversia.
7.2. Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad
un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (Cass. n. 28072/2021, Cass. 15367/2014) .
7.3. Tali oneri non sono stati osservati dall’odierna parte ricorrente nella illustrazione delle censure e tanto assorbe la necessità di esame nel merito della dedotta violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato. E’ noto, infatti, che secondo recenti arresti di questa Corte, ai quali si ritiene di dare continuità, quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (cfr. tra le altre, Cass. Sez. Un. n. 8077/2012, Cass. n. 2530872014, Cass. n. 8069/2016).
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto la denunzia di ultrapetizione con riferimento alla deduzione di accertamento di un orario di lavoro superiore alle richieste non è sorretta dalla trascrizione degli atti di riferimento ed in particolare dalla trascrizione della domanda di primo grado del
lavoratore nelle parti di pertinenza per cui trova applicazione la giurisprudenza sopra richiamata (v. § 7.3.).
Il quarto motivo di ricorso deve essere respinto sia pure sulla base di una motivazione non coincidente in diritto con quella fatta propria dalla Corte distrettuale.
9.1. La sentenza impugnata nell’escludere il maturarsi della prescrizione del credito retributivo azionato ha dichiaratamente preso in considerazione la disciplina dettata dal d. lgs n. 23/2015. Ciò tuttavia senza tenere conto che il regime di tutela in concreto applicabile per l’ipotesi di licenziamento -al quale è connesso il regime della prescrizione- doveva essere modulato in ragione della data di instaurazione del rapporto di lavoro (secondo quanto peraltro espressamente previsto dall’art. 1 d. lgs. n. 23/2015), che la sentenza impugnata ha accertato essere iniziato il 4 aprile 2012. Ciò posto deve escludersi comunque il maturarsi della prescrizione in ragione dell’effetto sospensivo connesso al sopravvenire, a partire dalla data di relativa entrata in vigore, della tutela sancita dalla legge n. 92/2012 (v. Cass., n. 26246/2022), con la conseguenza che, essendo il rapporto iniziato il 4 aprile 2012, alla data de ll’entrata in vigore della legge n. 92/2012, cit. (ossia il 18 luglio 2012) nessuna prescrizione poteva dirsi maturata.
10. Il quinto motivo è inammissibile
10.1. Il motivo è infatti privo di pertinenza con le ragioni della decisione posto che il tema della giusta causa di dimissioni del lavoratore non è stato specificamente affrontato dalla sentenza impugnata né emerge che il lavoratore abbia formulato a riguardo una specifica domanda.
Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite e la condanna della ricorrente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 18 marzo 2025