Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30451 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 30451 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17249-2024 proposto da:
NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 26/2024 della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 23/01/2024 R.G.N. 11/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/06/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il signor NOME, ex medico condotto transitato nei ruoli dell’RAGIONE_SOCIALE , agiva in giudizio per l’accertamento dell’illegittimità dell’ordine di servizio n. 4573/2010 (mediante il
Oggetto
MEDICO EX CONDOTTO DIFFERENZE RERTIBUTIVE
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 18/06/2025
CC
quale l’RAGIONE_SOCIALE, dopo un iniziale aumento delle ore settimanali da 10 a 36, le aveva ridotte a 20) e la condanna dell’RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle differenze retributive maturate per l’attività lavorativa svolta oltre il normale orario di lavoro dal 1 luglio 1998 al luglio 2010; in subordine, nel caso di accertata legittimità dell’ordine di servizio, chiedeva il riconoscimento del trattamento retributivo maturato per l’attività svolta per 28 ore settimanali e, quindi, oltre il normale orario di 20 ore fissato nel predetto ordine; inoltre, chiedeva il risarcimento del danno patrimoniale e non, nonché il riconoscimento alla ricostruzione economica della carriera e il trattamento economico per le attività non ricomprese in quelle di ex medico condotto.
Il Tribunale rigettava il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE accoglieva solo il motivo di gravame sulla condanna alle spese, rigettando per il resto l’ impugnativa.
Per quel che è di interesse in questa sede, la Corte distrettuale dichiarava la sussistenza del giudicato interno in ordine a tutte le domande volte a contestare l’attribuzione dell’orario di lavoro in misura inizialmente di 36 e successivamente di 28 ore settimanali e le connesse domande riguardanti il riconoscimento del maggior trattamento retributivo connesso all’orario lavorativo effettivamente espletato, comprese le indennità relative al servizio di pronta disponibilità e reperibilità svolto oltre il normale orario di lavoro nonché il risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali.
Conseguentemente, la Corte territoriale limitava la propria competenza a decidere esclusivamente sull’impugnazione dell’ordine del giorno n. 4573 del 1° luglio 2010 sulla quale il
giudice amministrativo si era dichiarato privo di giurisdizione e sulle richieste connesse.
Sulla scorta della giurisprudenza amministrativa richiamata la Corte muoveva dall’assunto che i medici ex condotti fossero divenuti a tutti gli effetti dipendenti delle RAGIONE_SOCIALE in possesso di uno status non diverso da quello di tutti gli altri dipendenti sanitari, per cui non risulterebbe giustificata la previsione di trattamenti economici differenziati rispetto ai medici ospedalieri.
Ciò posto, la Corte riteneva applicabile a detta categoria la disciplina contenuta nell’articolo 28 del DPR n. 348/1983, secondo cui il professionista che non ha operato la scelta tra il tempo pieno ed il tempo definito, come nel caso che ci occupa, è tenuto a seguire l’orario lavorativo di 10 o 20 ore settimanali a seconda del massimale di scelta di medicina generale. Nel caso di specie, l’ordine di servizio impugnato rappresentava che l’odierno ricorrente aveva un massimale di scelta inferiore a 900 pazienti, per cui allo stesso spettava l’orario di lavoro di 20 ore settimanali. Conseguentemente, la Corte di merito respingeva la domanda attesa la legittimità dell’ordine di servizio impugnato.
Proponeva ricorso per cassazione il signor COGNOME con sei motivi di censura cui resisteva con controricorso l’amministrazione.
Il ricorrente depositava, altresì, memoria tardivamente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, preso atto che la memoria di parte ricorrente è stata depositata il 7 giugno 2025, ritiene il collegio ammissibile il predetto deposito della memoria, seppur tardivo, in considerazione degli accertati disguidi telematici di cancelleria nella giornata di venerdì 6 giugno 2025.
2. Ciò premesso, con il primo motivo si lamenta la violazione dell’art. 132 , comma 2, n. 4 c.p.c., dell’art. 111 , comma 6, Cost. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. per apparenza, manifesta ed irriducibile contraddittorietà, illogicità della sentenza d’appello, in ordine all’individuazione dell’oggetto dell’indagine giudiziaria ed alla statuizione sull’orario di lavoro cui era tenuto il ricorrente, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c..
In particolare, il ricorrente eccepisce una palese contraddizione fra quanto affermato nella sentenza di primo grado e quella di appello che, pur affermando di limitare la propria indagine alla legittimità dell’ordine di servizio , si pronuncia, altresì, sulle richieste connesse che precedentemente aveva ritenuto coperte da cosa giudicata.
3. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato. In primo luogo, va evidenziato, da un lato, che il giudicato affermato dalla Corte distrettuale ha ad oggetto le sole domande riguardanti il periodo antecedente all’ordine di servizio del 2010 e, dall’altro , la pronuncia impugnata non riveste alcun carattere di contraddittorietà, nella misura in cui, avendo ritenuto legittimo l’ordine di servizio del 1 luglio 2010 , non si è pronunciata sul diritto alle differenze retributive per il lavoro svolto in eccedenza, nonché sulle domande subordinate che, comunque, presupponevano una illegittimità dell’ordine di servizio. Ne consegue che coerentemente la Corte, avendo ritenuto legittimo l’ordine di servizio indicato, non si è pronunciata sul diritto alle differenze retributive per il lavoro svolto in eccedenza nonché sulle domande subordinate che comunque supponevano una illegittimità dell’ordine di servizio; inoltre la Corte ha avuto modo di precisare che, su tutte le domande avanzate inizialmente con il ricorso del 1997, riassunte dinanzi al TAR,
era intervenuto il giudicato amministrativo (v. pag. 11 della sentenza).
A fronte di questa affermazione il ricorso si palesa del tutto privo di autosufficienza, in mancanza di trascrizione del ricorso proposto dinanzi al Tar e per il quale è intervenuta la sentenza 1189/2023 dell’11 aprile 2023 . La sentenza è dunque coerente e priva di illogicità, né si ravvisa alcuna violazione del diritto di difesa.
Con il secondo motivo si eccepisce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., dell’art. 324 c.p.c., dell’art. 11 comma 2, c.p.a., dell’art. 59, comma 2, Legge 69/2009, dell’art. 50 c.p.c. in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto sussistente il ‘giudicato interno’, non considerando la diversa questione trattata, la tempestiva riassunzione del giudizio precedentemente introdotto al TAR e l’intervenuta modificazione antecedentemente alla decisione n. 1982/2011 del TAR di Catania.
In particolare, si contesta la decisione della Corte di appello nella parte in cui ha erroneamente ritenuto che’ su tutte le domande avanzate inizialmente con il ricorso lavoristico del 1997 successivamente riassunta innanzi al Tar si sia formato il giudic ato a seguito di rigetto nel merito’.
Il motivo è inammissibile.
La censura non si confronta col decisum che ha espressamente limitato il giudicato agli ordini di servizio precedenti quello del 2010, per cui le domande riguardanti i precedenti ordini di servizio sono coperte dal giudicato avendo il Tar ritenuto la legit timità dei pregressi provvedimenti riguardanti l’orario lavorativo del signor COGNOME.
La pronuncia della Corte territoriale ha limitato, pertanto, in modo corretto la propria indagine all’ultimo ordine di servizio su cui la corte ha motivato non già per effetto del giudicato, ma sulla scorta della applicazione alla fattispecie dell’art. 28del DPR n. 348/1983.
Il profilo di censura che contesta il passaggio in giudicato del dictum del giudice amministrativo in quanto non tiene conto della circostanza che il giudicato interno rilevato dalla corte di RAGIONE_SOCIALE non è quello conseguente al giudizio su cui vi è stata la sentenza di perenzione del consiglio di giustizia amministrativa bensì quello del Tar ed in particolare la sentenza n. 1982/2011 avente ad oggetto i precedenti ordini di servizio giudicati in via definitiva legittimi. In conclusione, la riassunzione del giudizio dinanzi al giudice ordinario ha pertanto riguardato solo l’ordine di servizio del 2010 su cui la corte si è pronunciata.
Va, comunque, rilevato il difetto di autosufficienza del motivo di ricorso atteso che non viene trascritta la sentenza del Tar di cui si contesta l’ambito e l’estensione del giudicato.
5. Con il terzo motivo si eccepisce la nullità della sentenza per violazione delle norme di diritto, dei contratti e degli accordi collettivi nazionali di lavoro in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto ‘legittimo’ l’ordine di servizio n. 4573 del 01.07.2010 e ciò in violazione dell’art. 28, comma 3, DPR n. 348/1983, dell’art. 110 DPR n. 270/1987 e del D.M n. 503/1997.
La Corte distrettuale avrebbe omesso completamente rivalutare che l’articolo 28 del DPR 348/83 stabilendo al primo comma che ‘in sede di primo inquadramento il personale non proveniente dagli ex enti ospedalieri è ammesso a rapporto a tempo pieno o a tempo definito, successivamente al terzo comma precisa che al personale sanitario di sanitario medico di ruolo alla data del
presente accordo (il ricorrente era già medico di ruolo dal 1979) e non di ruolo alla data del 1 gennaio 1982 in posizione di ex medico condotto è consentito l’accesso al servizio di dipendenza per un numero di ore non inferiore a 10 ore settimanali’.
La Corte di appello non avrebbe valutato il fatto che dal 1983 fino al 1995 il ricorrente era stato legittimamente comandato a svolgere attività lavorativa per 10 ore settimanali pur avendo un di 800 assistiti.
Conseguentemente, l’odierno ricorrente non avrebbe potuto essere destinatario del contenuto della tabella esemplificativa di cui all’articolo 28 utilizzata dalla Corte territoriale in quanto: a) alle dipendenze dell’RAGIONE_SOCIALE già dal 1983 con orario di lavoro per 10 ore settimanali; b) la stessa tabella esemplificativa era diretta solo per i medici ex condotti ammessi al rapporto di lavoro ad orario ridotto mentre il dottor idone nel 2010 da anni risultava medico ex condotto ammesso al rapporto lavorativo part time con trattamento onnicomprensivo ex art 110 DPR 270/1987.
Il motivo è inammissibile.
L’odierno ricorrente fa valere circostanze di cui non vi è traccia nella sentenza impugnata ed in particolare il fatto che avesse lavorato alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE già dal 1983 con orario di lavoro per 10 ore.
Tale circostanza fattuale non si rinviene nella sentenza della Corte distrettuale e comunque confligge con quanto accertato in via definitiva dal giudice amministrativo con riferimento agli ordini di servizio comportanti l’innalzamento dell’orario lavorativo dapprima a 36 e successivamente a 28 ore.
Con il quarto motivo si deduce la violazione art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sul motivo di appello contraddistinto al capo sub D) in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., che
censura l’erroneo rigetto delle domande subordinate di riconoscimento del diritto alle differenze retributive per il lavoro svolto in eccedenza rispetto alle 20 ore indicate nell’ordine di servizio n. 4573/2010 e condanna dell’RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle stesse, avendo svolto attività per 28 ore settimanali in esecuzione del precedente ordine di servizio 10450/1995.
Anche tale censura non coglie nel segno essendosi la Corte distrettuale pronunciata, ritenendo infondata ogni domanda relativa a differenze retributive afferenti ai pregressi ordini di servizio in virtù della formazione del giudicato interno.
D’altra parte, la differenza di orario da osservare pari a 20 ore settimanali è collegata all’impartizione dell’ordine di servizio del 2010 che non ha alcuna valenza retroattiva, vigenti i pregressi ordini di servizio, si ripete, ritenuti legittimi dal g.a.
Il motivo è pertanto infondato.
La censura è comunque priva del carattere dell’autosufficienza non essendo stato trascritto nel ricorso l’ordine di servizio del 2010 ai fini di un’eventuale valutazione della sua applicabilità anche per il passato; in ogni caso non viene trascritto con esattezza il motivo di appello che non sarebbe stato esaminato dalla corte di merito, per cui anche sotto questo aspetto la censura è comunque inammissibile.
Il quinto motivo lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sul motivo di appello sub E) in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c., che censurava l’erronea dichiarazione di infondatezza ed inammissibilità della domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti dal 01.07.1998 in conseguenza degli illegittimi ordini di servizio. 10. Il motivo è infondato. La corte di merito si è pronunciata sulle domande risarcitorie nella misura in cui ne ha escluso la fondatezza per un verso alla luce del giudicato amministrativo
sui pregressi ordini di servizio e conseguenti domande, per altro in considerazione della legittimità dell’ordine di sevizio del 2010 con conseguente rigetto di ogni domanda conseguente.
Con il sesto ed ultimo motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sul motivo di appello sub F) in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c. con il quale si censurava la illegittimità del provvedimento impugnato per vizio di disparità di trattamento.
Anche tale motivo è infondato atteso che il giudizio di legittimità dell’ordine di servizio comporta implicitamente il rigetto di qualsivoglia censura relativa anche ad una asserita disparità di trattamento.
In conclusione, il ricorso va respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente costituita delle spese di lite che liquida in € 4.500,00 per compensi professionali oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, il giorno 18 giugno 2025.
La Presidente
NOME COGNOME