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Orario di lavoro: il tempo per log-in è retribuito

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14843/2024, ha stabilito che il tempo impiegato dal lavoratore per spostarsi dall’ingresso aziendale alla postazione e per avviare i sistemi informatici rientra a pieno titolo nell’orario di lavoro e deve essere retribuito. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso di una grande società di telecomunicazioni, confermando la nullità della clausola del contratto aziendale che escludeva tale periodo dal computo delle ore lavorate. Si tratta di attività preparatorie essenziali, svolte sotto la direzione del datore di lavoro, e quindi da considerarsi prestazione lavorativa effettiva.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Orario di Lavoro: Il Tempo per Raggiungere la Scrivania e Accendere il PC è Retribuito

Quando inizia effettivamente l’orario di lavoro retribuito? Al momento della timbratura del cartellino all’ingresso dell’azienda o quando si è pienamente operativi alla propria postazione? Questa è una domanda cruciale per molti dipendenti, a cui la Corte di Cassazione ha dato una risposta chiara e definitiva con la recente ordinanza n. 14843 del 28 maggio 2024. La Suprema Corte ha stabilito che il tempo necessario per recarsi dal tornello alla scrivania, accendere il computer ed effettuare il log-in deve essere considerato a tutti gli effetti orario di lavoro e, di conseguenza, retribuito.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine dal ricorso di alcune lavoratrici di una nota società di telecomunicazioni. Le dipendenti chiedevano il riconoscimento come orario di lavoro del tempo intercorrente tra la timbratura del badge all’ingresso e il completamento della procedura di accesso al sistema informatico sulla loro postazione, e viceversa alla fine del turno. Un accordo aziendale, stipulato nel 2013, prevedeva esplicitamente che l’attestazione dell’inizio e della fine della prestazione lavorativa avvenisse tramite la registrazione online sui sistemi informatici, escludendo di fatto dal calcolo retributivo il tempo di percorrenza interna e di preparazione tecnica.
Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello di Milano avevano dato ragione alle lavoratrici, dichiarando la nullità parziale della clausola dell’accordo aziendale e condannando l’azienda al pagamento delle differenze retributive. La società, non accettando la decisione, ha proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso dell’azienda, confermando le sentenze dei gradi precedenti. I giudici hanno chiarito, una volta per tutte, che le attività preparatorie e accessorie alla prestazione lavorativa vera e propria, se necessarie e obbligatorie, rientrano a pieno titolo nell’orario di lavoro.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su principi consolidati del diritto del lavoro, sia a livello nazionale che europeo.

La Definizione di Orario di Lavoro Effettivo

Il punto centrale della decisione riguarda la corretta interpretazione della nozione di orario di lavoro. La Corte ha ribadito che, ai sensi del D.Lgs. 66/2003, per orario di lavoro si intende “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.
Nel caso specifico, dal momento in cui il lavoratore timbra il cartellino e accede alla sede aziendale, egli è già a disposizione del datore di lavoro. Le operazioni successive – camminare fino alla postazione, accendere il computer, inserire le credenziali – non sono una scelta libera del dipendente, ma attività indispensabili e prodromiche all’esecuzione della mansione. Sono attività “eterodirette”, poiché è l’azienda a decidere l’organizzazione degli spazi, la collocazione delle postazioni e le procedure informatiche da seguire. Pertanto, questo tempo non può essere escluso dalla retribuzione.

La Nullità della Clausola Contrattuale e il Principio di Conservazione

L’azienda sosteneva che la clausola sull’orario di lavoro fosse inscindibile dal resto dell’accordo aziendale e che, dichiarata nulla quella, dovesse cadere l’intero patto. La Cassazione ha respinto questa tesi, applicando l’art. 1419 del Codice Civile sulla nullità parziale.
I giudici hanno spiegato che spetta alla parte interessata (in questo caso, l’azienda) provare che non avrebbe concluso l’accordo senza quella specifica clausola. Tale prova non è stata fornita. Inoltre, il secondo comma dello stesso articolo stabilisce che la nullità di singole clausole non comporta la nullità del contratto quando esse sono sostituite di diritto da norme imperative. La definizione legale di orario di lavoro è una norma imperativa che protegge il lavoratore e non può essere derogata in peggio dalla contrattazione collettiva.

Altri Motivi di Ricorso Respinti

La Corte ha giudicato inammissibili anche gli altri motivi di ricorso. In particolare, ha ritenuto che la quantificazione del tempo da retribuire fosse un accertamento di fatto, correttamente svolto dai giudici di merito e non sindacabile in sede di legittimità. Ha infine rigettato l’eccezione di prescrizione, confermando l’orientamento secondo cui, in assenza di un regime di stabilità reale del posto di lavoro, il termine di prescrizione per i crediti retributivi decorre dalla cessazione del rapporto e non in corso di esso.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un importante principio a tutela dei lavoratori. Stabilisce che ogni attività imposta dal datore di lavoro e funzionale alla prestazione lavorativa, svolta all’interno dei locali aziendali, deve essere considerata lavoro effettivo e come tale retribuita. La decisione ha implicazioni significative per tutte quelle realtà aziendali, specialmente di grandi dimensioni, dove il tempo per raggiungere la postazione operativa può essere non trascurabile. Si tratta di un monito per le aziende a rivedere eventuali accordi collettivi che, in contrasto con la legge, escludano dalla retribuzione periodi in cui il lavoratore è già a completa disposizione dell’impresa.

Il tempo che impiego per andare dal tornello d’ingresso alla mia scrivania e accendere il computer è considerato orario di lavoro?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che questo tempo rientra nell’orario di lavoro retribuito. Dal momento in cui si timbra il cartellino, si è a disposizione del datore di lavoro e le attività per raggiungere e rendere operativa la postazione sono necessarie e imposte dall’organizzazione aziendale.

Una clausola del mio contratto aziendale può escludere questo tempo dalla retribuzione?
No. Secondo la sentenza, una clausola di questo tipo è da considerarsi nulla perché viola una norma imperativa di legge, ossia la definizione legale di orario di lavoro, che non può essere modificata in senso peggiorativo per il lavoratore dalla contrattazione.

Se una clausola di un accordo aziendale viene dichiarata nulla, l’intero accordo diventa invalido?
Non automaticamente. La nullità colpisce solo la singola clausola. L’intero accordo viene annullato solo se la parte che ne ha interesse dimostra che quella clausola era essenziale e determinante, cioè che senza di essa l’accordo non sarebbe mai stato stipulato. L’onere della prova, in tal caso, è molto rigoroso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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