Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17706 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 17706 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8042/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in MILANO INDIRIZZO DIG, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
Contro
ISTITUTO NAZIONALE RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 1059/2023 depositata il 15/12/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il PG che ha concluso per il rigetto del ricorso
FATTI DI CAUSA
1.La Corte d’Appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la opposizione proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso l’avviso di addebito notificato dall’INPS per il recupero di differenze sui contributi versati negli anni 2015 e 2016, in relazione alla posizione di due lavoratori dipendenti, sull’assunto della inapplicabilità del massimale contributivo di cui all’articolo 2, comma 18, della legge n. 335/1995 (conseguente all’applicazione del sistema pensionistico contributivo).
Per quanto ancora in discussione, la Corte territoriale dichiarava inammissibile il motivo di appello con il quale la società si doleva del mancato accoglimento da parte del Tribunale della eccezione di decadenza dell’INPS dalla facoltà di iscrizione a ruolo.
Esponeva che il Tribunale aveva qualificato l’eccezione p roposta dalla società come opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. e che la parte avrebbe dovuto proporre, pertanto, ricorso in cassazione.
3.Nel merito, la Corte territoriale riportava la motivazione di un proprio precedente, nel quale si affermava che per la applicazione del massimale contributivo, previsto dalla legge n. 335/1995, occorreva che il lavoratoreavendo i requisiti previsti dall’art.1, comma 12, della stessa legge -manifestasse all’ente previdenziale la propria opzione per il sistema contributivo e che l’ente previdenziale lo ammettesse al beneficio.
Come esposto nello stesso precedente, non era stata manifestata dal lavoratore all’ente previdenziale la volontà di avvalersi della opzione. Non poteva valere una dichiarazione diretta dal lavoratore al datore di lavoro,
peraltro priva di data certa -in quanto il datore di lavoro non era parte del rapporto pensionistico -né potevano valere le denunce individuali delle posizioni contributive inviate dal datore di lavoro all’INPS (denunce UNIEMENS), provenendo da un soggetto non legittimato ed inerendo al mero assolvimento dell’obbligo contributivo.
4.Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la società RAGIONE_SOCIALE articolato in cinque ragioni di censura, cui l’INPS ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.
Il PG ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo di ricorso la società ha denunciato -ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c.la nullità della sentenza per motivazione omessa ed apparente, in violazione dell’articolo 132 n. 4 c.p.c.
Ha esposto che la motivazione costituiva la mera riproduzione di un precedente dello stesso ufficio del tutto inconferente al caso deciso. Nella specie, la questione controversa non concerneva la mancata comunicazione all’INPS da parte dei lavoratori dell’esercizio della opzione per il sistema contributivo né la data certa: la comunicazione di opzione dei due lavoratori era avvenuta con atti del 30 dicembre 2002, pervenuti all’INPS in data 3 gennaio 2003, come risultava dal timbro per ricevuta sui due documenti, che conferiva certezza alla data (documenti 6 e 7 del fascicolo di primo grado). Del pari inconferente era il richiamo alle denunce RAGIONE_SOCIALE, che nessuna delle parti aveva prodotto in causa. In sostanza, l’intera motivazione aveva riguardo a fatti e documenti non riferibili alla causa.
2.Il motivo è infondato.
I fatti di causa sono pacifici e sono indicati dal giudice dell’appello nella parte espositiva della sentenza (pagine 2 e 3 della sentenza impugnata).
Con il primo motivo di appello, sul rigetto del quale verte la censura di omessa motivazione, la società ricorrente contestava la decisione del Tribunale nella parte in cui affermava che i due lavoratori per i quali l’INPS chiedeva la contribuzione non potevano far valere la opzione per il sistema contributivo, poiché quando avevano esercitato detta opzione non avevano maturato la anzianità contributiva di almeno 15 anni richiesta dall’art.1, comma 23, l. n. 335/1995 (avendo l’uno una anzianità di anni 12 e mesi 2, l’altro una anzianità di anni 10 e mesi 6). La questione posta dall’appello era, dunque, una questione di mero diritto ovvero la possibilità per il lavoratore di esercitare l’opzione per il sistema pensionistico contributivo -di cui all’art.1, comma 23, l. n. 335/1995 (anche) prima di aver raggiunto l’anzianità contributiva di 15 anni.
2.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (per tutte: Cass. 19 gennaio 2023, n.1638), la mancanza di motivazione su una questione di diritto rimane irrilevante in caso di esatta soluzione del problema giuridico. Si è infatti affermato che in tal caso la Corte di cassazione -in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2 -ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione, anche a fronte di un error in procedendo , quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto.
Orbene, nella fattispecie la questione oggetto del primo motivo di appello è di puro diritto e la soluzione adottata dalla Corte di merito è corretta, come si dirà nell’esame del secondo motivo del ricorso in cassazione, sicché deve procedersi alla correzione della motivazione della sentenza impugnata.
Il suddetto secondo motivo di censura è proposto -ai sensi dell’articolo 360 n. 2 ( rectius n. 3) c.p.c. -per violazione della legge n.
335/1995, anche a seguito della errata interpretazione della circolare INPS del 4 gennaio 2013.
Si sostiene che il lavoratore possa esercitare la opzione per il sistema contributivo anche prima della maturazione dei 15 anni di anzianità contributiva richiesti dalla legge (art.1, comma 23, l. n. 335/1995) e che, in tale ipotesi, la opzione acquisterebbe efficacia in un momento successivo, al raggiungimento dei 15 anni di contribuzione. Tanto sul rilievo che l’opzione, una volta esercitata, è irrevocabile (come esposto anche dall’INPS nella circolare richiamata nella rubrica del motivo). Sulla base di tale interpretazione, la società negli anni 2015 e 2016 avrebbe versato correttamente i contributi applicando il massimale contributivo (come previsto dall’art. 2, comma 18 l. n. 335/1995 per i lavoratori interamente soggetti al sistema contributivo, anche a seguito di opzione) atteso che i due dipendenti avevano raggiunto a quell’epoca i 15 anni di contribuzione.
4. Il motivo è infondato.
E’ noto che la l. n. 335/1995, articolo 1, nell’introdurre dal 1^ gennaio 1996 il nuovo sistema di calcolo contributivo della pensione, ha preso in esame, ai commi 12 e 13, la posizione dei lavoratori che già avevano una anzianità contributiva alla data del 31 dicembre 1995.
In particolare, il comma 12 disciplina la posizione dei lavoratori (iscritti nell’assicurazione generale obbligatoria e nelle forme sostitutive ed esclusive della stessa) che al 31 dicembre 1995 avevano un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni: per detti lavoratori il calcolo del trattamento pensionistico avviene secondo il principio del pro rata , con la distinzione di due quote, in modo che le anzianità contributive maturate al 31.12.1995 restino liquidate con il sistema retributivo.
Il successivo comma 13 considera, invece, i lavoratori con anzianità contributiva alla data del 31.12.1995 di almeno 18 anni e dispone che la pensione resti in tal caso liquidata interamente con il sistema retributivo.
Il comma 23 del medesimo articolo 1, qui rilevante, al secondo periodo, ha introdotto la facoltà dei lavoratori di cui ai precedenti commi 12 e 13 -e cioè i lavoratori la cui pensione sia liquidata con il sistema retributivo, pro rata (comma 12) o interamente (comma 13) -di optare per la liquidazione della intera pensione con il sistema contributivo «a condizione che abbiano maturato un’anzianità contributiva pari o superiore a quindici anni di cui almeno cinque nel sistema medesimo».
L’ articolo 2, comma 1, del d.l. 28 settembre 2001, n. 355, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 novembre 2001, n. 417, ha in seguito interpretato autenticamente il predetto periodo, stabilendo che esso:
«si interpreta nel senso che l’opzione ivi prevista è concessa limitatamente ai lavoratori di cui al comma 12 del predetto articolo 1 che abbiano maturato un’anzianità contributiva pari o superiore a quindici anni, di cui almeno cinque nel sistema contributivo».
La norma ha, dunque, modificato la platea dei lavoratori che possono effettuare l’opzione, limitandola ai soli destinatari del sistema misto (comma 12 dell’articolo 1).
La questione posta dal ricorso riguarda la validità della opzione per il sistema contributivo manifestata dal lavoratore soggetto al sistema misto in un momento in cui non abbia ancora maturato la anzianità contributiva di 15 anni.
Come esposto nell’esame del primo motivo, è pacifico tra le parti, infatti, che entrambi i lavoratori, alla data di opzione (il 3 gennaio 2003) non raggiungevano i 15 anni di contribuzione.
L’assunto della società ricorrente, che deduce la validità di tale opzione e la sua temporanea inefficacia, non è corretto.
La maturazione di un’anzianità contributiva di almeno 15 anni, secondo il disposto testuale dell’articolo 1, comma 23, secondo periodo, l. n. 335/1995 («Ai medesimi lavoratori è data facoltà di optare a condizione che abbiano maturato un’anzianità contributiva pari o superiore a quindici anni…») costituisce una condizione di esercizio della opzione e non una mera condizione di efficacia.
Allo stesso modo l’articolo 2, comma 1, d.l. n. 335/2001 statuisce che: «l’opzione ivi prevista è concessa limitatamente ai lavoratori che abbiano maturato un’anzianità contributiva pari o superiore a quindici anni …».
La anzianità contributiva minima è, cioè, elemento costitutivo del diritto di opzione, come risulta sia dal fatto che la condizione si riferisce alla facoltà stessa di opzione -e non alla produzione dei suoi effetti -sia dall’ utilizzo, tanto nel citato comma 23 dell’articolo 1 che nella norma di interpretazione autentica, del tempo passato «abbiano maturato», indicativo di una contribuzione già accreditata alla data della opzione.
La ratio della disposizione è quella di dare certezza, sin dal momento della opzione, del regime contributivo e pensionistico applicabile al lavoratore.
Dal rigetto del secondo motivo di ricorso deriva l’assorbimento del terzo, con il quale si torna a denunciare la violazione ed errata interpretazione della l. n. 335/1995 nonché del d.l. n. 355/2001, censurando la sentenza per avere ritenuto necessario un provvedimento dell’INPS di accoglimento della opzione, giacché è autonomamente decisivo, nel senso del rigetto della opposizione all’avviso di addebito il principio affermato in questa sede, secondo cui il requisito della maturazione di almeno 15 anni di contribuzione è fatto costitutivo del diritto di opzione di cui all’articolo 1, comma 23, secondo periodo, l. n. 335/1995 ed all’articolo 2, comma 1, d.l. n. 335/2001 e non mera condizione di efficacia.
Il quarto mezzo lamenta la violazione ed errata interpretazione dell’articolo 617 c.p.c. in relazione al d.lgs. n. 48/1999. Si censura la dichiarazione di inammissibilità del motivo di appello con il quale la società contestava la statuizione resa dal Tribunale sull’ eccepita articolo 25 d.lgs. n.
decadenza dell’INPS dall’ iscrizione a ruolo ( ex 46/1999).
La società assume che la eccezione non si qualifica come opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. ma come opposizione alla esecuzione ex art. 615 c.p.c. Inoltre, si invoca la giurisprudenza secondo cui quando con un unico atto sono proposte sia ragioni di opposizione alla esecuzione che ragioni di opposizione agli atti esecutivi si applica il termine previsto per l’opposizione di meritoex art. 24, comma 5, d.lgs n. 46/1999 -e non il termine per la opposizione agli atti esecutivi, richiamato dal successivo articolo 29, comma 2.
8. Il motivo è infondato.
Come risulta dalla sentenza impugnata, il Tribunale aveva qualificato la domanda diretta a far valere la decadenza dell’INPS come opposizione agli atti esecutivi, dichiarandola per tale ragione tardiva.
Correttamente la sentenza impugnata ha dichiarato inammissibile l’appello della società, richiamando i principi enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte. Va in questa sede ribadito il consolidato principio giurisprudenziale (per tutte: Cass. 23 aprile 2024, n.10868 e giurisprudenza ivi citata) secondo il quale l’identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere fatta in base al principio dell’apparenza, e cioè con riferimento esclusivo alla qualificazione dell’azione effettuata dal giudice che ha emesso il provvedimento, sia essa corretta o meno (sempre che si tratti di una consapevole scelta del giudice -come nella specie è indiscutibile essendone derivata la dichiarazione di tardività della opposizione -e non di una affermazione generica). Con specifico riferimento alla decisione emessa su un’opposizione esecutiva, la stessa è dunque impugnabile con l’appello se l’azione è stata qualificata come opposizione all’esecuzione, mentre è esperibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., qualora l’azione sia stata definita come opposizione agli atti esecutivi.
La società ricorrente contesta la qualificazione della opposizione data dal Tribunale senza confrontarsi con le ragioni di inammissibilità
dell’appello esposte nella sentenza impugnata. Richiama, inoltre, giurisprudenza di questa Corte non conferente, perché relativa alla diversa questione dei termini per introdurre il giudizio di opposizione a cartella esattoriale nel primo grado.
La quinta critica è proposta -ai sensi dell’articolo 360 n. 5 c.p.c.per omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio, consistente nel contenuto dei messaggi ricevuti dall’INPS in esito ai ricorsi proposti in via amministrativa che, secondo la parte ricorrente, avrebbe natura confessoria (si dava atto che non erano dovute differenze di contribuzione).
11.La censura è infondata.
Il fatto pretesamente non esaminato difetta del requisito della decisività, giacché il diritto alla riscossione dei contributi è un diritto indisponibile e, come tale, non può essere oggetto di confessione, ai sensi dell’articolo 2731 c.c.
In conclusione, il ricorso deve essere nel complesso respinto.
Le spese del giudizio di cassazione si compensano, in ragione della correzione della motivazione della sentenza impugnata disposta da questa Corte ex art. 384 c.p.c.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 9 aprile 2025