Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 495 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 495 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19754-2019 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro
Oggetto
R.G.N. 19754/2019
COGNOME
Rep.
Ud.28/11/2024
CC
tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 835/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 20/12/2018 R.G.N. 861/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
28/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
COGNOME NOME impugna la sentenza n. 835/2018 della Corte d’appello de L’Aquila che, in accoglimento del gravame proposto da Agenzia delle Entrate – Riscossione ed INPS, ha dichiarato inammissibile la sua opposizione a cartella di pagamento.
Emerge dalla sentenza che il Tribunale di Avezzano aveva accolto l’opposizione dichiarando che i crediti portati nella cartella si erano prescritti successivamente alla notifica della stessa.
La Corte territoriale, precisando che non erano in contestazione né la notifica della cartella, in data 9 maggio 2006, né la mancata opposizione della stessa nei 40 gg. di cui all’art. 24 del d.lgs. n. 46/1999 (essendo il ricorso in opposizione stato depositato il 17 settembre 2014), ha ritenuto, di conseguenza, impossibile esaminare le questioni attinenti al merito della pretesa contributiva (compresa la prescrizione maturata anteriormente alla notifica della cartella) ed ha concluso che, parimenti, non po teva essere vagliata l’eccezione di prescrizione maturata successivamente alla notifica della cartella, poiché era
maturata la decadenza, non essendo stati impugnati eventuali successivi atti di riscossione.
COGNOME NOME propone quattro motivi di censura.
Resiste ADER con controricorso, dando atto che, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del d.l. n. 119/2018, convertito nella legge n. 136/2018, i debiti sino a 1.000,00 euro affidati alla riscossione sono stati annullati con conseguente discarico dei ruoli (e riduzione della pretesa residua esigibile) e chiedendo la declaratoria di estinzione parziale del giudizio limitatamente alle partite di ruolo ‘composte da una o più voci di debito interessate dalla norma’ ai sensi dell’art. 46 d.lgs. n. 546/1992.
INPS ha depositato controricorso, insistendo per la inammissibilità dei motivi.
A seguito di richiesta di decisione depositata dal ricorrente nei confronti della proposta di definizione accelerata del presente giudizio, è stata fissata l’odierna adunanza camerale, nella quale il collegio ha riservato il termine di 60 giorni per il deposito del presente provvedimento.
CONSIDERATO CHE
Tuzi Francesco censura la sentenza sulla base di quattro motivi. I)Violazione e falsa applicazione dell’art. 111, comma 6, Cost., dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.), omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), in quanto la Corte non avrebbe di fatto motivato la decisione in ordine alla impossibilità di vagliare la prescrizione successiva alla notifica della cartella.
II)Nullità della sentenza e del procedimento (art. 360 n. 4 cod. proc. civ.), violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 345 e 346 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ. (360 n. 3 cod. proc. civ.), poiché la Corte non avrebbe dovuto statuire sulle questioni
relative alla tardività del ricorso ed alle questioni anteriori alla formazione della cartella non essendo state devolute.
III)Nullità della sentenza e del procedimento (art. 360 n. 4 cod. proc. civ.), violazione e falsa applicazione dell’art. 111, comma 2, Cost. e dell’art. 101 cod. proc. civ. , per avere la Corte deciso la controversia sulla base di una questione rilevata d’ufficio e non oggetto di discussione tra le parti, ovverosia la tardività dell’opposizione e la eventuale mancanza di interesse ad agire in capo all’opponente.
IV)Violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 615 cod. proc. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.), omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), consistente nella reiterata proposizione, da parte del ricorrente, di numerose istanze in autotutela volte ad ottenere lo sgravio della cartella e rimaste senza esito, che sarebbero la dimostrazione della sussistenza dell’interesse ad agire.
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo denuncia, in primis, una insufficienza motivazionale che non si riscontra.
Va, al proposito, richiamato il principio consolidato in forza del quale, «in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti
perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali» (Cass. n.7090/2022 ex plurimis ).
Nel caso di specie, la doglianza proposta per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. non coglie nel segno, poiché dalla lettura della parte motiva della sentenza impugnata si evincono con chiarezza la ratio decidendi ed il percorso motivazionale seguito dalla Corte, che ha interpretato la domanda come volta esclusivamente a far valere fatti estintivi del credito portato in cartella ed ha giudicato tardiva la domanda perché proposta oltre il termine di cui all’art. 24 del d.lgs. n. 46/1999.
Dopo aver ‘premesso che oggetto di opposizione è esclusivamente la cartella n…. Tanto si desume dal complessivo tenore letterale del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e dalla sua intestazione, in cui si indica espressamente che il ricorso è teso solo ed esclusivamente ad accertare e dichiarare non dovute ‘le somme portate nella cartella impugnata’ e, per l’effetto, ‘ad annullare la stessa cartella perché nulla/illegittima’, la Corte ha precisato , in punto di fatto, che non erano in contestazi one né l’avvenuta rituale notifica della cartella, in data 9 maggio 2006, né la mancata proposizione dell’opposizione nel termine di 40 gg di cui all’art. 24 cit., di tal chè ‘non sono esaminabili in questa sede questioni attinenti al merito della pretesa ed alla prescrizione dei crediti maturata anteriormente alla notifica della cartella’.
Peraltro, «l’accertamento della tempestività dell’opposizione ex art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 46 del 1999 involge la verifica di un presupposto processuale quale la proponibilità della domanda e va, pertanto, eseguito d’ufficio, anche a prescindere
dalla sollecitazione delle parti (Cass. n. 19226 del 19/07/2018, Cass. n. 21153 del 07/08/2019)» (Cass. n. 31282/2019).
La Corte ha, poi, ritenuto che non potesse essere valutata neppure l’eccezione volta a far valere la prescrizione maturata nella fase successiva alla notifica della cartella di pagamento, proprio perché oggetto del giudizio era la sola opposizione a detto titolo e non erano stati allegati eventuali atti successivi di riscossione, ‘in ordine ai quali l’opponente nel ricorso introduttivo non ha speso una sola parola’.
La sentenza, così facendo, pur non esplicitandolo, ha concluso che difettasse l’interesse ad agire, poiché era stata impugnata la sola cartella (dalla cui impugnazione il ricorrente era decaduto).
A ciò si legano il secondo, terzo e quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente per l’intima connessione che li unisce, che sono inammissibili.
Vengono lamentati plurimi errores in procedendo non illustrati nel rispetto del principio di specificità, che richiede la trascrizione delle parti essenziali degli atti e dei documenti.
Le doglianze sviluppate in ricorso non posseggono il descritto grado di completezza poiché, nel lamentare che il tema della prescrizione maturata in epoca successiva alla notifica della cartella non era stato devoluto con l’atto di appello, non riproducono il gravame neppure nelle parti essenziali, con la conseguenza che il motivo non consente di apprezzare la decisività dei rilievi mossi e le censure si pongono in contrasto con l’onere di completezza richiesto dall’art. 366 cod. proc. civ., onere che, riferito alla puntuale indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda, non può ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso non riassuma adeguatamente il contenuto
degli atti medesimi nelle parti necessarie a soddisfare il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione.
Peraltro, quanto alla sussistenza dell’interesse ad agire, valga quanto afferma, ex multis, Cass. n.32366/2021: «trattandosi di condizione dell’azione, l’assenza dell’interesse ad agire è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, salvo che sul punto non si sia formato un giudicato interno, esplicito o implicito (cfr., ex multis, Cass. nn. 5593 del 1999, 3330 del 2002)».
Il ricorrente sostiene che, sul punto, si era formato il giudicato (avendo il Tribunale accolto l’opposizione quanto alla prescrizione maturata successivamente alla notifica e non essendo stato tale capo oggetto di appello) ma anche in tale parte il motivo difetta di specificità in ordine ai limiti di ciò che è stato devoluto alla Corte d’appello.
Neppure può ritenersi ammissibile il motivo con il quale si lamenta l’omesso esame di un fatto storico decisivo oggetto di discussione fra le parti come richiesto dal novellato art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., inteso dal ricorrente con riferimento alla circostanza ‘delle richieste in autotutela proposte dal ricorrente e della rateizzazione che aveva bloccato ulteriori atti esecutivi’ (pag. 20).
Sul punto giurisprudenza di legittimità uniforme afferma che -come ex multis Cass. n. 21672/2018 -«nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”», non potendo, quindi, integrare gli estremi di detto fatto le ‘plurime ripetute domande’
amministrative proposte (senza esito) in autotutela che, contrariamente all’assunto, non incidono sulla inesistenza dell’interesse ad agire: detto elemento non possiede i caratteri di decisività nel senso preteso in ricorso, considerato che in parte qua l’azione si configura come impugnazione dell’estratto di ruolo, come tale inammissibile in difetto dell’allegazione di uno specifico pregiudizio, nei termini enucleati dal novellato art. 12, comma 4-bis, del d.P.R. n. 602 del 1973. Il contribuente non ha allegato un particolare vulnus, idoneo a sostanziare l’interesse ad agire e il bisogno di una tutela giurisdizionale immediata, secondo tratti distintivi che ricalchino le ipotesi definite dalla legge o siano contraddistinti da caratteristiche affini.
Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, cod. proc. civ., con condanna alle spese in favore di INPS secondo soccombenza, come liquidate in dispositivo.
Non v’è luogo a provvedere sulle spese nel rapporto processuale con l’Agenzia delle Entrate Riscossione. Nei confronti dell’agente per la riscossione, si deve ritenere, difatti, che l’impugnazione sia stata notificata solo per litis denuntiatio , alla stregua dei principi enunciati da Cass., S.U., 8 marzo 2022, n. 7514, in ordine alla spettanza della legittimazione a contraddire al solo ente impositore, titolare della pretesa sostanziale su cui in questo giudizio si sono dispiegate le difese delle parti (in tal senso, ex multis , Cass. n. 26005/2023, n. 15551/2023, n. 10055/2023)
Essendo il giudizio definito in conformità alla proposta non accettata, ai sensi dell’art.380 bis, ult. co., cod. proc. civ. deve applicarsi l’art.96, commi 3 e 4, cod. proc. civ., contenendo l’art.380 bis, ult. co., cod. proc. civ. una valutazione legale tipica
della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte e di una ulteriore somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, secondo quanto statuito da questa Corte a Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 27195/2023 e n. 27433/2023, Cass. n.27947/2023).
Parte ricorrente va dunque condannata a pagare una somma equitativamente determinata in € 2 .000,00 in favore del resistente INPS e di una ulteriore somma di € 2 .000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 -bis del citato D.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente a rifondere ad INPS le spese di lite del presente giudizio di cassazione, liquidate in €4 .000,00 per compensi, €200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali e accessori di legge;
condanna parte ricorrente a pagare al resistente INPS l’ulteriore somma di €2 .000,00;
condanna parte ricorrente a pagare €2 .000,00 in favore della Cassa delle Ammende;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, attesa la declaratoria di inammissibilità del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 28 novembre