Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19261 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 19261 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 13/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 37907-2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, dott.ssa NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME per procura in atti.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del curatore fallimentare dott.ssa NOME COGNOME
-intimato – avverso il decreto del Tribunale di Patti, depositato in data 14.11.2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/5/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con il decreto impugnato il Tribunale di Patti ha rigettato l’opposizione allo stato passivo presentata da RAGIONE_SOCIALE nei confronti del
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in relazione al provvedimento emesso dal g.d. in data 28.5.2015, con il quale quest’ultimo aveva escluso il credito insinuato per euro 812.000 e fondato sul contratto di vendita di azioni della società ‘Piazza Castello RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE, sul presupposto che ‘il bene di cui al sottostante rapporto obbligatorio (azioni di categoria ordinaria della Piazza Castello RAGIONE_SOCIALE.p.a.) è affetto da un vizio, rilevato dalla curatela insediatesi, costituito dall’assenza di alcun valore patrimon iale della partecipazione acquistata … non consentendo comunque la documentazione integrativa prodotta di attribuire data certa alla cessione’.
Il Tribunale, nella resistenza della curatela fallimentare, ha rilevato ed osservato che: (i) preliminarmente l’opponente non aveva prodotto il ricorso per l’insinuazione al passivo, con la conseguenza che non era possibile ricostruire il contenuto della domanda di insinuazione; (ii) l’opponente non aveva contestato, ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ., quanto statuito nel decreto di esecutività dello stato passivo in ordine al ‘vizio rilevato dalla curatela, ossia all’assenza di alcun valore patrimoniale della partecipazione acquistata’; (iii) l’opponente non aveva dunque preso posizione sull’eccezione di mancanza di valore patrimoniale della partecipazione alienata, con la conseguenza che, per il principio di non contestazione, doveva ritenersi accertato l’assunto della curatela fallimentare; (iv) anche l’ulteriore obiezione sollevata dall’opponente – secondo cui il g.d. non avrebbe tenuto in considerazione la documentazione integrativa prodotta in sede di verifica dello stato passivo – non aveva fondamento, trattandosi di documentazione per lo più non opponibile al curatore, in quanto terzo, rispetto ai rapporti tra la società opponente e la fallita; (v) in relazione, poi, all’atto notarile di compravendita delle azioni, pur essendo un atto avente data certa antecedente al fallimento, esso non provava comunque l’esistenza del credito, come chiesto dall’opponente, posto che con il predetto atto la RAGIONE_SOCIALE aveva venduto alla RAGIONE_SOCIALE le predette azioni per un prezzo di euro 4.000.000,00, mentre il credito -di cui era stata richiesta l’insinuazione al passivo – era diversamente indicato in euro 812.000,00, quale risultante dal bilancio al 31.12.2013 e da alcune missive, peraltro unilateralmente predisposte dall’opponente; (vi) anche l’eccezione
riconvenzionale di invalidità ovvero annullabilità del contratto per conflitto di interessi ovvero per mancanza delle qualità promesse ovvero ancora per dolo era infondata, in quanto la curatela fallimentare si era limitata solo ad allegare le superiori circostanze, senza fornire alcun riscontro probatorio e dunque le relative eccezioni dovevano considerarsi come non provate.
Il decreto, pubblicato il 14.11.2019, è stato impugnato da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Il RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, intimato, non ha svolto difesa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 99 l. fall., sul rilievo che erroneamente il Tribunale avrebbe rilevato il mancato deposito della sua domanda di insinuazione al passivo, necessaria per la ricostruzione del contenuto della domanda stessa, dovendosi al contrario ritenere che, ai sensi dell’art. 99, 2 comma, n. 4, l. fall., era sufficiente per l’opponente l’indicazione del documento necessario alla decisione che, se già depositato nella precedente fase della verifica dei crediti, avrebbe potuto essere oggetto di acquisizione officiosa da parte del Tribunale.
1.1. Il motivo è inammissibile sia perché censura un’affermazione fatta ad abundantiam nel decreto qui impugnato da parte del Tribunale sia perché la doglianza è stata comunque articolata in modo non autosufficiente.
In ordine al profilo da ultimo rilevato, non può sottacersi che se è pur vero che la giurisprudenza di questa Corte è ormai ferma nel ritenere che, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, l ‘ opponente, a pena di decadenza ex art. 99, comma 2, n. 4), l.fall., deve soltanto indicare specificatamente i documenti, di cui intende avvalersi, già prodotti nel corso della verifica dello stato passivo innanzi al giudice delegato, sicché, in difetto della produzione di uno di essi, il tribunale deve disporne l ‘ acquisizione dal fascicolo d ‘ ufficio della procedura fallimentare ove esso è custodito (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12549 del 18/05/2017; Sez. 6-1, Ordinanza n. 25663 del 13/11/2020); è altrettanto vero che la ricorrente, per rendere ammissibile la doglianza così articolata, avrebbe dovuto, invero, indicare, nel ricorso in opposizione allo stato passivo, il documento in questione come legittimamente acquisibile (e
dunque fruibile per la decisione) e, cioè, come documento di cui intendeva avvalersi per la sua difesa, e non già limitarsi ad affermare che lo stesso era stato menzionato nell’atto introduttivo del predetto giudizio oppositivo, così rendendo la censura irrimediabilmente generica.
Così articolata, la doglianza integra, infatti, una deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge espressa in termini meramente astratti e dunque non esaminabili in questo giudizio di legittimità.
Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, sul rilevo che il Tribunale avrebbe omesso di esaminare le ‘note autorizzate’ del 23 febbraio 2016 e le ‘ note di replica ‘ depositate in data 17 marzo 2016.
2.1. Anche il secondo motivo non supera il vaglio di ammissibilità.
Sul punto giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Ciò posto e ricordato, risulta subito evidente come la doglianza articolata dalla ricorrente sia stata dedotta al di fuori del paradigma applicativo, delineato
dall’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (per come perimetrato dalla giurisprudenza di legittimità da ultimo ricordata), non avendo indicato la doglianza stessa il ‘fatto storico’, inteso nel senso già sopra chiarito, nel cui omesso esame sarebbero incorsi i giudici del merito nella formazione del loro convincimento decisorio. La doglianza in esame si è limitata, diversamente, ad indicare mere difese processuali come ‘ fatti ‘ asseritamente non valutati. Ne consegue che la censura non risulta esaminabili nei termini prospettati dalla società ricorrente.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 2704 cod. civ.
3.1. Il terzo motivo è anch’esso inammissibile.
Le doglianze, sebbene articolate sotto l’egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., sollecitano invero questa Corte di legittimità ad un nuovo scrutinio della quaestio facti , e ciò con particolare riferimento al profilo della data certa dei documenti versati in atti e alla conseguente loro opponibilità al fallimento (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017;Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019). Le censure, peraltro, neanche spiegano quale sarebbe il ‘ collegamento ‘ tra i documenti, prodotti in giudizio, di cui la ricorrente asserisce essere stata fornita la prova della data certa e quelli stigmatizzati nel decreto qui impugnato come documenti non opponibili alla curatela fallimentare, tanto ciò è vero che le censure, così genericamente formulate, ricollegano tali documenti al ‘credito’ e non già agli altri documenti depositati di cui avrebbero dovuto fornire, invece, la prova della data certa.
Il quarto mezzo denuncia ‘violazione degli artt. 1, comma 1, L.N., 2699 e 2700 c.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.’ , sul rilievo che il Tribunale avrebbe errato nell’affermare che l’atto notarile di vendita non avesse provato l’esistenza del credito.
4.1. Anche il quarto motivo è inammissibile.
Le censure, infatti, non intercettano la ratio decidendi sulla quale si sorregge argomentativamente il provvedimento qui impugnato. Ed invero, il Tribunale
ha affermato, in relazione alla rilevanza probatoria dell’atto notarile, che con quest’ultimo la RAGIONE_SOCIALE aveva venduto alla RAGIONE_SOCIALE le azioni per un prezzo di euro 4.000.000,00, mentre il credito – di cui era stata richiesta l’insinuazione al passivo – era diversamente indicato in euro 812.000,00, quale risultante dal bilancio al 31.12.2013. Detto altrimenti, la non attendibilità probatoria dell’atto notarile era stata rintracciata dal Tribunale in questa evidente incongruenza nel valore delle azioni, per come emergente dallo stesso atto di vendita.
Ebbene, questa ratio decidendi non è stata espressamente censurata dalla parte ricorrente, così rendendo le ulteriori censure del tutto irrilevanti ai fini della complessiva tenuta argomentativa del provvedimento impugnato.
La ricorrente propone infine un quinto mezzo con il quale deduce violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., sul rilievo che il Tribunale non avrebbe commisurato le spese di lite del giudizio di opposizione allo stato passivo ‘av u to riguardo … all’attività processuale svolta’.
5.1. La doglianza è all’evidenza inammissibile sia perché genericamente formulata, senza l ‘ indicazione di quali fossero i massimi tariffari eventualmente violati nella liquidazione delle spese di lite, sia perché comunque la stessa sollecita un nuovo apprezzamento in fatto sulla quantificazione delle spese di lite, come tale non sindacabile dal giudice di legittimità.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa del fallimento intimato.
Sussistono invece i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma, il 16 maggio 2025