Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 13752 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 13752 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 16307/2023 R.G. proposto da :
COGNOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dall ‘ avvocato COGNOME presso l ‘ indirizzo di posta elettronica certificata del quale sono domiciliati per legge;
-ricorrenti-
contro
COGNOME in proprio e quale procuratrice generale di COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME presso l ‘ indirizzo di posta elettronica certificata del quale è domiciliata per legge;
-controricorrente-
udita la relazione svolta in pubblica udienza dal Consigliere Dott. COGNOME
udito il Procuratore Generale, nella persona del Dott. NOME COGNOME che, richiamate le conclusioni scritte, ha chiesto: in via principale, la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata in relazione ad entrambi i motivi; e, in via subordinata, il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Patti, con sentenza n. 163/2013, condannò NOME e NOME COGNOME al rilascio di un fondo, sito in Acquedolci (ME) in favore di NOME e NOME COGNOME.
La Corte d’appello di Messina riformò la sentenza di primo grado nella sola parte relativa alla disposta decorrenza degli interessi dovuti sull’importo liquidato a titolo di risarcimento del danno; e questa Corte dichiarò inammissibile il ricorso avverso la sentenza della corte territoriale.
In virtù della richiamata sentenza del Tribunale di Patti, nonché a seguito di atto di precetto del 18.06.2016 e di preavviso di rilascio del 22.11.2016, NOME e NOME COGNOME promossero procedura esecutiva di rilascio immobile nei confronti dei COGNOME
Nel novembre 2016, questi ultimi, con ricorso ex art 617 comma 2 c.p.c., proponevano opposizione avverso la procedura esecutiva di rilascio immobile promossa nei loro confronti. Deducevano che: l’esecuzione non avrebbe potuto essere portata a compimento, in considerazione del fatto che molte delle particelle, di cui era stato ordinato il rilascio, appartenevano a terzi (essendo incluse in aree demaniali o intestate ad altri); in particolare, la particella n. 260, posseduta interrottamente da NOME COGNOME era ormai divenuta di proprietà di quest’ultimo per usucapione; c) avevano intenzione di esercitare il diritto di ritenzione del fondo di c/da COGNOME fino a quando non sarebbero state loro corrisposte tutte le migliorie apportate al
fondo e che ciò li legittimava ad opporsi all’esecuzione iniziata nei loro confronti. Concludevano chiedendo la sospensione della esecuzione, o, in subordine, la determinazione ex art 610 c.p.c. delle modalità di esecuzione del rilascio degli immobili, nonché l’improcedibilità del precetto e dell’azione esecutiva fino alla effettiva corresponsione delle indennità per le migliorie agrarie apportate al fondo nella misura da accertare e quantificare in corso di causa.
Il giudice dell’esecuzione, con decreto del 20.11.2016, in ragione dei motivi dedotti dagli opponenti, riqualificava il ricorso quale opposizione all’esecuzione e fissava udienza di comparizione delle parti rigettando allo stato la richiesta di sospensione inaudita altera parte stante la sostanziale identità, prima facie , con altri motivi di opposizione già oggetto di precedente pronunzia.
3. Nel dicembre 2016 con ricorso ex art 617 e/o 615 c.p.c., COGNOME e NOME COGNOME proponevano opposizione avverso: a) il rilascio eseguito dall’Ufficiale Giudiziario in data 22.11.2016 (preavvisato con avviso di rilascio ex art 608 c.p.c. notificato il 3.11.2016) in forza delle ordinanze emesse dal Giudice dell’esecuzione rispettivamente il 31.03.2014 (con l’apposizione in calce alla stessa delle correzioni di errore materiale) e il 18.05.2015; b) il verbale di rilascio e di immissione in possesso redatto dall’UG; c) l’elezione del geometra COGNOME quale ausiliario dell’UG. Eccepivano l’incompatibilità dell’ausiliario nominato dall’Ufficiale Giudiziario per conflitto d’interessi e ne contestavano il corretto operato per le ragioni ivi esposte; eccepivano la nullità e illegittimità del rilascio ed immissione in possesso delle particelle 14 e 17 perché in parte di proprietà del demanio trazzerale su cui le esecutate non avevano alcun titolo. Eccepivano la presenza, sui terreni in concessione ai NOME di animali e di beni mobili deperibili. Chiedevano quindi in via urgente, l’emissione di provvedimenti opportuni, la riedizione delle operazioni di
rilascio e di immissione in possesso, nonché dichiararsi legittima la ricusazione dell’ausiliario geom. COGNOME disponendone la sostituzione.
Con istanza del 20.12.2016 i COGNOME reiteravano l’istanza di adozione di provvedimenti cautelari urgenti in vista dell’accesso del 21.12.2016 anche ai sensi dell’art 610 c.p.c..
Il giudice dell’esecuzione con decreto del 23.12.2016 sospendeva cautelativamente le operazioni di rilascio disponendo l’audizione delle parti, dell’Ufficiale Giudiziario e dell’ausiliario geometra COGNOME riservando all’esito ogni ulteriore decisione.
All’udienza del 13 gennaio 2017 si costituiva in entrambi i giudizi (1970/2016 e 2187/2016) NOME COGNOME, in proprio e quale procuratrice generale di NOME COGNOME depositando memoria con la quale contestava fermamente la fondatezza delle opposizioni e chiedeva la revoca del provvedimento di sospensione, con condanna dei COGNOME al pagamento delle spese dei procedimenti.
Il Giudice dell’esecuzione – sentito l’Ufficiale Giudiziario ed il suo ausiliario; disposta la riunione del giudizio n. 2186/2016 con il 1970/2016 – con ordinanza del 20 maggio 2019 rilevava che non sussistevano esigenze cautelari su cui provvedere, stante il completamento delle operazioni di rilascio degli immobili e di consegna dei terreni, in fase anteriore agli incoati giudizi di opposizione; dichiarava chiusa la fase prodromica camerale, fissando udienza per l’eventuale prosecuzione nel merito.
All’esito di questa, nel contraddittorio delle parti, il Tribunale di Patti, con sentenza n. 69/2023, rigettava le opposizioni, condannando gli opponenti alla rifusione delle spese processuali. In particolare:
riteneva inammissibili tutte le questioni sollevate, afferenti ad asseriti vizi di formazione del titolo esecutivo (concernenti la corretta individuazione delle particelle in sentenza, il frazionamento delle stesse, la ritenuta proprietà, in tutto o in parte, di terze persone o del demanio o degli stessi opponenti per contestata usucapione, gli
invocati diritti di ritenzione), in quanto, per consolidato orientamento giurisprudenziale, con l’opposizione all’esecuzione avverso un titolo giudiziale non possono essere dedotti fatti modificativi ed estintivi del titolo azionato i quali vanno semmai dedotti nel giudizio di cognizione proposto avverso il titolo medesimo dinanzi al giudice del merito; nel caso in esame le questioni oggetto dei motivi di opposizione in esame erano state tutte vagliate dai giudici di merito (in primo grado e in appello) ed erano divenute irrevocabili a seguito di pronunzia di questa Corte di legittimità (che ha dichiarato inammissibile il ricorso contro la sentenza d’appello che aveva confermato – con modificazioni relative al solo quantum risarcitorio – la sentenza azionata in executivis);
riteneva inammissibili le doglianze afferenti alla cattiva gestione delle operazioni da parte dell’Ufficiale Giudiziario e del suo ausiliario, in quanto attenevano alla fase prettamente esecutiva e in quella sede erano state risolte con l’individuazione dei terreni da rilasciare e con l’effettiva immissione in possesso delle aventi diritto da parte dell’Ufficiale Giudiziario;
riteneva infondata la ricusazione promossa avverso l’ausiliario nominato dall’Ufficiale Giudiziario, alla luce delle risultanze emesse a seguito della audizione dell’uno e dell’altro ed apparendo non censurabili le operazioni condotte sotto la guida dell’Ufficiale Giudiziario stesso, che se ne è assunto piena responsabilità, portando a compimento il mandato e concludendo le operazioni con l’immissione in possesso delle aventi diritto dei terreni oggetto della sentenza di rilascio, divenuta poi irrevocabile.
Avverso la sentenza del Tribunale di Patti hanno proposto ricorso per cassazione COGNOME e NOME COGNOME
Ha resistito con controricorso NOME COGNOME in proprio e quale procuratrice generale della sorella NOMECOGNOME
Per l’odierna udienza pubblica il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo la cassazione della sentenza
impugnata in relazione al primo ed al secondo motivo e, in via subordinata, la declaratoria di infondatezza degli stessi.
Il Difensore dei ricorrenti ha depositato memoria a sostegno dell’accoglimento del ricorso, ma nessuno è comparso all’udienza di discussione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare – poiché in memoria i ricorrenti articolano le censure in tre motivi, in luogo dei due motivi proposti in sede di ricorso – giova ribadire che la memoria di cui all’art. 380 bis 1 c.p.c. ha precisi limiti: con essa è possibile illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi proposti con il ricorso e confutare le tesi avversarie, ma non è possibile proporre motivi nuovi o integrare quelli già proposti, introducendone nuove prospettazioni, né sollevare questioni nuove, che non siano rilevabili d’ufficio.
Ciò posto, COGNOME e NOME COGNOME articolano in ricorso due motivi.
2.1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano <> nella parte in cui il Tribunale di Patti, non ponendo in correlazione le dichiarazioni rese dall’ausiliario rispetto alla ricusazione dello stesso conseguente da evidenti ragioni di convenienza, ha respinto la domanda di ricusazione rivolta nei confronti dell’ausiliario sull’errato presupposto che lo stesso, avendo individuato i terreni e proceduto all’immissione in possesso, avesse così adempiuto ai propri doveri.
In particolare, censurano la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice territoriale ha affermato: <>.
Sottolineano che: a) l’ausiliario dell’ufficiale giudiziario, in sede di audizione, aveva confermato di aver eseguito i frazionamenti per una società di cui sapeva essere socio il padre delle RAGIONE_SOCIALE, succedute a titolo universale al predetto comproprietario; b) nel caso di specie era emersa quella ‘ragione di convenienza’ predicate all’art. 51 del c.p.c. co. 2., essendo risultato che l’ausiliario aveva realizzato i frazionamenti dei beni sui quali l’esecuzione era stata condotta.
Si dolgono che il giudice territoriale, fondando la decisione solo ed esclusivamente sulle dichiarazioni rese all’udienza del 13.01.2017, ha omesso di vagliarne il contenuto nella parte in cui l’ausiliario aveva ammesso di aver stretto rapporti economici con la ditta parte in causa (e, in particolare, aveva precedentemente assunto incarico per il dante causa del creditore procedente).
2.2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano <> nella parte in cui il giudice ha omesso di statuire sulla contestazione relativa alla demanialità dei beni da rilasciare, contestazione che era stata da essi mossa in sede di opposizione agli atti esecutivi ex articolo 617 del 14 novembre 2016 in quanto afferente al quomodo dell’esecuzione (e non all’ an dell’esecuzione).
Sostengono che, attraverso l’atto di opposizione del novembre 2016, che riportano per estratto, avevano sottoposto al Tribunale un problema afferente le modalità di esecuzione delle operazioni di rilascio, le quali non potevano essere effettuate rispetto ad un bene non riconducibile della ditta procedente ma, viceversa, risultante appannaggio del demanio.
Si dolgono che rispetto a detta doglianza, che rientrava nell’ambito dei motivi previsti dall’art. 617 comma 2 c.p.c., il Tribunale ha preferito trincerarsi dietro il giudicato ex articolo 2909 cod. civ..
Sostengono altresì che, attraverso l’atto di opposizione del dicembre 2016, che pure riportano per estratto, avevano evidenziato l’impignorabilità dei beni in oggetto ed osservano che anche tale eccezione andava ricondotta nell’alveo normativo dell’art. 617 c.p.c.
In definitiva, secondo i ricorrenti, il Tribunale avrebbe dovuto pronunciarsi circa la correttezza o meno delle modalità di esecuzione insistenti su un bene non appartenente al creditore procedente, ponendo in raffronto tra loro gli elementi documentali da essi prodotti dai quali emergeva il rapporto corrente con l’Assessorato rispetto alle particelle sulle quali veniva condotta l’azione esecutiva.
La sentenza impugnata va cassata senza rinvio in relazione al primo motivo.
È consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio (affermato ad es. da Cass. n. 3030/1992, n. 7674/2008, n. 19573/2015, n. 5175/2018) per cui il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi, di cui all’art. 617 cod. proc. civ., è esperibile soltanto contro atti riferibili al giudice dell’esecuzione, il quale è l’unico titolare del potere di impulso e controllo del processo esecutivo. Quando, invece, come per l’appunto si verifica nella specie, l’atto (anche eventualmente omissivo), che si assume contrario a diritto, sia riferibile non al giudice, ma ad un suo ausiliario, ivi compreso l’ufficiale giudiziario, esso è sottoponibile al controllo del giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 60
cod. proc. civ. o nelle forme desumibili dalla disciplina del procedimento esecutivo azionato. E solo dopo che detto giudice si sia pronunciato sull’istanza dell’interessato sarà possibile impugnare il suo provvedimento con le modalità di cui all’art. 617 cod. proc. civ..
Orbene, di tale principio di diritto non ha tenuto conto il giudice dell’opposizione, in quanto i COGNOME una volta appresa la notizia della nomina dell’ausiliario da parte dell’Ufficiale giudiziario, avrebbero dovuto sottoporre le loro doglianze al giudice dell’esecuzione, chiedendo istruzioni ai sensi dell’art. 610 c.p.c. onde provocare la pronuncia di una decisione, questa sì direttamente impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi, o, in alternativa, adire il giudice dell’esecuzione con separata istanza di ricusazione (solo il provvedimento a definizione della quale sarebbe stato poi suscettibile di opposizione formale) e non – direttamente – con un ricorso in opposizione: ciò che, dall’illustrazione dei fatti processuali operata in ricorso, è invece successo nella specie.
In definitiva, il Tribunale di Patti avrebbe dovuto dichiarare improponibile l’azione in parte qua .
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile sotto un duplice profilo.
Invero sono ormai passati circa quindici anni da quando le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 4617/2011 (alla quale è stato dato seguito nella successiva giurisprudenza di legittimità a sezioni semplici: cfr. tra le tante, Cass. n. 13381/2017), hanno affermato che: <>.
Orbene, nella impugnata sentenza (p. 5) il Tribunale di Patti ha incidentalmente qualificato le doglianze con cui i COGNOME avevano dedotto che l’esecuzione non avrebbe potuto essere portata a compimento per la demanialità del terreno richiamando il rimedio della opposizione alla esecuzione.
Ne consegue che la sentenza, pronunciata da detto Tribunale, avrebbe dovuto essere impugnata dinanzi alla Corte di Appello in virtù del principio dell’apparenza; e che il ricorso proposto davanti a questa Corte deve essere dichiarato inammissibile.
Il motivo è altresì inammissibile, nella parte in cui fa valere l’estraneità dei beni agli opponenti, per carenza di interesse, non potendo derivare a costoro alcun pregiudizio dall’espropriazione del bene di un terzo (Cass. n. 35005/2022 e n. 35005/2022), anche ove si tratti del demanio.
In punto di spese dell’unico grado di merito, essendo stata cassata – senza rinvio – soltanto in parte la sentenza del Tribunale di Patti, la valutazione complessiva di soccombenza ivi operata può restare ferma e, con essa, la liquidazione ivi operata.
Dalla declaratoria di inammissibilità del secondo motivo consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione in favore della controparte delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte:
cassa senza rinvio la sentenza impugnata esclusivamente in relazione al primo motivo di ricorso;
dichiara inammissibile il secondo motivo di ricorso;
condanna i ricorrenti alla rifusione in favore delle resistenti delle spese processuali, relative al presente giudizio di legittimità, spese che
si liquidano in euro 5.100, oltre agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge;
ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera dei ricorrenti, dell ‘ importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza