Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11365 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11365 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/04/2025
OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE PER RILASCIO IMMOBILE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8548/2023 R.G. proposto da dall’Avv.
NOME COGNOME rappresentato e difeso NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COMUNE DI COGNOME
-intimato –
Avverso la sentenza n. 1570/2022 della CORTE DI APPELLO DI PALERMO, depositata il giorno 10 ottobre 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Comune di Sciacca promosse in danno di NOME COGNOME esecuzione per rilascio di un immobile in forza della sentenza n. 207/2015 del Tribunale di Sciacca, recante declaratoria di risoluzione per inadempimento del conduttore nel pagamento dei canoni – del
contratto di locazione in origine stipulato dall’ente (quale locatore) con NOME COGNOME e poi da questi ceduto al Friscia.
L’esecutato NOME COGNOME dispiegò opposizione ex art. 615 cod. proc. civ., la quale è stata però rigettata in entrambi i gradi del giudizio di merito.
Avverso la decisione in epigrafe indicata, resa in sede di appello, NOME COGNOME ricorre per cassazione, per motivi.
Non svolge difese in grado di legittimità il Comune di Sciacca.
Con provvedimento del 1° marzo 2024, è stata formulata, ai sensi del l’ art. 380bis cod. proc. civ., sintetica proposta di definizione del ricorso per inammissibilità e manifesta infondatezza.
Più specificamente, con detta proposta si è ritenuto che:
« con la decisione impugnata è stato confermato il rigetto dell’opposizione all’esecuzione per rilascio proposta dal ricorrente COGNOME ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ., in quanto i motivi dedotti a fondamento della stessa non integravano fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto consacrato nel titolo esecutivo di formazione giudiziale sopravvenuti rispetto al relativo provvedimento e, quindi, non erano idonei a giustificare una opposizione esecutiva, potendo, al più, costituire motivi di impugnazione (ordinaria o straordinaria) dello stesso provvedimento, in conformità al consolidato indirizzo in materia di questa Corte (che in realtà neanche il ricorrente pare intendere mettere in discussione, in diritto);
tale decisione è, sul punto, del tutto condivisibile, anche a voler tener conto delle precisazioni dello stesso ricorrente in ordine alla corretta individuazione dell’effettivo fatto che egli assume di aver invocato a sostegno dell’opposizione, non potendo in alcun modo ritenersi rilevante l’attività amministrativa posta in essere dall’ente comunale in relazione ad altri contratti di locazione, con riguardo alla
persistente validità ed efficacia della pronuncia giudiziale posta in esecuzione;
tanto premesso, appare agevole rilevare che tutti i primi sette motivi del ricorso esprimono censure che, in parte, risultano manifestamente infondate, in quanto contrastanti con i principi di diritto sopra richiamati, mentre, per il resto, o non colgono adeguatamente l’effettiva ratio decidendi della statuizione impugnata (reiterando contestazioni in ordine alla validità del contratto di locazione, che avrebbero dovuto essere fatte valere nel giudizio di cognizione) ovvero appaiono nella sostanza diretti a contestare accertamenti che -contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso -risultano operati dai giudici del merito sulla base di una corretta e prudente valutazione delle prove e sono comunque sostenuti da adeguata motivazione, non apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede;
l’ultimo motivo è, poi, inammissibile, ancor prima che manifestamente infondato, non esprimendo una vera e propria censura ma, in sostanza, la semplice conseguenza dell’auspicato accoglimento dei precedenti motivi ».
A seguito di tempestiva istanza di decisione di parte ricorrente è stata fissata l ‘ adunanza camerale sopra indicata, in vista della quale la stessa ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Il Collegio si è riservato il deposito dell ‘ ordinanza nel termine di cui al secondo comma dell ‘ art. 380bis. 1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è articolato in otto motivi.
1.1. Il primo motivo lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 615, secondo comma, 616, 663, ultimo comma, cod. proc. civ., dell ‘ art. 97 Cost. e degli art. 4 e 5 del « Regolamento per la disciplina
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della concessione di beni immobili a terzi » approvato dal Consiglio comunale di Sciacca con delibera n. 109 del 7/5/2002.
Deduce, in sintesi, che il diritto ad opporsi all’esecuzione forzata era fondato su fatti (impeditivi, estintivi e/o modificativi) sopravvenuti all ‘ emissione del titolo esecutivo ( risalente all’aprile 2014 ) e scaturenti dall ‘ attività amministrativa posta in essere dallo stesso esecutante, Comune di Sciacca, nell’anno 2015 , consistente, in particolare, nella determinazione – in misura corretta ed in applicazione del regolamento menzionato nella intestazione del motivo -del canone locativo di altri immobili di proprietà comunale condotti da terzi.
1.2. Il secondo motivo eccepisce la nullità della gravata sentenza in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., per violazione degli artt. 99, 112, 161, 615, secondo comma, 616, 663, ultimo comma, cod. proc. civ., degli artt. 1418, 1419, 1421 e 1441 cod. civ., degli artt. 9, 32 e 79 della legge 27 luglio 1978, n. 392, dell ‘ art. 4 del « Regolamento per la disciplina della concessione di beni immobili a terzi » approvato dal Consiglio comunale di Sciacca con delibera n. 109 del 7/5/2002 , e dell’art. 97 Cost.
Ravvisa nella pronuncia gravata il vizio di ultrapetizione per avere « più volte, sostituito la domanda proposta dall ‘ appellante con una diversa, modificandone i fatti costitutivi» e «fondato la decisione su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio dalle parti »: in specie, sostiene che la Corte d’appello non abbia affrontato l’eccezione di nullità contrattuale per violazione delle norme imperative relative all’aggiornamento del canone di locazione.
1.3. Il terzo motivo prospetta violazione del combinato disposto de ll’ art. 132, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., della legge 18 giugno 2009 n. 69 e dell ‘ art. 111, sesto comma, Cost., in relazione all ‘ art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., « con riferimento all’anomalia motivazionale e/o apparente motivazione rese in sentenza
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dalla Corte d’Appello di Palermo per confermare la statuizione del giudice di prime cure e dichiarare l’infondatezza dell’appello ».
Così argomenta il ricorrente: « in sintesi: l’apparente motivazione fondata su principi giurisprudenziali, del tutto applicabili al caso di specie ai fini dell’accoglimento dell’ appello, erroneamente ed illegittimamente utilizzati dalla Corte territoriale per negare il diritto del ricorrente di opporsi all’esecuzione forzata; l’apparente motivazione fondata su una circostanza per nulla specificata e comunque del tutto diversa da quella prospettata dall ‘odierno ricorrente; l’apparente motivazione afferente la totale inattinenza dell’art. 5 del Regolamento comunale per la determinazione del canone locativo, utilizzato in sentenza ai fini del decidere; la totale assenza di trattazione e motivazione relative al quinto motivo di appello ».
1.4. Il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1419, 1421 e 1441 cod. civ., degli artt. 9, 32 e 79 della legge n. 392 del 1978, degli art. 4 e 5 del « Regolamento per la disciplina della concessione di beni immobili a terzi » approvato dal Consiglio comunale di Sciacca con delibera n. 109 del 7/5/2002 e dell’art. 97 della Costituzione.
Rileva come sulle eccezioni di nullità del contratto di locazione (per avere il Comune di Sciacca proceduto ad un « illegittimo ed abnorme » aumento del canone, anziché, come prescritto dal regolamento, aggiornarlo) i giudici di merito non si siano pronunciati.
1.5. Il quinto motivo denuncia omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa.
Censura l’omessa valutazione di una serie di documenti prodotti dallo stesso Comune opposto idonei a smentire la tesi, ex adverso sostenuta, di un adeguamento del canone della locazione in esame in maniera conforme alle disposizioni del regolamento comunale.
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1.6. Il sesto motivo assume violazione e falsa applicazione degli artt. 167, primo comma, 115, primo comma, 615, secondo comma, e 616 cod. proc. civ., degli artt. 1418, 1419 e 1421 cod. civ., degli artt. 9, 32 e 79 della legge n. 392 del 1978 e degli art. 4 e 5 del « Regolamento per la disciplina della concessione di beni immobili a terzi » approvato dal Consiglio comunale di Sciacca con delibera n. 109 del 7/5/2002.
Rappresenta, breviter , che nella comparsa di costituzione e risposta depositata in appello, il Comune opposto « non ha fornito neppure un accenno di contestazione circostanziata utile a neutralizzare i motivi proposti dall’appellante » , le cui buone ragioni nell’opporsi erano invece « abbondantemente comprovate ».
1.7. Il settimo motivo deduce violazione degli artt. 115, 116, 615 e 616 cod. proc. civ., degli artt. 1418, 1419 e 1421 cod. civ., degli artt. 9, 32 e 79 della legge n. 392 del 1978 e degli art. 4 e 5 del « Regolamento per la disciplina della concessione di beni immobili a terzi » approvato dal Consiglio comunale di Sciacca con delibera n. 109 del 7/5/2002 e dell’art. 97 Cost. per travisamento della prova.
1.8. L’ottavo motivo denuncia v iolazione e falsa applicazione d ell’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 ( come modificato da ll’ art. 1, commi 17 e 18, della legge 24 dicembre 2012, n. 228): « stante l’assoluta fondatezza dei motivi d’appello, non vi era alcuna sussistenza dei presupposti a carico dell’appellante dell’obbligo di pagare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per l’impugnazione; conside rato che la parte soccombente era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, la cancelleria dovrà limitare le attività alla mera annotazione dell’importo nel foglio notizie ».
Il ricorso è inammissibile, per le ragioni già esplicitate nella proposta di definizione accelerata, di seguito soltanto ulteriormente sviluppate ed approfondite.
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2.1. Devesi, in primo luogo, evidenziare l’inosservanza, nel ricorso in scrutinio, del requisito della esposizione sommaria dei fatti di cui all’ art. 366, primo comma, num. 3, cod. proc. civ..
Tanto nella premessa narrativa (svolta sotto l’intestazione « fatto ») quanto nella parte dedicata ai singoli motivi, il ricorso risulta mancante di un’adeguata illustrazione delle ragioni addotte a suffragio della opposizione a ll’esecuzione -in particolare, del contenuto dell’originario ricorso diretto al giudice dell’esecuzione , indispensabile per la verifica dell’ammissibilità delle questioni qui svolte -, delle motivazioni adottate dalla sentenza di prime cure, dei motivi di gravame formulati con l’atto di appello, delle difese nei vari gradi esplicate dalla controparte.
Agli atti processuali parte ricorrente opera invero un frammentario e disorganico richiamo, mai estrinsecato mediante la riproduzione – pur per stralci essenziali o passaggi d’interesse – del contenuto degli stessi, bensì adoperando la tecnica del rinvio (anche mediante collegamenti ipertestuali) agli allegati al fascicolo, così gravando la Corte del compito – sicuramente estraneo alla natura ed alle funzioni del giudizio di legittimità – di ricercare negli atti cui si opera relatio la esposizione delle tesi difensive sottoposte al vaglio dei giudici di merito.
2.2. Ma la declaratoria di inammissibilità si giustifica anche alla luce della disamina nel merito dei motivi, nei limiti in cui essa appaia praticabile in considerazione della descritta deficienza illustrativa.
L’argomentazione diffusamente sviluppata con i primi sette motivi (a tacer della esposizione degli stessi, di dubbia conformità ai requisiti della chiarezza e sinteticità prescritti per il ricorso per cassazione) si risolve, in ultima analisi, nel prospettare, sotto differenti profili, ragioni di (supposta) nullità del contratto di locazione (si evidenzia: dichiarato risolto con la sentenza-titolo esecutivo) oppure di (sempre supposta) illegittimità della entità del relativo canone (il cui accertato mancato
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pagamento ha rappresentato causa della declaratoria di risoluzione del contratto pronunciata dalla sentenza-titolo esecutivo).
In sintesi: l’intera impostazione difensiva del Friscia, estrinsecata sin dall’originario atto di opposizione all’esecuzione e reiterata sino al ricorso di adizione di questa Corte, consiste nell’allegazione di pretese ragioni di ingiustizia, di non conformità a diritto della sentenza in forza della quale è stata intentata l’esecuzione.
Ora, per scolastica nozione, il thema decidendum delle opposizioni avverso le esecuzioni promosse in base a titoli di formazione giudiziale è circoscritto esclusivamente ai fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto a procedere in via esecutiva verificatisi in epoca successiva al formarsi del provvedimento azionato: la deduzione di motivi di ingiustizia ( error in iudicando ) o di illegittimità formale ( error in procedendo ) del titolo giudiziale è consentita unicamente attraverso i mezzi di impugnazione, ordinaria o straordinaria, apprestati dall’ordinamento avverso il provvedimento (principio da tempo consolidato: da ultimo, ribadito da Cass., Sez U, 06/04/2023, n. 9479; tra le tantissime, cfr. Cass. 07/02/2024, n. 3517; Cass. 21/10/2022, n. 31259; Cass. 11/10/2022, n. 29656; Cass. 14/02/2020, n. 3716; Cass., Sez U, 23/07/2019, n. 19889; Cass. Cass. 18/02/2015, n. 3277; Cass. 24/07/2012, n. 12911).
E tanto giustifica l’inammissibilità dei motivi in esame ai sensi dell’art. 360 -bis , primo comma, num. 1, del codice di rito.
2.3. Anche l’ottavo motivo è inammissibile.
Esso, per un verso, si concreta nel rappresentare la conseguenza dell’auspicato accoglimento del ricorso per cassazione: non deduce, dunque, alcun autonomo e specifico vizio di legittimità della statuizione sulle spese ma si limita a prospettarne la caducazione alla stregua di ‘ res sperata “, ovvero come conseguenza del felice esito della spiegata impugnazione, finendo così con l’integrare un ‘ non motivo ‘ (per
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fattispecie similari, Cass. 31/08/2015, n. 17330; Cass. 24/09/2018, n. 22478; Cass. 23/11/2022, n. 34412).
D’altro canto, va ribadita la non impugnabilità in sede di legittimità dell’attestazione, contenuta nella sentenza gravata, circa la sussistenza dei presupposti per il versamento del c.d. doppio contributo (cfr. Cass., Sez. U, 20/02/2020, n. 4315; Cass. 15/02/2021, n. 3855).
Deve pertanto essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, in conformità alla proposta di definizione accelerata.
La indefensio di parte intimata impone il non luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità e preclude l’adozione della condanna di cui all’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., quest’ultima correlata alla pronuncia sulle spese processuali.
Trova invece operatività il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., introdotto dall’art. 380 -bis , ultimo comma, cod. proc. civ., applicabile, a mente dell’art. 35, sesto comma, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, anche ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 (così, tra le altre, Cass. 11/07/2023, n. 19749; Cass., Sez. U, 23/04/2024, n. 10955).
Come più volte chiarito da questa Corte, infatti, nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all ‘ art. 380bis cod. proc. civ., qualora il ricorrente abbia formulato istanza di decisione e la Corte abbia definito il giudizio in conformità alla proposta, l’ omessa costituzione dell ‘ intimato, se da un lato preclude la statuizione ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. (non ricorrendo una situazione che consenta una pronuncia sulle spese), dall ‘ altro ne prevede la condanna al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di cui all ‘ art. 96, quarto comma, cod. proc. civ., alla stregua dell’autonoma valenza precettiva del richiamo a tale ultima disposizione, contenuto nel citato art. 380bis , terzo comma, cod. proc. civ., che si giustifica in
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funzione della ratio (che si ravvisa anche nell’ipotesi di mancata costituzione dell ‘ intimato) di disincentivare la richiesta di definizione ordinaria a fronte di una proposta di definizione accelerata (in tal senso, Cass. 04/10/2023, n. 27947; Cass. 28/02/2024, n. 5243).
Va pertanto disposta condanna del ricorrente al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma, determinata dal Collegio nella misura di euro cinquemila.
A quest’ultimo riguardo, non può trovare seguito la questione di legittimità costituzionale dell’art. 380 -bis, terzo comma, cod. proc. civ. per asserito contrasto con l’art. 24 della Costituzione , prospettata dalla ricorrente nell ‘ istanza di decisione successiva alla proposta di definizione.
6.1. La questione è manifestamente irrilevante con riferimento alla condanna ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., dacché non comminata nella presente controversia.
6.2. La questione è manifestamente infondata con riferimento alla condanna di cui all’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ. .
Come già ha puntualizzato questa Corte nella sua composizione più tipica di organo della nomofilachia (Cass., Sez. U, 22/09/2023, n. 27195), la norma in parola « contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00). In tal modo, risulta codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale ».
La disposizione, in definitiva, « mira ad apprestare uno strumento di agevolazione della definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l’individuazione di strumenti dissuasivi di condotte
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rivelatesi ex post prive di giustificazione, e quindi idonee a concretare ipotesi di abuso del diritto di difesa ».
Tale valutazione è conforme alla voluntas legis , quale si ricava dalla relazione al d.lgs. 149 del 2022, a mente della quale « La previsione non risponde ad un intento punitivo o sanzionatorio, ma è la realistica presa d’atto del fatto che la giurisdizione è una risorsa limitata. Sicché appare conforme al sistema che il costo dell’aggravio per il servizio giustizia sia sostenuto da colui che, nonostante una prima delibazione negativa, abbia chiesto comunque una valutazione supplementare collegiale senza che ne sussistessero fondate ragioni ».
Alla luce della descritta ratio , la previsione dell’art. 380 -bis , ultimo comma, cod. proc. civ., appare soddisfare esigenze e valori di rango primario e financo sovranazionale, quali la durata ragionevole del processo e il buon andamento della pubblica amministrazione, sicché l ‘irrogazione delle condanne di cui al terzo e al quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. (per esserne rimessa, sostanzialmente, solo l’entità all’apprezzamento discrezionale della Suprema Corte) risulta del tutto giustificata (e comunque non lesiva della piena esplicazione del diritto di difesa) a carico di chi abbia sollecitato, in difetto di fondate o quantomeno plausibili ragioni, una pronuncia giudiziale collegiale (così nuovamente impegnando la risorsa giustizia, notoriamente limitata), ricevendone risposta conforme alla precedente delibazione negativa espressa dalla stessa Autorità giudiziaria, pur in diversa articolazione.
A tteso l’esito del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass., Sez. U, 20/02/2020, n. 4315) per il versamento da parte del ricorrente ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
La circostanza che il ricorrente risulti ammesso al patrocinio a spese dello Stato non esclude l’obbligo del giudice dell’impugnazione, quando adotti una decisione di integrale rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità della stessa, di attestare, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo di contributo unificato: tanto perché l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è suscettibile di essere revocata, anche dopo la pronuncia della sentenza che ha definito il giudizio di impugnazione, allorquando sopravvengano i presupposti di cui all’art. 136 del sopra citato d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass, Sez. U, 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ., dell’ulteriore somma di euro 5.000.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione