Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21607 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21607 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/07/2024
OPPOSIZIONE ALL’ ESECUZIONE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15037/2022 R.G. proposto da COGNOME NOME E COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME
-intimato – avverso la sentenza n. 2289/2021 della CORTE DI APPELLO DI CATANIA, depositata il giorno 6 dicembre 2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 giugno 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che
con la sentenza n. 3362/2020, il Tribunale di Catania rigettò l’opposizione all’esecuzione ed agli atti esecutivi dispiegata da NOME COGNOME ed NOME COGNOME avverso la procedura di espropriazione immobiliare intrapresa da NOME COGNOME, giratario di
un assegno bancario emesso dal COGNOME, e condannò gli opponenti al pagamento di una somma per responsabilità processuale aggravata;
in parziale accoglimento dell’appello interposto dagli opponenti, la decisione in epigrafe indicata ha annullato la condanna ex art. 96 cod. proc. civ., rigettata ogni altra domanda degli impugnanti e posto a carico di questi ultimi le spese del doppio grado di giudizio;
NOME COGNOME ed NOME COGNOME ricorrono uno actu per cassazione, affidandosi a cinque motivi;
non svolge difese nel giudizio di legittimità NOME COGNOME;
il Collegio si è riservato il deposito dell ‘ ordinanza nel termine di cui al secondo comma dell ‘ art. 380bis. 1 cod. proc. civ.;
Considerato in diritto
il primo motivo, per violazione dell’art. 183, sesto comma, cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., lamenta il rigetto delle istanze di prova per testi e per interrogatorio formale volte « ad accertare che il terzo prenditore degli assegni era a conoscenza che erano stati emessi a garanzia », cioè dirette a dimostrare « la collaborazione fraudolenta del COGNOME COGNOME nel trarre gli incassi (sic) i titoli di credito »;
la doglianza è inammissibile;
a fondamento della reiezione delle richieste istruttorie, il giudice territoriale ha ritenuto gravante su parte opponente la dimostrazione della necessaria « collaborazione volontaria » del procedente, giratario degli assegni titolo esecutivo, « ad agire in danno del debitore » e rilevato che le circostanze – peraltro generiche – oggetto dei capitoli attenevano invece « alla mera conoscenza dell’eventuale funzione dei titoli consegnati al primo prenditore »;
a fronte di ciò, parte ricorrente pedissequamente ripropone il contenuto delle prove costituende richieste (e non ammesse), senza sottoporre a considerazione critica la (sopra illustrata) ratio decidendi fondante la loro reiezione e senza nemmeno avvedersi che -come
rilevato dalla Corte d’appello i fatti capitolati non erano, neppure in astratto, idonei a dare conto di una consapevole e volontaria iniziativa esecutiva in danno dell’esecutato ad opera del creditore procedente, giratario degli assegni bancari, sicché la censura, per come formulata, non esprime ragioni di dissenso rispetto alla decisione, violando così il disposto dell’art. 366, primo comma, num. 4, cod. proc. civ. (sul tema, (Cass., Sez. U, 28/10/2020, n. 23745; Cass. 24/02/2020, n. 4905);
a ciò aggiungasi che, ad onta delle disposizioni indicate in rubrica come asseritamente trasgredite, parte ricorrente non esplicita in cosa si sarebbe concretata l’inosservanza dell’art. 183, sesto comma, cod. proc. civ. e non prospetta un’inosservanza dei criteri di riparto de ll’onere probatorio (ed è noto che la violazione dell ‘ art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell ‘ ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l ‘ onere della prova ad una parte diversa da quella sui quali esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni: Cass. 23/10/2018, n. 26769; Cass., Sez. U, 05/08/2016, n. 16598);
il secondo motivo, per violazione e falsa applicazione degli artt. 167-170 cod. civ., eccepisce la « nullità del pignoramento » del bene immobile in Acireale costituito in fondo patrimoniale;
si assume, in sintesi, che il creditore procedente « era a conoscenza che i titoli di credito azionati erano stati emessi a garanzia di adempimenti non inerenti le esigenze della famiglia » e che « il creditore per sottoporre i beni a procedura esecutiva immobiliare doveva prima dimostrare l’intento fraudolento dell’atto pubblico notarile di costituzione del fondo patrimoniale promuovendo azione revocatoria »;
anche questa doglianza è inammissibile, per ragioni analoghe a quelle già esposte in relazione al primo motivo;
l’argomentare del ricorrente risulta infatti eccentrico (e, pertanto, non integrante una censura precisa, puntuale e pertinente della ratio
decidendi ) rispetto alla trama argomentativa della gravata pronuncia, tutta centrata sulla mancata dimostrazione di un coinvolgimento doloso del creditore procedente nel « conseguimento dell’intento del primo prenditore » e nella derivante insufficienza, ai fini dell’accoglimento della opposizione, della mera conoscenza della (eventuale) estraneità del credito ai bisogni della famiglia, aspetto su cui invece insiste il motivo in scrutinio;
con il terzo motivo, per violazione e falsa applicazione « dell’art. 345 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 189190 cod. civ. e all’art. 619 cod. proc. civ. », parte ricorrente sostiene che la Corte d’appello abbia « erroneamente ritenuto che era un motivo nuovo quello riguardante la nullità del pignoramento, in quanto afferente una quota del domicilio coniugale che faceva parte della comunione dei beni dei coniugi »;
in specie, il giudice territoriale non avrebbe « tenuto conto che NOME COGNOME aveva proposto opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 619 cod. proc. civ. erroneamente qualificata come semplice opposizione agli atti esecutivi » e che « l’immobile non poteva essere pignorato per l’intero nei confronti del COGNOME »;
il motivo è inammissibile;
la deduzione di un error in procedendo , quale quello in esame, in astratto legittimante l’esercizio ad opera del giudice di legittimità del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura, da valutarsi alla luce del principio di specificità (altrimenti detto « di autonomia ») sancito, a pena di inammissibilità del ricorso, dalle prescrizioni dettate dall’art. 366, primo comma, numm. 4 e 6, cod. proc. civ., declinate, nella loro concreta operatività, alla stregua delle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza;
r.g. n. 15037/2022 Cons. est. NOME COGNOME
siffatti criteri, come scolpiti dal giudice sovranazionale, sono realizzati con la trascrizione – essenziale e per le parti d’interesse -degli atti e dei documenti richiamati (dei quali deve invece escludersi la necessità di una integrale riproduzione), in guisa da contemperare il fine legittimo di semplificare (e non già pregiudicare) lo scrutinio del giudice di legittimità e, allo stesso tempo, garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ( ex multis, Cass. 14/03/2022, n. 8117; Cass. 04/02/2022, n. 3612);
alla luce di quanto sopra, la contestazione della qualificazione di novità attribuita ad un motivo di appello impone, ai fini dell’osservanza del principio di autonomia ex art. 366 cod. proc. civ., la riproduzione, nel ricorso di adizione di questa Corte, del contenuto essenziale degli atti processuali (di prime e di seconde cure), nella misura cioè necessaria a consentire alla Corte di comprendere il tenore degli stessi e di poter vagliare la correttezza della statuizione impugnata (cfr., oltre alla citata Cass. n. 3612 del 2022, Cass. 06/09/2021, n. 24048; Cass. 23/12/2020, n. 29495; Cass. 29/09/2017, n. 22880);
nella specie, per contro, del ricorso in opposizione di primo grado e dell’atto di appello parte ricorrente non illustra minimamente il contenuto, limitandosi a postulare la proposizione, ad opera di NOME COGNOME, di un’opposizione che, con locuzione quantomeno equivoca o imprecisa, definisce « opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 619 cod. proc. civ. »: e tanto, in tutta evidenza, non rende a questa Corte una cognizione adeguata (o sufficiente) sul fatto processuale e preclude l’apprezzamento nel merito sul motivo;
con il quarto motivo, per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e degli artt. 599 e 600 cod. proc. civ., si assume l’erronea qualificazione come opposizione agli atti esecutivi del motivo
con cui si era dedotta l’omessa notificazione di alcun atto della procedura esecutiva immobiliare alla coniuge NOME COGNOME;
il motivo è infondato;
la deduzione concernente il mancato coinvolgimento del coniuge nell’espropriazione avente ad oggetto beni in comunione legale (cioé a dire, la mancata notificazione al coniuge di atti del procedimento) si risolve nell’allegazione di un tipico vizio formale, concretando quindi una fattispecie di opposizione agli atti esecutivi: ineccepibile, dunque, la statuizione sul punto del giudice territoriale;
con il quinto motivo, per violazione dell’art. 92 cod. proc. civ., si asserisce che le spese del giudizio di appello andavano parzialmente compensate, stante il parziale accoglimento del gravame;
il motivo è infondato;
per consolidato orientamento di questa Corte, in tema di spese processuali, il principio della soccombenza va applicat o all’esito globale del processo e non già ai diversi gradi di giudizio ed al loro (singolo) risultato, sicché le spese vanno liquidate con riferimento non a ciascuna fase del giudizio, ma in relazione all’esito finale della lite (da ultimo, Cass., Sez. U, 08/11/2022, n. 32906; Cass. 06/04/2023, n. 9448);
corretta allora appare la regolazione delle spese operata dalla Corte d’appello, in ragione dell’integrale rigetto della originaria opposizione, non rilevando invece la soltanto parziale riforma in appello della decisione di primo grado, limitata, peraltro, alla mera espunzione della condanna per responsabilità processuale aggravata;
il ricorso è complessivamente rigettato;
non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non avendo ivi la parte intimata svolto attività difensive;
atteso l’esito del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass., Sez. U, 20/02/2020, n. 4315) per il versamento al
r.g. n. 15037/2022 Cons. est. NOME COGNOME
competente ufficio di merito da parte dei ricorrenti ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13;
p. q. m.
rigetta il ricorso;
a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione