Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 18367 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 18367 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/07/2024
OPPOSIZIONE A LL’ESECUZIONE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28756/2022 R.G. proposto da
COGNOME NOME , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO , con domicilio telematico all’indirizzo PEC del proprio difensore
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE ,
in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO , con domicilio telematico all’indirizzo PEC del proprio difensore
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 1227/2022 della CORTE DI APPELLO DI SALERNO, depositata il 26 settembre 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 febbraio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE sottopose a pignoramento la quota di partecipazione in detta società, pari al 20% del capitale sociale, nella titolarità della propria debitrice, NOME COGNOME.
Avverso detta espropriazione l’esecutata dispiegò opposizione ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ. : dedusse, in estrema sintesi, l’impignorabilità delle partecipazioni sociali staggite, siccome afferenti a società di persone, nonché l’inefficacia del titolo esecutivo per inidoneità della cauzione alla cui prestazione era stata subordinata l’esecutività del decreto ingiuntivo azionato.
Dichiarato estinto il procedimento espropriativo nelle more della controversia oppositiva, il Tribunale di Salerno, a definizione del primo grado di giudizio, rigettò l’opposizione relativa all’inefficacia del titolo esecutivo, dichiarò cessata la materia del conten dere sull’opposizione avente ad oggetto l’impignorabilità delle quote sociali (di cui peraltro accertò la fondatezza) e compensò integralmente le spese di lite.
La decisione in epigrafe indicata ha rigettato l’appello interposto da NOME COGNOME.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, affidandosi a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la RAGIONE_SOCIALE
Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
A ll’esito dell’adunanza camerale sopra indicata, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di cui al secondo comma dell’art. 380 -bis. 1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo, per violazione e falsa applicazione de ll’art. 648, secondo comma, cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., censura la sentenza gravata per aver ritenuto
valida la cauzione offerta ai fini della concessione della esecutività del decreto ingiuntivo azionato.
Premesso che la provvisoria esecutività del provvedimento monitorio era subordinata al « deposito della cauzione offerta dal terzo NOME COGNOME mediante iscrizione ipotecaria in favore di NOME COGNOME per l’importo di euro 500.000 sulla sua quota indivisa dell’appartamento sito in Battipaglia alla INDIRIZZO », parte ricorrente assume che, in ragione e per effetto dell’antecedente trascrizione sul medesimo bene di un sequestro conservativo (ad opera della stessa NOME COGNOME) sino a concorrenza di euro 370.000, la cauzione prestata non era idonea ad assolvere la funzione cui era preposta, ovvero garantire all’ingiunta la restituzione di quanto pagato nell’eventualità della revoca del decreto ingiuntivo.
1.1. Il motivo è infondato.
Posto che la contestazione sulla regolare prestazione della cauzione condizionante l’esecutività del decreto ingiuntivo azionato configura un legittimo thema decidendum dell’opposizione all’esecuzione (in tal senso, Cass. 05/06/2007, n. 13069), il motivo sollecita questa Corte ad un vaglio sulla correttezza della interpretazione data dal giudice territoriale al contenuto precettivo del monitorio titolo esecutivo.
Orbene, l’esegesi di un titolo esecutivo di formazione giudiziale onde determinarne l’esatta portata precettiva rappresenta compito istituzionalmente devoluto al giudice dell’esecuzione (oppure al giudice adito con opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ.) e si risolve nell’apprezzamento di un fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità qualora esente da vizi motivazionali (orientamento consolidato nella giurisprudenza di nomofilachia: tra le tantissime, cfr. Cass. 09/09/2022, n. 26542; Cass. 31/08/2020 n. 18067; Cass. 05/06/2020 n. 10806; Cass. 12/12/2018 n. 32196; Cass. 13/06/2018 n. 15538; Cass. 19/12/2014, n. 26890; Cass. 31/05/2013, n. 13811;
Cass. 06/07/2010, n. 15852; non attinto, quanto ai titoli giudiziali non definitivi, neppure dalla recente e radicale rimeditazione di Cass., Sez. U., 21/02/2022, n. 5633).
Nel caso di specie, la lettura ermeneutica fornita dalla sentenza impugnata al l’ordinanza di concessione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo posto a base dell’es propriazione forzata appare non soltanto immune da anomalie argomentative ridondanti in contraddittorietà o illogicità, ma altamente plausibile.
È dirimente, al riguardo, rilevare come l’ordinanza in parola, nell’individuare la cauzione da prestare, abbia imposto alla società istante in monitorio ed al terzo datore unicamente ed esclusivamente la iscrizione ipotecaria, senza prevedere ulteriori prescrizioni di diversa natura e – soprattutto – senza stabilire, nemmeno per implicito, che la garanzia ipotecaria a costituirsi dovesse operare su un bene libero da pesi, cioè a dire non gravato da precedenti formalità pregiudizievoli.
E tanto giustifica la reiezione del motivo, basato peraltro su un accadimento (la trascrizione del sequestro conservativo) successivo all ‘emissione dell’ordinanza ex art. 648 cod. proc. civ. (e, come tale, non considerabile dal giudice emittente tale provvedimento) ed ascrivibile ad iniziativa della stessa opponente.
Il secondo mezzo, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2839 e 2841 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., contesta la ritenuta validità della iscrizione ipotecaria effettuata da NOME COGNOME ai fini della prestazione della cauzione.
Parte ricorrente deduce che: (a) la iscrizione ipotecaria eseguita il 7 aprile 2017 era inficiata nella relativa nota da plurimi errori ed omissioni (errata indicazione del debitore, individuato in NOME COGNOME anziché nella RAGIONE_SOCIALE; omessa menzione del terzo datore di ipoteca; errata indicazione del titolo; omessa specificazione della sorte capitale e degli interessi
nonché del domicilio ipotecario), tali da cagionare la invalidità della iscrizione stessa, non ovviabile con lo strumento della rettifica; (b) la emenda di detta iscrizione, compiuta il 14 aprile 2017 ed avente ad oggetto la modificazione del titolo per l’iscrizione, integrava una vera e propria nuova iscrizione, anch’essa infirmata da invalidità per gli altri errori non corretti, sì da rendere illegittima la formula esecutiva apposta al provvedimento monitorio; (c) in epoca antecedente alla seconda nota era stata trascritta domanda di scioglimento giudiziale della comunione, la quale privava di effetti l ‘ iscrizione ipotecaria.
2.1. Il motivo, nelle sue plurime articolazioni censorie, è in parte inammissibile ed in parte infondato.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di nomofilachia il principio di diritto secondo cui in tema di costituzione dell’ipoteca, i soli errori della nota di iscrizione suscettibili di comportare l ‘ invalidità ex art. 2841 cod. civ. dell ‘ iscrizione ipotecaria, non ovviabili con lo strumento della rettifica, sono quelli che inducono incertezza su elementi essenziali quali l ‘ identità del debitore e del creditore, l ‘ ammontare del credito o l ‘ identificazione del bene dato in garanzia, palesandosi l’ omissione o l ‘ incertezza in ordine agli altri aspetti emendabile con lo strumento anzidetto (da ultimo, cfr. Cass. 26/07/2023, n. 22534).
Tanto convintamente ribadito, nella vicenda in parola il giudice territoriale, con argomentato convincimento, ha ritenuto le (pur sussistenti) discrasie nella nota di iscrizione del 7 aprile (ed in quella posteriore del 14 aprile) inidonee ad ingenerare incertezza su elementi essenziali ed in specie: l’identificazione di NOME COGNOME quale debitore (e non già – come invece corretto – quale terzo datore), poiché « costui è comunque il soggetto nei confronti del quale, come proprietario dell’immobile concess o in garanzia, il gravame veniva correttamente iscritto »; la mancata indicazione degli interessi, in
quanto non previsti dal titolo; la mancata indicazione del domicilio ipotecario, dacché elemento non essenziale ai fini dell’opponibilità ai terzi del gravame.
Si tratta, in tutta evidenza, di una valutazione – sulla potenzialità delle inesattezze della nota a generare confusione in ordine ai dati identificativi dell ‘ iscrizione – tipicamente di fatto, assegnata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove (come nel caso) sorretta da adeguata (o comunque non illogica) motivazione.
Per altro verso, è invece infondata la censura del ricorrente laddove ascrive l’invalidità della nota originaria (quella del 7 aprile 2017) all’erronea menzione del titolo per l’iscrizione, non configurando un errore del genere – proprio sulla scorta del richiamato indirizzo della giurisprudenza di nomofilachia vizio di nullità dell’iscrizione.
Da ciò consegue la possibilità di una legittima rettifica in parte qua della nota, come accaduto con la formalità del 14 aprile 2017 (con la quale è stato inserito il corretto codice « ipoteca a garanzia di cauzione per esecuzione decreto ingiuntivo »): sicché risulta destituita di fondamento la doglianza sub (b).
La legittimità della compiuta rettifica – e della derivante validità dell’iscrizione a far data dall’esecuzione della prima formalità, ovvero il 7 aprile 2017) dà altresì conto dell’infondatezza dell’assunto sopra sintetizzato sub (c): come correttamente opinato dalla Corte d’appello, la trascrizione (il 12 aprile 2017) della domanda di scioglimento della comunione dell’immobile non può certo privare di efficacia la garanzia ipotecaria, già idoneamente in precedenza costituita su quota del bene.
Il terzo mezzo è rubricato « violazione e/o falsa applicazione della norma di cui agli artt. 24 e 111 Cost., art. 92 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., per avere la decisione impugnata ritenuto valida la compensazione delle spese di lite nonostante la dichiarata cessazione della materia del contendere ».
Si sostiene, in breve, che « nel giudizio di opposizione de quo , l’impignorabilità delle quote sociali si pone come preliminare dal punto di vista logico per la decisione sui restanti motivi di opposizione e rappresenta motivo assorbente che preclude l’esame degli altri »; si asserisce, inoltre, l’inosservanza del principio della ragione più liquida, potendo la causa essere risolta sulla scorta dell’accertamento sull’impignorabilità delle quote sociali; si deduce, infine, che il giudice di merito non abbia tenuto conto del contegno del creditore procedente il quale ha introdotto la fase di merito sull’opposizione dopo l’estinzione della esecuzione, quindi in difetto di un interesse ad agire.
Il quarto motivo asserisce « violazione e/o falsa applicazione della norma di cui all’art. 100 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., per avere la decisione impugnata ritenuto valida la sentenza di primo grado nella parte in cui rigetta l’opp osizione dopo aver dichiarato la cessata materia del contendere per impignorabilità delle quote sociali ».
Ad avviso di parte ricorrente, « l’accertamento dell’impignorabilità delle quote sociali determina la cessazione della materia del contendere per difetto d’interesse »: tanto impediva al giudice di pronunciare sugli altri motivi di opposizione (invece rigettati), rispetto ai quali difettava l’interesse ad agire dell’opposto che aveva introdotto la fase di merito.
I motivi – da scrutinare congiuntamente, siccome avvinti da intrinseca connessione – sono infondati.
A giustificare la statuizione di prime cure di compensazione delle spese, la sentenza gravata ha ravvisato una soccombenza reciproca: virtuale del creditore sull’impignorabilità delle quote; effettiva del debitore sull’efficacia del decreto ingiuntivo. Ha poi soggiunto che l’impignorabilità « non costituiva un motivo prevalente rispetto a quello dell’idoneità del decreto ingiuntivo come titolo esecutivo, giacché
entrambe le questioni avevano un’autonoma e paritetica rilevanza ai fini della risoluzione della controversia ».
L’esposta argomentazione è conforme a diritto.
Il ragionamento dell’odierno impugnante si incentra su una sorta di preclusione all’esame dei motivi afferenti la inefficacia o inesistenza del titolo esecutivo asseritamente nascente dalla dichiarata cessazione della materia del contendere sulla impignorabilità.
In senso contrario, tuttavia, depone la natura autodeterminata che – secondo la configurazione oramai costantemente invalsa nella giurisprudenza di legittimità – caratterizza il giudizio di opposizione all’esecuzione, nel quale , cioè, ciascuno dei motivi dedotti integra un distinto ed autonomo fatto costitutivo dell’ine sistenza del contestato diritto a procedere (di recente, Cass. 10/11/2023, n. 31363; Cass. 06/04/2022, n. 11237; in parte motiva, esaustivamente, Cass., Sez. U, 21/09/2021, n. 25478; Cass., Sez. U, 14/12/2020, n. 28387; cfr., ancora, Cass. 26/05/2020, n. 9719; Cass. 03/09/2019, n. 21996; Cass. 28/06/2019, n. 17441).
Muovendo da questa premessa sistematica, incontestato che il thema decidendum del giudizio di merito concerneva tutte le doglianze originariamente sollevate dall ‘opponente (siccome da quest’ultima riproposte con la comparsa di costituzione nella causa di merito: cfr. contenuto della comparsa, riportato a pag. 8 del ricorso), il giudice adito ex art. 615 cod. proc. civ., pur dopo aver dichiarato la cessata materia del contendere sulla dedotta impignorabilità delle quote, non poteva certo esimersi – a pena di incappare nell’inosservanza del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato – dallo scrutinare gli altri motivi posti a suffragio dell’ opposizione.
L’eventuale accoglimento di questi avrebbe invero determinato per la opponente (convenuta in fase di merito) una tutela di certo più piena e soddisfacente, dacché l’accertamento della inesistenza (o inefficacia)
del titolo esecutivo avrebbe prodotto, una volta passato in cosa giudicata, il radicale effetto di impedire qualsivoglia azione esecutiva della controparte in forza del decreto ingiuntivo, non soltanto sulle partecipazioni societarie staggite in quel procedimento esecutivo, ma su ogni altro bene nella titolarità della opponente utilmente pignorabile.
Diversamente da quanto asserito dal ricorrente, va dunque esclusa una situazione di preminenza o prevalenza del motivo concernente l’impignorabilità dedotta dall’opponente; deve poi essere negata la ravvisabilità di una fattispecie di assorbimento in senso proprio o improprio, nonché il venir meno dell’interesse delle parti alla pronuncia sulle questioni di inesistenza o inefficacia del titolo esecutivo, pronuncia per nulla risultando superflua o non più necessaria, attesa la sua manifesta riproponibilità in non implausibili sviluppi del contenzioso.
In siffatta prospettiva, la virtuale ed ipotetica accoglibilità della opposizione per il motivo afferente l’impignorabilità delle partecipazioni staggite ed il rigetto (effettivo) della opposizione per il motivo relativo alla efficacia esecutiva del decreto monitorio azionato si traduce in un contrapposto esito di differenti ed autonome domande di tutela proposte dall’opponente : integra cioè, in altri termini, una reciproca soccombenza tra le parti in lite, legittima ragione per la compensazione delle spese del giudizio.
Il ricorso è rigettato.
Il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità segue il principio della soccombenza.
A tteso l’esito del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in
misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente, NOME COGNOME, alla refusione in favore di parte controricorrente, RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 6.500 per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione