Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20238 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20238 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
ORDINANZA
nel ricorso R.G. n. 24958/2018
promosso da
COGNOME NOME , n.q. di titolare dell’omonima impresa, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO (RAGIONE_SOCIALE), rappresentato e dife so dall’AVV_NOTAIO in virtù di procura speciale in atti;
ricorrente
contro
Co RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , in persona del Sindaco pro tempore , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e dife so dall’AVV_NOTAIO in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente
avverso la sentenza n. 186/2018 della Corte di appello di Messina, depositata in data 23/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/02/2024 dal Cons. NOME COGNOME;
letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 2276/2009, il Tribunale di Messina revocava il decreto ingiuntivo n. 35/1999, emesso su istanza di COGNOME NOME, nella qualità di titolare dell’omonima impresa, nei confronti del CoRAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per il pagamento di £ 64.876.642 oltre interessi legali e IVA, condannando l ‘ingiunto al pagamento della minor som ma di € 2.953,41 oltre interessi legali dalla notifica del provvedimento monitorio al soddisfo, a titolo di differenza tra quanto liquidato in sede di collaudo e il saldo ancora dovuto in relazione al contratto di appalto, stipulato inter partes , avente ad oggetto la realizzazione di spogliatoi e servizi, unitamente ad un locale semicantinato, per il campo sportivo comunale.
Con sentenza n. 190/2011, il Tribunale di Messina -Sezione distaccata di Taormina accoglieva l’opposizione proposta dal CoRAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE unitamente contro il precetto di pagamento di € 124.76,75, oltre interessi e spese, notificata da COGNOME NOME, n.q. di titolare dell’omonima impresa, in forza della sentenza n. 1746/2004 del Tribunale di Messina, che aveva respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 633/1994, relativo al saldo del corrispettivo dei lavori di cui al menzionato contratto di appalto, con una statuizione confermata in appello dalla sentenza n. 614/2008, tranne che per gli interessi ex art. 36 d.P.R. n. 1063 del 1962, ritenuti non dovuti, spettando solo quelli al tasso legale.
Avverso tali pronunce proponeva appello principale COGNOME NOME, n.q. di titolare dell’omonima impresa, e il CoRAGIONE_SOCIALE proponeva appello incidentale nel solo giudizio di impugnazione relativo alla sentenza del Tribunale di Messina n. 2276/2009.
Nel contraddittorio delle parti i due giudizi di impugnazione venivano riuniti.
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Messina, definitivamente pronunciando, ha respinto gli appelli principali proposti da COGNOME NOME, n.q. di titolare dell’omonima impresa, in entrambi i procedimenti riuniti, e ha accolto l’appello incidentale formulato dal CoRAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Messina n. 2276/2009, escludendo che l’impresa RAGIONE_SOCIALE potesse vantare il minor credito di € 2.953,41, accertato dal giudice di primo grado.
Con riguardo all’impugnazione della sentenza n. 2276/2009 del Tribunale di Messina, il giudice del gravame rilevava che tra le parti era ormai pacificamente passata in cosa giudicata la sentenza n. 614/2008 della stessa Corte di merito, che aveva accertato il saldo finale dei lavori di cui al contratto di appalto in questione. Considerato, pertanto, che il giudicato copre il dedotto e il deducibile, lo stesso giudice di appello riteneva che dovesse essere esclusa la possibilità di mettere nuovamente in discussione la validità e/o l’efficacia del certificato di collaudo dell’arch. COGNOME e di quello successivo dell’AVV_NOTAIO COGNOME nominato in corso di causa, allorché si era accertato che erano inutilmente decorsi i termini previsti dalla l. n. 741 del 1981 per il collaudo delle opere e per l’approvazione del certificato di collaudo . Sempre in ragione dell’intervenuto giudicato, la Corte d’appello riteneva che non fosse più possibile chiedere la corresponsione degli interessi moratori, peraltro neppure richiesti in sede monitoria. Quanto al minor credito accertato nella decisione di primo grado, la Corte di appello riteneva fondato l’appello incidentale del CoRAGIONE_SOCIALE, perché emergeva in modo chiaro, nella decisione passata in giudicato, che dalla somma ritenuta era stato detratto un importo pari a £ 1.619.475 per opere eseguite non a regola d’arte .
Con riferimento all’impugnazione della sentenza n. 940/2010 del Tribunale di Messina, pronunciata nel giudizio di opposizione a precetto, la Corte di appello rilevava che correttamente il giudice di
primo grado aveva revocato il precetto con il quale NOME, n.q. di titolare dell’omonima impresa aveva intimato il pagamento di £ 124.776,75, quantificata aggiungendo alla sorte capitale gli interessi ex art. 36 d.P.R. n. 1063 del 1962, posto che nella sentenza n. 614/2008 la domanda era risultata fondata limitatamente al capitale e agli interessi al tasso legale dalla domanda giudiziale al soddisfo, con esclusione degli interessi moratori, che costituivano la (indebita) voce preponderante del conteggio precettato.
Avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione NOME, n.q. di titolare dell’omonima impresa, affidato a sei motivi di impugnazione.
L ‘ intimato si è difeso con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., de ll’art. 28, comma 3, l. n. 109 del 1994 (come modificato dalla l. n. 415 del 1998) e dell’art. 104 r.d. n. 350 del 1895, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto che, a seguito del giudicato intervenuto tra le parti per effetto della sentenza n. 614/2008 della Corte d’appello di Messina , fosse stato definitivamente accertato il saldo finale dei lavori di cui al contratto di appalto in questione, perché: 1) l’accertamento operato dalla sentenza n. 614/2008 concerneva soltanto il credito che COGNOME NOME vantava alla data del 21/12/1993, data di deposito del ricorso monitorio, cui è seguita l’adozione del decreto ingiuntivo n. 633/1994 , e non l’in tero suo credito; 2) il successivo decreto ingiuntivo n. 35/1999, opposto nel presente giudizio, era fondato su titoli e fatti successivi al deposito del primo ricorso monitorio ; 3) l’accertamento del CTU nel giudizio definito con la sentenza n. 614/2008, passata in giudicato, era incompleto.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 35 e 36 d.P.R. n. 1063 del 1962 e dell’art. 4 l. 741 del 1981, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ed anche la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., con riguardo alla statuizione sulla non debenza degli interessi moratori di cui all’art. 36 d.P.R. n. 1063 del 1962, non avendo la Corte di merito considerato che tali interessi sono dovuti all’appaltatore automaticamente per il semplice ritardo nei pagamenti, senza necessità di specifica domanda, e che comunque tali interessi erano stati richiesti e riconosciuti nel primo decreto ingiuntivo n. 633/1994, nella sentenza di primo grado del relativo giudizio di opposizione (sentenza n. 1736/2004 del Tribunale di Messina) ed anche nel decreto ingiuntivo n. 35/1999, opposto nel presente procedimento, dovendosi ritenere, in materia di appalto di opere pubbliche, il generico richiamo agli interessi riferito agli interessi da ritardo(legali e moratori ex artt. 35 e 36 d.P.R. n. 1063 del 1962), dovuti automaticamente senza necessità di domanda alcuna. Secondo il ricorrente, in sintesi, n ell’interpretare il giudicato portato dalla propria sentenza n. 614/2008, la Corte d’appello di Messina avrebbe dovuto tenere conto che il riferimento agli interessi doveva riferirsi agli interessi dovuto ai sensi degli artt. 35 e 36 d.P.R. cit.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., non avendo la Corte d’appello ritenuto ancora dovuto all’appaltatore l’importo di £ 5.718.621, quale differenza tra il credito residuo accertato nella sentenza n. 614/2008 della Corte d’appello di Messina e l’importo richiesto dal COGNOME in quel procedimento, evidenziando che erroneamente, nella sentenza in questa sede impugnata, la Corte di appello aveva ritenuto che nella
precedente pronuncia, oramai passata in giudicato, la somma di £ 1.619.475, riconosciuta per le opere non eseguite a regola d’arte, fosse stata già conteggiata.
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 480 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per avere la Corte d’appello confermato la statuizione di primo grado nel giudizio di opposizione a precetto (sentenza n. 190/2011 del Tribunale di Messina -Sezione distaccata di Taormina).
Con il quinto motivo di ricorso è dedotta la v iolazione dell’artt. 112 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n. 4, c.p.c. e la conseguente nullità della sentenza per omessa pronuncia sul quarto motivo di appello avverso la sentenza n. 190/2011 del Tribunale di Messina, Sezione distaccata di Taormina, riguardante la mancata statuizione del giudice di primo grado sulle spese del procedimento cautelare incidentale, introdotto dal CoRAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE con le istanze formulate all’ udienza dell ‘ 08/06/2007, dichiarate inammissibili con ordinanza del 13/06/2007.
Con il sesto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’appello condannato il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di impugnazione, senza neppure procedere ad una parziale compensazione, in considerazione del fatto che nel giudizio di opposizione all’esecuzione, definito in primo grado dalla sentenza n. n. 190/2011 del Tribunale di Messina, Sezione distaccata di Taormina, il CoRAGIONE_SOCIALE era stato sia pure in parte soccombente.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
2.1. Il ricorrente ha dedotto che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello nella sentenza impugnata, l ‘accertamento operato
dalla sentenza precedente n. 614/2008 della Corte d’appello concerneva soltanto il credito che COGNOME NOME vantava alla data di deposito del ricorso monitorio (21/12/1993), seguito dall’adozione del decreto ingiuntivo ivi opposto, e non l’intero suo credito , aggiungendo che la domanda successivamente proposta sempre in INDIRIZZO, oggetto del presente giudizio, era fondata su atti e documenti sopravvenuti (relazione e certificato di collaudo dell’AVV_NOTAIO COGNOME del 14/06/1996) e che la consulenza espletata nel giudizio definito con la sentenza n. 614/2008 non era completa.
2.2. La Corte d’appello, nella sentenza in questa sede impugnata , ha ricostruito la vicenda nei seguenti termini: «Deve essere innanzitutto precisato che tra le parti è ormai pacificamente passata in cosa giudicata la sentenza n.614/2008 in data 20.10-27.11.2008 con la quale la Corte di Appello di Messina, decidendo sull’appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del GOA del Tribunale di Messina n. 1746/2004 in data 9-19.6.2004, premetteva che: a)·i lavori pubblici di cui al contratto di appalto del16.1.1991 ed alla perizia di variante e suppletiva del 12.12.1991 sono stati ultimati il 25.3.1993; b) con certificato del 6.10.1993 l’Ufficio Tecnico Comunale attestava che l’importo complessivo dei lavori era pari a £ 225.708.766 e che le opere erano state eseguite regolarmente e con buon esito senza dare luogo a vertenze; c) il COGNOME, in mancanza di redazione dello stato finale da parte del DL e di collaudo, in data 21.12.1993 aveva proposto ricorso per d.i. chiedendo il pagamento del saldo finale dei lavori pari alla differenza tra gli acconti percepiti e quanto ancora dovutigli che quantificava in £ 35.464.734 oltre IVA ed interessi; d) il d.i. era stato emesso il 21.4.1994; e) in data 4.7.1994 il AVV_NOTAIO aveva emesso lo stato finale con cui si riconosceva un credito residuo pari a £ 1.175.215 e in data 14.6.1996 l’arch. COGNOME nominato con delibera della GM del 7.3.1995 espletava la
relazione di collaudo che accertava l’importo dei lavori in £ 260.288.013 ed un credito residuo dell’impresa pari a £ 63.818.982; in data 29.4.1999 l’AVV_NOTAIO COGNOME nominato con delibera della GM del 29.4.1999 emetteva un secondo certificato di collaudo che indicava l’importo dei lavori in £ 209.824.952, una detrazione per vizi costruttivi di £ 2.905.819 ed un credito residuo dell’impresa pari a £ 10.049.925. Premetteva, altresì, la Corte che, attese le accertate irregolarità contabili dei lavori da parte della DL, il GOA aveva nominato c.t.u. l’AVV_NOTAIO COGNOME il quale aveva accertato un credito residuo del COGNOME pari a £ 41.183.315. Fatte queste premesse la Corte di Appello di Messina ha rilevato che, dopo l’i nutile decorso del termine previsto dall’art. 5 1.741/1981 per la emissione e la approvazione del certificato di collaudo ed in mancanza di una prova della imputabilità all’ impresa del ritardo, correttamente il GOA aveva fondato la sua pronuncia in ordine al credito azionato dall’appaltatore sulla espletata relazione di c.t.u. quantificato in £ 38.978.654 comprensivo di IVA ed interessi legali ed ha confermato la sentenza impugnata che a sua volta confermava il d.i. n. 633/94 del quale riconosceva la esecutività,· con rigetto di ogni altra domanda dell’opposto e di quella riconvenzionale dell’opponente.»
Fatte queste premesse, la Corte d’appello, nella sentenza qui impugnata, ha affermato quanto segue: «ritiene la Corte che non si possa fare altro che prendere atto del giudicato intervenuto tra le parti con il quale, ripetesi, è stato accertato il “saldo finale dei lavori di cui al contratto di appalto del 16.1.1991” e, considerato che il giudicato copre il dedotto e·il deducibile, si deve escludere che sia ancora possibile mettere nuovamente in discussione la validità e/o l’ efficacia del certificato di collaudo dell’arch. COGNOME e di quello successivo dell ‘ AVV_NOTAIO COGNOME dal momento che ad essi si è sostituito l’accertamento espletato dall’AVV_NOTAIO COGNOME nominato in corso di causa allorché si era
accertato che erano inutilmente decorsi i termini previsti dalla legge 741/1981 per il collaudo delle opere e per la approvazione del certificato di collaudo» .
2.3. Le contestazioni del ricorrente attengono alle statuizioni riportate nella sentenza in questa sede impugnata come contenute nella precedente decisione n. 614/2008 della stessa C orte d’appello , e riferite alla valenza della relazione e del collaudo dell’arch. COGNOME, le quali avrebbero dovuto essere censurate mediante impugnativa di quella decisione, oramai passata in giudicato, che ha definitivamente accertato il saldo finale dei lavori relativo all’appalto in questione, e non con l’impugnazione in questa sede proposta , da ritenersi, dunque, inammissibile, perché volta ad ottenere una nuova ponderazione di statuizioni oramai passate in giudicato.
Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
La decisione in questa sede impugnata, con riferimento agli interessi moratori, ha riportato la statuizione di primo grado, che ha motivatamente escluso la debenza degli interessi moratori ex art. 36 d.P.R. n. 1063 del 1962 e il corrispondente motivo di appello di COGNOME NOME (p. 2 e 3 della sentenza impugnata).
In ordine a tale censura, la Corte d’appello , dopo aver richiamato il giudicato intervenuto con la sentenza n. 614/2008, con il quale ha ritenuto essere stato accertato il saldo dei lavori in questione, sulla base della CTU espletata in corso di causa, e non del certificato di collaudo, ha statuito come segue: «Analogamente ritiene la Corte che, così come deciso sia nella fase di merito che in quella esecutiva, non ci sia spazio per chiedere il riconoscimento di interessi moratori che, peraltro, la parte non aveva chiesto con il ricorso per decreto ingiuntivo e che non avevano ormai il loro fondamento nel certificato di collaudo regolarmente approvato bensì nelle risultanze della c.t.u.»
La statuizione si fonda su plurime rationes decidendi , tenuto conto che vi è il riferimento al giudicato intervenuto con la sentenza n. 614/2008, alla mancata formulazione di una domanda nel presente giudizio e al fatto che, come aveva ritenuto il giudice di primo grado, i menzionati interessi moratori non erano comunque dovuti, perché il credito riconosciuto non aveva fondamento in un certificato di collaudo regolarmente approvato, ma nelle risultanze della CTU espletata in corso di causa.
Con riferimento a questa ultima ratio della decisione, il ricorrente non ha operato alcuna critica, limitandosi a rappresentare -senza contrapporsi a tale statuizione – che gli interessi in questione devono ritenersi spettanti in via automatica, per effetto del semplice ritardo nei pagamenti, e che tali interessi erano stati richiesti sia nel giudizio definito con la sentenza n. 614/2008 che nel presente procedimento avviato con la domanda monitoria cui è seguita l’adozione del decreto ingiuntivo n. 35 del 1999.
Né può la parte invocare la spettanza degli interessi moratori sulla base del giudicato intervenuto per effetto della sentenza n. 614/2008 della Corte d’appello di Messina , che ha confermato la statuizione di primo grado, la quale, a sua volta, ha confermato il decreto ingiuntivo n. 633/1994, che ha previsto il pagamento degli interessi ‘ richiesti ‘ . Dall’esame del ricorso monitorio, infatti, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, risultano essere stati espressamente richiesti gli interessi legali, e non quelli previsti dal d.P.R. cit. (doc. 4, 5 e 6 depositati unitamente al ricorso per cassazione), la cui operatività avrebbe dovuto essere supportata da specifiche allegazioni, prima di tutto in ordine alla applicabilità allo specifico contratto, stipulato con un CoRAGIONE_SOCIALE e non con un’Amministrazione dello Stato (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 25061 del 10/10/2018; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 6649
del 21/12/1984), e poi in riferimento alla decorrenza e all’ammontare degli stessi.
Il terzo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile, poiché non attinge la ratio decidendi della decisione impugnata, finendo per criticare la decisione contenuta nella precedente sentenza oramai passata in giudicato.
La sentenza in questa sede censurata, come sopra evidenziato, ha prima di tutto ritenuto l’intangibilità del giudicato formatosi a seguito della sentenza della Corte di appello di Messina n. 614/2008 e, poi, ha aggiunto che tale sentenza aveva quantificato il saldo dovuto all’impresa , detraendo il costo delle opere non eseguite a regola d’arte , sicché dovevano ritenersi del tutto inammissibili ed inconducenti le richieste istruttorie avanzate dal COGNOME, volte a determinare un saldo lavori ormai accertato e quantificato con autorità di giudicato (p. 8-9 della sentenza impugnata).
Secondo la Corte di merito, dunque, nessun ulteriore credito per i lavori effettuati in esecuzione dell’appalto, poteva essere vantato.
Il ricorrente ha, invece, dedotto che il giudice del gravame avrebbe dovuto tenere conto del fatto che nella sentenza della Corte di appello di Messina n. 614/2008 emergeva che tra il credito residuo dell’impresa, pari ad € 41.183.315, e la somma richiesta in via monitoria vi era una differenza di £ 5.718. 621, pari ad € 2.953,41, che costituiva proprio l’importo riconosciuto dal primo giudice nel presente procedimento.
È, pertanto, evidente che la censura non si confronta con la statuizione sopra riportata, che, si ribadisce, esclude la possibilità di richiedere ulteriori somme per l’esecuzione delle opere in questione , in ragione del giudicato che si era formato.
Con specifico riferimento alle opere non eseguite a regola d’arte, poi, il ricorrente ha affermato che la Corte territoriale ha erroneamente
ritenuto che l’importo di £ 41.183.315 comprendesse anche la somma di £ 1.619.475 , riconosciuta dal CTU e dalla Corte d’appello nella sentenza n. 614/2008, per il costo delle opere non eseguite a regola d’arte .
La censura, già inammissibile in virtù di quanto sopra esposto con riferimento alla formazione del giudicato avente ad oggetto il credito derivante dall’esecuzione dell’appalto, non tiene neppure conto del fatto che la statuizione in questa sede impugnata non ha fatto altro che riprodurre quanto affermato nella sentenza della Corte di appello di Messina n. 614/2008, ove, con riferimento a tale questione si legge che «…il c.t.u. ha accertato e stimato “ln £ 1.619.475 il costo delle opere non effettuate a regola d’arte ‘, somma questa che ha detratto dall’importo dei lavori eseguiti dalla impresa, residuando l’indicato credito dell’impresa.»
Il quarto motivo di ricorso è invece fondato.
5.1. Deve senza dubbio ritenersi infondata l’eccezione del controricorrente, secondo il quale NOME non avrebbe alcun interesse a far valere il vizio dedotto con tale motivo di censura, in ragione del fatto che egli potrebbe comunque redigere in ogni tempo un nuovo atto di precetto per le somme effettivamente dovute.
È infatti sufficiente considerare che l’ accertamento della validità anche solo parziale de ll’intimazione opposta consentirebbe al creditore di conservare l’intimazione non solo per i l credito portato dal titolo, ma anche per le spese correlate, che invece andrebbero perse, nel caso in cui dovesse essere confermata la statuizione contenuta nella sentenza impugnata.
5.2. Da tale statuizione si evince che il ricorrente ha intimato il pagamento della soma di € 124.776,75, comprensiva anche degli interessi moratori, calcolati ex art. 36 d.P.R. n. 1063 del 1962, ma il giudice dell’opposizione ha ritenuto non dovute le somme
corrispondenti agli interessi moratori, affermando che spettava, in virtù del titolo azionato (la sentenza n. 614/2008 della Corte d’appello di Messina), solo la sorte capitale e gli interessi legali dalla domanda al saldo.
S econdo la Corte d’appello, dunque, il giudice di primo grado aveva correttamente revocato per intero il precetto, stante la non debenza degli interessi moratori, che costituivano la voce preponderante del conteggio precettato.
5.3. La giurisprudenza di questa Corte è, tuttavia, consolidata nel ritenere che, in tema di opposizione a precetto, la non debenza di una parte soltanto della somma in esso portata non travolge il precetto per intero, ma ne determina l’annullamento parziale, essendo comunque valida l’intimazione per la parte dovuta e le relative spese (Cass., Sez. L, Sentenza n. 2160 del 30/01/2013; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 5515 del 29/02/2008; v. anche Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 24704 del 05/11/2020, con riferimento ad un caso di pagamento parziale sopravvenuto).
L ‘ eccessività della somma portata nel precetto dà luogo, in sintesi, soltanto alla riduzione della somma domandata, nei limiti di quella dovuta e delle correlate spese, con la conseguenza che l’intimazione rimane valida per la somma effettivamente spettante, alla cui determinazione è chiamato a provvedere il giudice, che è investito di poteri di cognizione ordinaria, a seguito dell’opposizione in ordine alla quantità del credito (Cass., Sez. L, Sentenza n. 2160 del 30/01/2013; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 5515 del 29/02/2008; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2938 del 11/03/1992).
L’accoglimento del quarto motivo di ricorso , cui segue la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, comporta l’assorbimento de lle restanti censure, spettando al giudice della riassunzione provvedere ad una statuizione in punto spese.
In conclusione, dichiarati inammissibili il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso e assorbiti il quinto e il sesto, deve essere accolto il quarto motivo di ricorso in applicazione del seguente principio:
«In tema di opposizione a precetto, la non debenza di una parte soltanto della somma in esso portata non travolge per l’ intero l’intimazione , ma ne determina l’invalidità parziale, dando luogo soltanto alla riduzione della somma domandata nei limiti di quella dovuta, con la conseguenza che l’intimazione rimane valida per la somma effettivamente spettante, alla cui determinazione provvede il giudice, che è investito di poteri di cognizione ordinaria a seguito dell’opposizione in ordine alla quantità del credito.»
La sentenza impugnata deve essere cassata, nei limiti sopra indicati, con rinvio alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il quarto motivo di ricorso e -dichiarati inammissibili il primo, il secondo e il terzo motivo e assorbiti il quinto e sesto – cassa la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile