Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10193 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10193 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22632/2023 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME e rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME -ricorrente – contro
FINO RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende.
–
controricorrente – nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE
–
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 5231/2023 depositata il 19/07/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME proponeva opposizione all’atto di precetto notificatogli dalla doBank s.p.a., mandataria della RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità, Arena), cessionaria dei crediti vantati nei suoi confronti dalla Unicredit s.p.a., con il quale gli era stato intimato il pagamento della somma di euro 142.270,99 portata dal decreto ingiuntivo n. 579/2012 emesso dal Tribunale di Frosinone su richiesta della Unicredit e che non era stato opposto.
Si costituiva, resistendo, RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria di Arena.
Con sentenza n. 1445/2016 il Tribunale di Frosinone ammetteva l’opposizione tardiva, ma la rigettava, ritenendola fondata su contestazioni solo generiche, e comunque indimostrate, dell’avversaria pretesa creditoria.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME proponeva appello; si costituiva, resistendo al gravame, RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE, quale mandataria della RAGIONE_SOCIALE.lRAGIONE_SOCIALE quale cessionaria dei crediti della Unicredit.
Con sentenza n. 5231 del 21 settembre 2023 la Corte d’Appello di Roma rigettava l’appello.
Avverso tale sentenza il COGNOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE
E’ stata formulata proposta di decisione accelerata, mentre
il difensore del ricorrente, munito di procura speciale, ha richiesto la decisione del ricorso, la cui trattazione è quindi stata avviata all’adunanza camerale.
Il ricorrente e la società resistente hanno depositato rispettiva memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denunzia ‘Violazione ex art. 360 n. 3 c.p.c., ovvero violazione e falsa applicazione degli artt. 638, 641 e 210 c.p.c., per aver ritenuto che la documentazione posta a sostegno del ricorso per decreto ingiuntivo fosse disponibile nel fascicolo d’ufficio depositato presso il Tribunale di Frosinone; Violazione dell’art. 111 Cost. e del principio del contraddittorio. Violazione del principio di unicità del procedimento monitorio e del successivo giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo’.
Censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che i documenti posti a sostegno del ricorso monitorio entrino e restino a far parte del fascicolo d’ufficio, e dunque rimangano a disposizione anche di colui che ha proposto opposizione tardiva ex art. 650 cod. proc. civ., consentendogli il pieno ed effettivo esercizio del diritto di difesa nel rispetto del principio di parità tra le parti e del contraddittorio costituzionalmente garantito.
Lamenta che la corte territoriale ha invece omesso di considerare che, a mente degli artt. 638 e 641 cod. proc. civ., i menzionati documenti vengono depositati nel fascicolo di parte ed ivi restano soltanto sino alla decorrenza del termine per proporre opposizione nel termine di cui all’art. 641 cod. proc. civ., decorso il quale ritornano nella disponibilità del ricorrente in sede monitoria, il quale, come nel caso di specie, ben può ritirarli, di talché ne deriva la lesione del diritto di difesa di colui che intenda proporre opposizione tardiva ex art. 650 cod. proc. civ., dato che egli si trova a non poter più visionare la
documentazione in esame.
Lamenta, infine, che la corte di merito ha violato il principio di unicità tra la fase monitoria e la fase di opposizione perché ha trascurato di acquisire il fascicolo d’ufficio depositato presso il tribunale, giudice di prime cure.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente svolge affermazioni solo assertive e generiche, dato che si limita a richiamare ‘documentazione’ e ‘documenti’ della fase monitoria ed omette di fornire alcuna idonea e completa indicazione (né alcuna adeguata localizzazione negli atti nel processo) circa gli atti processuali e i documenti (e il relativo contenuto), e dunque incorre in patente violazione dell’art. 366, n. 4 e n. 6, cod. proc. civ., da cui si evince un principio di specificità del motivo di ricorso, che deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa COGNOME ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (cfr. Cass., n. 3612 del 04/02/2022, Rv. 663837; Cass., n. 24048 del 06/09/2021, Rv. 662388 – 01).
Con il motivo in scrutinio il ricorrente invece perviene a svolgere una propria diversa ricostruzione dei fatti di causa pretendendo di contrapporla alla valutazione espressa dal giudice di merito, in violazione del costante orientamento di legittimità secondo cui ‘ è inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduca violazione degli artt. 1362, 1363, 1371 c.c. ed omessa motivazione avente ad oggetto la mera critica del convincimento,
cui il giudice del merito sia pervenuto, operata mediante la mera ed apodittica contrapposizione di una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, in quanto argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità’ (v., tra le tante, Cass., 29/10/2012, n. 18587; Cass., 07/07/2004, n. 12468).
Con il secondo motivo il ricorrente denunzia ‘Violazione ex art. 360 n. 3 c.p.c., ovvero violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in materia di ripartizione dell’onere della prova nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo’.
Deduce -premesso che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo spetta al creditore opposto, in quanto attore in senso sostanziale, di provare i fatti costitutivi della propria pretesa, mediante il deposito del proprio fascicolo di parte del procedimento monitorioche, nel caso di specie, l’impugnata sentenza è viziata per erroneo riparto dell’onere probatorio e violazione dell’art. 2697 cod. civ., dato che la corte di merito ha mancato di rilevare che parte opposta non aveva depositato la documentazione a sostegno del credito azionato in via monitoria, sicché la sua pretesa creditoria non era stata in alcun modo provata.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Non risulta correlato alla motivazione dell’impugnata sentenza, del tutto ignorata (v., nel senso dell’inammissibilità del ricorso che non si correla alla motivazione resa dall’impugnata sentenza, ovvero non ne censura tutte le rationes decidendi , Cass., 22/4/2022, n. 8036; Cass., Sez. Un., n. 7074/2017, in motivazione).
Nell ‘impugnata sentenza la corte territoriale ha affermato: ‘Si osserva, infatti, al riguardo, che l’opponente, in sede di opposizione, si era limitato a negare l’esistenza di qualsiasi
credito in capo alla opposta, adducendo di ignorare il titolo posto a fondamento dell’azione monitoria e che, a seguito dell’avvenuta costituzione della Arena, aveva genericamente contestato la pretesa creditoria con la memoria ex art. 183, sesto comma, primo termine, c.p.c., depositata in data 1.6.2016. Si rileva, inoltre, che l’Arena, nel costituirsi in giudizio, aveva precisato che il credito da essa vantato era rappresentato dai fidi concessi, nel 2004 e nel 2005, dalla Unicredit alla Astra RAGIONE_SOCIALE, che erano stati garantiti, in data 25.2.2005, dal Capozza fino alla concorrenza di euro 195.000,00 e che quest’ultimo, nella memoria predetta, aveva affermando in modo generico ed apodittico l’insussistenza del debito in ragione della asserita nullità del contratto di fideiussione ed all’avvenuta decadenza della Banca dall’azione di cui all’art. 1957 c.c., senza tuttavia fornire alcuna prova al riguardo’ (v. p. 8 sent.).
Orbene, così argomentando la corte d’appello mostra di applicare correttamente la regola di riparto e di scomposizione dell’onere della prova, in passaggi espressi della motivazione che il motivo proposto invece ignora.
Proprio nella corretta applicazione dell’art. 2697 cod. civ. la corte territoriale rileva poi che, per un verso, parte opposta aveva fornito la prova del suo credito, mentre, per altro verso, parte opponente, ora ricorrente, non era riuscita a provare fatti estintivi, impeditivi o modificativi, ma si era limitata a formulare contestazioni generiche.
Tale valutazione, fondata su congrua motivazione in diritto, attinge la valutazione delle risultanze probatorie ed è pertanto insindacabile in sede di legittimità, a mente del granitico orientamento di questa Suprema Corte secondo cui sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di
quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice (v. tra le tante, Cass., 2125972022; Cass., 20753/2021; Cass., n. 1359/2014; Cass., n. 16716/2013).
3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia ‘Violazione ex art. 360 n. 3 c.p.c., ovvero violazione e falsa applicazione dell’art. 1264 c.c. e dell’art. 58 D. Lgs. 385/1993 per aver ritenuto efficaci nei confronti del sig. COGNOME i numerosi atti di cessione e fusione richiamati nelle premesse dell’atto di precetto’.
Lamenta l’erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto che la produzione degli avvisi di pubblicazione sulla G.U. recanti l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco fosse sufficiente a dimostrare, ai sensi dell’art. 58 d.lgs. 385/1993, la titolarità del credito in capo al cessionario.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Al riguardo, giova premettere che secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte ‘In tema di cessione di crediti in blocco ex art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993, ove il debitore ceduto contesti l’esistenza dei contratti, ai fini della relativa prova non è sufficiente quella della notificazione della detta cessione, neppure se avvenuta mediante avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’art. 58 del citato d.lgs., dovendo il giudice procedere ad un accertamento complessivo delle risultanze di fatto, nell’ambito del quale la citata notificazione può rivestire, peraltro, un valore indiziario, specialmente allorquando avvenuta su iniziativa della parte cedente’ (v. Cass., 22/06/2023, n. 17944, nonché Cass., 10/02/2023, n. 4277: ‘In caso
di cessione “in blocco” dei crediti da parte di una banca ex art. 58 d.lgs. n. 385 del 1993, la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale che rechi l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti “in blocco” è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno dei rapporti oggetto della cessione, allorché gli elementi che accomunano le singole categorie consentano di individuarli senza incertezze; resta comunque devoluta al giudice di merito la valutazione dell’idoneità asseverativa, nei termini sopra indicati, del suddetto avviso, alla stregua di un accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità in mancanza dei presupposti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.’ ).
Orbene, pur invocando astrattamente i suindicati principi il ricorrente ha formulato la censura in termini del tutto generici nonché in patente violazione del requisito a pena d’inammissibilità prescritto all’art. 366, 1° co. n. 6, cod. proc. civ., invero non correlata alla motivazione dell’impugnata sentenza, ove risulta dato atto che ‘ nel caso di specie, la RAGIONE_SOCIALE e per essa la doBank S.p.A. in sede di costituzione nel giudizio di primo grado, aveva prodotto sia l’avviso di cessione dei crediti pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale -Foglio delle Inserzioni -dell’11.12.2008 n. 146, che quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale -Foglio delle Inserzioni -del 25.11.2014 n. 139 (v. doc. 3 e 5 del fascicolo di parte – non contestati e leggibili anche su internet)’, e quindi analizzato il contenuto degli avvisi stessi, pervenendo a riconoscere la efficacia e validità delle cessioni, con motivata valutazione in fatto, insindacabile in sede di legittimità (v. le pp. 9 e 10 dell’impugnata sentenza).
All’ inammissibilità dei motivi consegue l’inammissibilità del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura
indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
6. Essendo il giudizio definito in conformità alla proposta non accettata, ai sensi dell’art. 380 -bis , ultimo comma, cod. proc. civ. parte ricorrente deve essere anche condannata ai sensi e per gli effetti dell’art. 96, comma terzo e quarto cod. proc. civ., contenendo l’art. 380 -bis , ultimo comma cod. proc. civ. una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte e di una ulteriore somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, secondo quanto statuito da questa Corte a sezioni unite (Cass., Sez. Un., sentenze n. 27195 e 27433 del 2023; Cass., n. 27947/23).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente: delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; della somma di euro 6.000,00 ex art. 96, 3° comma, cod. proc. civ. Condanna il ricorrente al pagamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, ai sensi dell’art. 96, 4° comma, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il 18 dicembre
Il Presidente NOME COGNOME