Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5541 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5541 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/03/2024
ORDINANZA
Oggetto
CONTRATTO D’OPERA
Decreto ingiuntivo -Controversie in materia di locazione Proposizione dell’opposizione con citazione in luogo di ricorso Disciplina ex art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 Esclusione
R.G.N. 16848/2019
COGNOME.
sul ricorso 16848-2019 proposto da:
Rep.
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio de ll’AVV_NOTAIO , che li rappresenta e difende; Ud. 21/09/2023 Adunanza camerale
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 7593/18 d ella Corte d’appello di Roma, depositata il 28/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 21/09/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOMECOGNOME COGNOME base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 7593/18, del 28 dicembre 2018, della Corte d’a ppello di Roma, che -in accoglimento del gravame esperito da NOME COGNOME avverso la sentenza n. 1855/15, del 27 gennaio 2015, del Tribunale di Roma -ha dichiarato inammissibile l’opposizione dagli stessi proposta avverso il provvedimento monitorio che ingiungeva loro il pagamento di € 15 0.000,00, somma della quale essi si erano riconosciuti debitori nei confronti del COGNOME, in forza di ricognizione di debito contenuta in un contratto di comodato sottoscritto con il medesimo.
Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti che -dopo aver concluso con il COGNOME, il 17 settembre 1998, un contratto in forza del quale avevano concesso allo stesso, in locazione, un immobile ad uso ristorante sito in Roma -davano vita, il 7 gennaio 2008, al suddetto contratto di comodato relativo al medesimo immobile, riservandosi, alla scadenza dello stesso, o di stipulare un nuovo comodato (ovvero, in alternativa, una locazione), oppure di restituire al COGNOME la somma d i € 150.000,00, della quale si erano riconosciuti debitori.
Essendosi verificata proprio tale ultima evenienza, il COGNOME depositava ricorso per ingiunzione, per conseguire il pagamento della somma oggetto della ricognizione di debito.
Emesso il decreto ingiuntivo, l’opposizione proposta dagli odierni ricorrenti veniva accolta dal giudice di prime cure, che (per quanto qui di interesse) rigettava l’eccezione di tardività della
stessa, sollevata dall’opposto sul rilievo che l’opposizione -proposta con citazione, notificata entro i quaranta giorni di cui all’art. 641 cod. proc. civ. non risultava, tuttavia, iscritta entro il medesimo termine.
Esperito gravame dal COGNOME, che tra l’altro ribadiva tale eccezione di tardività, la stessa veniva, invece, accolta dal giudice d’appello.
Avverso la sentenza della Corte capitolina hanno proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE e i COGNOME, COGNOME base -come si è detto -di due motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione o falsa applicazione dell’art. 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69 e dell’art. 4 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, oltre che dell’art. 12 delle preleggi.
Si censura la sentenza impugnata perché, diversamente da quella resa dal primo giudice, ha escluso l’applicabilità al caso di specie della sanatoria di cui all’art. 4, comma 5, del suddetto d.lgs. n. 150 del 2011, ritenendo che essa possa operare per i soli procedimenti relativi alle controversie individuali di lavoro ex art. 409 cod. proc. civ., e non per tutti gli altri giudizi, comunque, soggetti al c.d. ‘rito del lavoro’.
Questa interpretazione, tuttavia, oltre a contravvenire al dato letterale della norma sarebbe in contrasto con il criterio logicosistematico, che pure deve ispirare l’attività di interpretazione delle norme giuridiche, se è vero che il suddetto d.lgs. 150 del 2011 persegue una finalità di ‘semplificazione’ dei riti civili, e quindi di tendenziale unificazione degli stessi secondo tre modelli: rito ordinario di cognizione, rito sommario e rito lavoristico.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione o falsa applicazione dell’art. 4, comma 5, del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150.
Si assume che la sentenza impugnata non avrebbe fornito alcuna motivazione in ordine alle ragioni per le quali la disciplina di cui alla norma suddetta si applicherebbe alle sole controversie lavoristiche strettamente intese e non pure a tutte quelle soggette al rito del lavoro. In questo modo essa ne avrebbe trascurato la natura di ‘clausola generale di salvaguardia’, in termini ‘di salvezza dei diritti e dell’azione giudiziale’.
Insistono, pertanto, i ricorrenti -su tali basi -per l’accoglimento del ricorso, chiedendo in via di subordine di rimettere alla Corte costituzionale questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 5, del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, nell ‘interpretazione che ne postula l’operatività alle sole controversie strettamente lavoristiche (e non a tutte quelle soggette al rito del lavoro), per violazione dell’art. 3 Cost., in ragione dell’irragionevole diversità di trattamento tra le due fattispecie.
Ha resistito all’avversaria impugnazione con controricorso, il COGNOME, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di conclusioni scritte da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
8. Il ricorso va rigettato.
8.1. I due motivi di ricorso -suscettibili di scrutinio unitario, data la loro stretta connessione -risultano non fondati.
8.1.1. Va dato seguito, infatti, a quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui, ‘nell’ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione di immobili urbani, soggetta al rito speciale di cui all’art. 447 -bis cod. proc. civ., erroneamente proposta con citazione, anziché con ricorso, non opera la disciplina di mutamento del rito di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 -che è applicabile quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dai modelli regolati dal medesimo decreto -, producendo l’atto gli effetti del ricorso, in virtù del principio di conversione, se comunque venga depositato in cancelleria entro il termine di cui all’art. 641 cod. proc. civ.’ (Cass. Sez. Un., sent. 13 g ennaio 2022, n. 927, Rv. 663586-03).
Tale ultima evenienza, tuttavia, non si è verificata nel caso di specie, essendo stata la citazione depositata in cancelleria -e dunque il giudizio iscritto a ruolo – oltre il predetto termine di quaranta giorni dall’avvenuta notificazione del provvedimen to monitorio, ex art. 641 cod. proc. civ (come si legge a pag. 3 del ricorso).
Corretta risultava, dunque, la decisione del giudice di seconde cure nell’affermare l’inammissibilità, per tardività, della proposta opposizione a decreto ingiuntivo.
Quanto alla richiesta, rivolta a questa Corte, di sollevare incidente di costituzionalità, il già citato arresto delle Sezioni Unite sottolinea -come, per vero, anche la sentenza qui impugnata –
che il dubbio di incostituzionalità risulta essere stato già fugato dal giudice delle leggi.
Esso, invero, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 426 cod. proc. civ., norma della cui costituzionalità si dubitava -in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost. -‘nella parte in cui non prevede che, in caso di introduzione con rito ordinario di una causa soggetta al rito previsto dagli artt. 409 e ss. cod. proc. civ. e di conseguente mutamento del rito, gli effetti sostanziali e processuali si producano secondo le norme del rito ordinario, seguito fino al mutam ento’, e non secondo la disciplina di cui all’art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 150 del 2011.
In particolare, il giudice rimettente stigmatizzava la sanatoria dimidíata, e non piena, dell ‘atto non ritualmente introdotto ‘nelle forme ordinarie’ (in luogo di quelle del rito speciale per esso previste), perché non coerente con la sopravvenuta previsione normativa di cui all ‘ art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 150 del 2011.
Nondimeno, la Corte costituzionale ha affermato che la sollecitata riformulazione del meccanismo di conversione del rito sub art. 426 cod. proc. civ. riflette solo ‘una valutazione di opportunità, e di maggior coerenza di sistema, di una sanatoria piena, e non dimidiata, dell’atto irrituale, per raggiungimento dello scopo’, senza, però, rispondere ‘ad una esigenza di reductio ad legitimitatem della disciplina attuale, posto che tale disciplina (a sua volta coerente ad un principio di tipicità e non fungibilità delle forme degli atti) non raggiunge quella soglia di manifesta irragionevolezza che consente il sindacato di legittimità costituzionale sulle norme processuali’ (così, in motivazione, Corte cost., sent. 7 febbraio 2018, n. 45).
Le spese del presente giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti, sussistendo ‘giusti motivi’, di seguito meglio illustrati.
9.1. Invero, essendo stato il primo grado di giudizio instaurato con citazione notificata in data 22 aprile 2013, alle spese di lite si applica la disciplina di cui all’art. 92 cod. proc. civ., nel testo (in allora) modificato dall’art. 13, comma 2, del decreto -legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, in forza del quale la compensazione delle spese giudiziali poteva essere disposta, oltre che in caso di soccombenza reciproca, in presenza di ‘altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione’.
Orbene, reputa questa Corte che la sopravvenienza, rispetto alla proposizione del presente ricorso, della già citata decisione delle Sezioni Unite costituisca , per l’appunto, ‘ grave ed eccezionale ragione’ per l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
A carico dei ricorrenti, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della
legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della