Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34064 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34064 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29655/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOMEC.F.: PLL GPP 64 R26 F205F);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona dell’amministratore unico, NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 3900/2022, depositata il 10/12/2022 e notificata il 12 di cembre 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 4148/2021, rigettava l’opposizione al decreto n. 8.344/16, con cui era stato ingiunto alla RAGIONE_SOCIALE il pagamento di euro 115.903,52 a favore della RAGIONE_SOCIALE per articoli di pelletteria ordinati e non pagati, e disattendeva anche la domanda riconvenzionale con cui l’ingiunta chiedeva , atteso l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE e la presenza di vizi e difetti della merce fornita, la condanna di quest’ultima al pagamento di euro 11.379,52.
Il Tribunale riteneva dovuto a RAGIONE_SOCIALE l’importo di euro 145.511,00 di cui alle note di addebito emesse da RAGIONE_SOCIALE che l’opponente confessava di non aver corrisposto; da detto importo andava detratto quello di euro 14.774,18 che RAGIONE_SOCIALE aveva a sua volta ammesso di dover ancora versare ad RAGIONE_SOCIALE, e concludeva che a favore dell’opposta residuava un credito di valore superiore a quello oggetto dell’ingiunzione.
La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 3900/2022 depositata il 10/12/2022 e notificata il 12 dicembre 2022, rigettava l’impugnazione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE e, per l’effetto, confermava il decreto ingiuntivo opposto.
Segnatamente, per quanto ancora di interesse, riteneva che : i) <> ; ii) RAGIONE_SOCIALE incorsa sia nella decadenza, sia nella prescrizione quanto alla denuncia dei vizi, e ciò anche là dove il rapporto contrattuale tra le parti fosse stato diversamente qualificato -plurime compravendite o contratti d’opera, appalto, somministrazione -; iii) le note di addebito erano prive di causale o con causale generica, non erano riferibili a
specifiche consegne di merci né a quantitativi determinati e dimostravano non già che RAGIONE_SOCIALE aveva il diritto di ridurre il proprio debito, ma solo che aveva proceduto a detta illegittima riduzione ; iv) accertato, per non essere stato contestato, un debito di euro 14.774,18 di RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per essersi la debitrice accollata il debito della G.A.P. verso RAGIONE_SOCIALE, il corrispondente credito di RAGIONE_SOCIALE doveva essere compensato con il maggior credito di questa di euro 145.511,12, mai contestato, non avendo le note di addebito prodotte da RAGIONE_SOCIALE pregnante valore probatorio in suo favore in merito alle ragioni del mancato pagamento (alcune non erano state registrate, altre non erano mai state trasmesse) e non potendo sopperire a detta carenza probatoria con l’ordine di esibizione ex art 210 cod.proc.civ. dei libri contabili di RAGIONE_SOCIALE; v) la censura, secondo cui il giudice di primo grado non avrebbe dovuto confermare il decreto ingiuntivo, ma pronunciare autonoma condanna, non era supportata da alcun interesse ad appellare in quanto, a prescindere dal tipo di statuizione (conferma del decreto ingiuntivo o autonoma condanna), non sarebbero mutati né le ragioni né l’importo della condanna; vi) essendo l’opponente risultata totalmente, era infondata la domanda di condanna di RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno per temerarietà della lite.
RAGIONE_SOCIALE ricorreva per la cassazione di detta sentenza, formulando sette motivi.
RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso.
Il Consigliere delegato ha formulato una proposta di definizione accelerata ai sensi dell’art. 380 -bis cod.proc.civ., con cui ha prospetto l’inammissibilità del ricorso, atteso che con esso veniva chiesta una rivalutazione del fatto e delle prove.
La ricorrente ha chiesto ritualmente e tempestivamente la decisione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis, 2° comma, cod.proc.civ.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denunzia la violazione degli artt. 2907 cod.civ., 99, 100, 112 e 648 cod.proc.civ.
La tesi della ricorrente è che in entrambi i gradi di merito sia stato trascurato il fatto che RAGIONE_SOCIALE aveva proposto una domanda monitoria fondata su un suo asserito inadempimento, una domanda di merito (conferma del decreto) e una domanda interna ex art. 186ter cod.proc.civ. (condanna al pagamento della differenza tra l’ammontare degli importi indicati nelle note di addebito e la quota versata del debito RAGIONE_SOCIALE accollato dalla creditrice opposta); segnatamente pone l’accento sul fatto che il decreto ingiungeva il pagamento di diverse prestazioni fatturate, ma non pagate, e che la sentenza di primo grado, pur accertando la contestazione di numerosi vizi nell’esecuzione delle singole prestazioni, quindi un rapporto ben più complesso di quello dedotto nella domanda monitoria, non revocava il decreto ingiuntivo, pronunciando autonoma condanna come prescritto dall’art. 652 cod.proc.civ., ma si limitava a confermare il decreto; in grado di appello la RAGIONE_SOCIALE chiedeva la conferma della sentenza gravata e del decreto ingiuntivo; la corte d’appello pronunciava, come già il tribunale, indirettamente condanna non sulla pretesa monitoria originaria, ma su quella successivamente sviluppata ai sensi dell’art. 186ter cod.proc.civ., ovvero la pretesa tardività ed infondatezza delle contestazioni degli inadempimenti nelle lavorazioni di RAGIONE_SOCIALE Stante la diversità, per titolo (mancato pagamento, tardività delle contestazioni) ed oggetto (euro 115.903,52, euro 130.736,94), tra le pretese azionate nella fase monitoria e quella di merito, il giudice a quo avrebbe violato il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato e confermando la condanna al pagamento degli
interessi dalla scadenza delle fatture al saldo non avrebbe considerato che, essendo centinaia le fatture, raccolte in 60 produzioni documentali in cui non erano incluse le note di addebito, detto capo accessorio della condanna era indeterminato e non eseguibile.
Con il secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 2909 cod.civ., 112, 324 e 653 cod.proc.civ.
La ricorrente si duole del fatto il rigetto dell’opposizione non sia stato preceduto da alcuna domanda di condanna nel merito, tanto meno nel grado di appello dove la creditrice opposta si era limitata a chiedere la conferma della pronuncia di prime cure. Di qui la tesi secondo cui la corte territoriale con il provvedimento di conferma del decreto ingiuntivo avrebbe accolto richieste di tutela estranee al titolo della domanda monitoria: nel caso di specie la tardività e l’infondatezza delle contestazioni dei vizi della merce.
Il primo ed il secondo motivo, esaminabili congiuntamente, sono in parte inammissibili in parte infondati.
Va innanzitutto stigmatizzata la non corrispondenza tra i vizi indicati nell’epigrafe di entrambi i motivi e il contenuto illustrativo degli stessi che si risolve, in entrambi i casi, in una denuncia di violazione dell’art. 112 cod.proc.civ.
Ciò non è sufficiente, tuttavia, per condannare all’inammissibilità il motivo, perché, in tema di ricorso per cassazione, l’erronea indicazione della norma processuale violata nella rubrica del motivo non determina “ex se” l’inammissibilità di questo se la Corte possa agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura, in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il
contenuto della censura (Cass. 3/08/2012, n. 14026 e successiva giurisprudenza conforme).
Né costituisce causa di inammissibilità la mancata riconduzione del vizio denunciato ad una delle categorie giuridiche di cui all’art. 360, 1° comma, cod.proc.civ., perché detta omissione può comportare l’inammissibilità della doglianza soltanto se gli argomenti addotti dal ricorrente non consentano di individuare le norme ed i principi di diritto asseritamente trasgrediti, così precludendo la delimitazione delle questioni sollevate (Cass. 7/11/2013, n. 25044; Cass. 20/09/2017, n. 21819).
L’inammissibilità dei motivi deriva, invece, per un verso, dal fatto che la ricorrente non ha con il suo sforzo confutativo messo a fuoco la ratio decidendi della impugnata sentenza che ha ritenuto facesse difetto l’interesse ad impugnare la pronuncia di primo grado per non aver revocato il decreto ingiuntivo e, accertato il suo debito, pronunciato condanna autonoma al pagamento per lo stesso importo e lo stesso titolo. Non basta a tal fine che la società ricorrente abbia assertivamente affermato, quindi, in totale violazione dell’art. 366, 1° comma, cod.proc.civ., che tra le pretese azionate nella fase monitoria e quella di merito vi fosse diversità di titolo ed oggetto.
Né è conducente l’insistenza con cui ripropone la tesi già disattesa dal giudice a quo quanto alla sussistenza di una ultrapetizione, anche a tal riguardo senza considerare le ragioni offerte dal quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ. (Cass. 24/09/2018, n. 22478).
Il credito della RAGIONE_SOCIALE, oggetto del decreto ingiuntivo, è stato ritenuto provato ed è stato, per contro, ritenuto indimostrato il credito cantato da RAGIONE_SOCIALE per vizi e difetti della merce.
Il che peraltro rende la censura formulata dalla ricorrente anche errata in iure , giacché <<l'opposizione a decreto ingiuntivo instaura un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice non deve limitarsi a esaminare se l'ingiunzione sia stata legittimamente emessa, ma deve procedere a una autonoma valutazione di tutti gli elementi offerti sia dal creditore per dimostrare la fondatezza della propria pretesa dedotta con il ricorso sia dall'opponente per contestarla e, a tal fine, non è necessario che la parte che ha chiesto l'ingiunzione formuli una specifica ed espressa domanda di pronuncia sul merito della pretesa creditoria, essendo sufficiente che resista all'opposizione e chieda conferma del decreto opposto (Cass. 28/05/2019, n. 14486; Cass.14/05/2020, n. 8954).
L'opposizione a decreto ingiuntivo introduce un procedimento ordinario a cognizione piena nel quale il giudice, anche se abbia accertato la mancanza delle condizioni richieste dagli artt. 633 e ss. cod.proc.civ., deve comunque pronunciare sul merito del diritto fatto valere dal creditore, tenuto conto degli elementi probatori esibiti nel corso del giudizio. (Cass. 28/05/2019, n. 14486).
In aggiunta, condanna all'inammissibilità il primo motivo il fatto che sia stata sollevata una questione, quella relativa all'indeterminatezza della condanna al pagamento degli interessi, che oltre a non essere supportata dal soddisfacimento delle prescrizioni di cui all'art. 366, 1° comma, n. 6, cod.proc.civ., non risulta dedotta nel giudizio di appello (il giudice a quo ha confermato la pronuncia del primo grado).
3) Con il terzo motivo si denunzia la violazione dell'art. 112 cod.proc.civ., perché la corte d'appello avrebbe accertato il credito della RAGIONE_SOCIALE in forza di una somma algebrica tra gli importi decurtati nelle note di addebito (145.511,12 euro) e il debito della RAGIONE_SOCIALE accollato dalla S.rRAGIONE_SOCIALE residuato dopo le compensazioni effettuate con i pagamenti mensili da parte della RAGIONE_SOCIALE (14.774,18 euro); detti importi sarebbero riferibili a fatti
introdotti con atti estranei al procedimento monitorio e che quindi non possono costituire titolo per la conferma del decreto, come lo stesso primo giudice aveva rilevato, rigettando l'istanza ex art. 186ter cod.proc.civ. di parte avversaria.
Il motivo è inammissibile: in via assorbente, per violazione delle prescrizioni di cui all'art. 366, 1° comma, n. 6 cod.proc.civ., anche declinate secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, COGNOME e altri c/ Italia, la quale, anche richiamando (al p.to 23 in motivazione) il protocollo concluso il 17 dicembre 2015 tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense e il Piano Nazionale di Recupero e di Resilienza adottato dal Governo nel 2021, mirante a rendere effettivo il principio della natura sintetica degli atti e quello della leale collaborazione tra il giudice e le parti (al p.to 24 in motivazione), ha affermato, in sintesi che, pur dovendo il principio di autonomia e autosufficienza del ricorso, rispondere ad un criterio di proporzionalità rispetto allo scopo, allo scopo di non trasformarlo in uno strumento per limitare il diritto di accesso ad un organo giudiziario (al p.to 81 in motivazione), esso (il principio di autosufficienza) può dirsi soddisfatto solo se la parte riproduce il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso e se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950 e successiva giurisprudenza conforme).
4) Con il quarto motivo si denunzia violazione degli artt. 1495, 2226, 1570 cod.civ.; 112, 113 e 116 cod.proc.civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione.
La ricorrente torna sulla denuncia dei vizi della merce, sottolineando l'inesigibilità, sia in termini di materiale possibilità giuridica, sia in termini di esecuzione del contratto secondo correttezza e buona fede da parte del somministrato, della dimostrazione della data di scoperta e denuncia dei vizi, per la totale incompatibilità di tale meccanismo con le ordinarie esigenze
del ciclo produttivo. Il giudice a quo non avrebbe dovuto limitarsi alla verifica della tempestività della contestazione dei vizi, ma avrebbe dovuto estendere la sua cognizione anche al riconoscimento dei medesimi come prescritto dall'art. 1495, 2° comma, cod.civ.; in special modo, sarebbe stata totalmente trascurata la costante ed ininterrotta acquiescenza rispetto ai pagamenti così come concretamente effettuati, debitamente rilevata nel primo scritto difensivo utile, giacché la RAGIONE_SOCIALE non solo aveva avanzato le proprie pretese solo ad un anno dalla conclusione del rapporto commerciale con la RAGIONE_SOCIALE ma versava in una situazione contabile che la costringeva alla ricapitalizzazione ovvero alla presentazione dell'l'istanza di fallimento in proprio (come rilevato dal giudice a quo , respingendo la richiesta di provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo).
In aggiunta, la corte di merito, affermando l'equivalenza tra lo schema della compravendita e quello della prestazione d'opera, ai fini dell'applicabilità del regime della contestazione dei vizi e dei rispettivi termini di decadenza, non avrebbe considerato che nella specie le prestazioni avevano carattere seriale, perciò ai fini della tempestività della denuncia avrebbero dovuto essere considerate nel caso concreto le contestazioni riportate nelle singole note di addebito. Di conseguenza, la corte d merito avrebbe errato ritenendola decaduta dall'onere di denuncia, per due ragioni: a) era stata dimostrata documentalmente la disapprovazione di una quota parte delle forniture; b) la RAGIONE_SOCIALE aveva accettato i pagamenti e gli storni applicati senza nulla obiettare nei cinque anni di durata del rapporto ed anzi, dando pure espressamente atto, o con proprie note di accredito nelle fasi iniziali del rapporto o con corrispondenza commerciale intercorsa, della viziosità di parte della propria produzione.
Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, la corte territoriale pur qualificando il rapporto intercorso tra le parti in causa come compravendita, ha aggiunto che anche se ad esso fosse stata attribuita una diversa qualificazione, la odierna ricorrente doveva considerarsi decaduta dalla denuncia dei vizi. Il che rende priva di interesse la censura mossa alla impugnata sentenza in punto di qualificazione del rapporto intercorso tra le parti.
Le altre censure sono inammissibili essenzialmente: i) perché i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 1°/07/2024, n. 1818); ii) perché comunque nel giudizio di cassazione è precluso l'accertamento dei fatti, pena la trasformazione del giudizio di legittimità in un terzo grado di merito.
5) Con il quinto motivo si denunzia l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione.
Attinta da censura è statuizione con cui il giudice d'appello ha dichiarato le contestazioni della merce 'prive di causale' oppure 'generiche ed apodittiche'. Per quanto concerne il primo aspetto (carenza di causale) il dato sarebbe documentalmente smentito. Per quanto concerne il secondo la corte territoriale avrebbe utilizzato un criterio di valutazione improprio, risultando chiaro il
tenore delle contestazioni e l'assunzione di impegno a porvi rimedio.
Il motivo è inammissibile.
Anzitutto e in via assorbente, per il limite di deducibilità del vizio di omesso esame di un fatto decisivo, in presenza di c.d. doppia conforme (art. 348ter cod.proc.civ. , commi 4 e 5, introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134): al fine di evitare tale conclusione, parte ricorrente avrebbe dovuto, confrontando le ragioni di fatto poste a fondamento della decisione di primo grado con quelle poste a base della sentenza di rigetto del gravame, dimostrarne la diversità; il che nel caso di specie non risulta avvenuto.
Né può farsi a meno di rilevare che la ricorrente omette di evidenziare un "fatto storico" e decisivo il cui esame sia stato omesso, poiché non può ricondursi, di per sé, alla nozione di "fatto storico" (principale o secondario) la valutazione degli elementi istruttori.
Con il sesto motivo la ricorrente denunzia violazione degli artt. 2710 cod.civ., 115 e 116 cod.proc.civ.
Sarebbe stata erroneamente disattesa la richiesta dell'ordine di esibizione ex art. 210 cod.proc.civ., perché sarebbe stato necessario il confronto tra le proprie scritture contabili e quelle della controparte contrattuale, allo scopo di accertare o che la RAGIONE_SOCIALE aveva omesso di iscrivere parte delle operazioni contrattuali, violando gli obblighi di cui agli artt. 2214, 2219 e 2220 cod.civ. <> oppure aveva provveduto regolarmente alla loro iscrizione, dimostrando documentalmente l’accettazione della contestazione dei vizi.
Il motivo è inammissibile.
Va innanzitutto chiarito che, al di là dell’etichetta con cui la ricorrente indica le ragioni cassatorie, complessivamente ed in ultima analisi ciò che ne sta alla base è la sollecitazione a una diversa valutazione di accertamenti che inequivocabilmente attengono a circostanze di fatto sottratte allo scrutinio di legittimità, quali i fatti sulla base dei quali ritenere dimostrato un credito.
Si può discutere del se sia logico il ragionamento seguito dal giudice di merito, tenendo comunque conto che non si può chiedere a questa Corte di stabilire se il giudice di merito abbia proposto effettivamente la migliore ricostruzione possibile dei fatti né di condividerne la giustificazione, ma solo di verificare se la giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Cass., Sez. Un., 21/03/2024, n. 7616).
Con il settimo motivo la ricorrente si duole della violazione degli artt. 91, 96 cod.proc.civ.
Avendo impostato la domanda sulla base di un fatto non vero, ossia il mancato pagamento delle fatture portate in sede monitoria, formulato un’azione ben diversa da quella monitoria, avendo interposto infondate eccezioni di decadenza, avendo fatto ostruzione in materia di prova, avendo omesso di partecipare alla discussione finale in grado di appello, ma avendo provveduto alla notificazione della sentenza il giorno immediatamente successivo a quello alla pubblicazione, essendo un soggetto privo di un’effettiva garanzia patrimoniale, con una contabilità totalmente virtuale, che non depositava bilanci dal 2014 e non ricapitalizza, che aveva iscritto a bilancio solo un credito, tutt’altro che certo, liquido ed esigibile, la RAGIONE_SOCIALE avrebbe abusato del diritto di azione; di qui, la richiesta di condanna ex art. 96, 3° comma, cod.proc.civ.
Il motivo è inammissibile.
Anche questo motivo è dedotto senza confrontarsi con la impugnata sentenza, limitandosi a riproporre tesi difensive già motivatamente disattese (Cass . 24/09/2018, n. 22478).
Alla inammissibilità e infondatezza dei motivi, consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della RAGIONE_SOCIALE controricorrente, seguono la soccombenza.
Considerato che la trattazione del ricorso è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 -bis , 2° comma, cod.proc.civ. a seguito di proposta di inammissibilità del Consigliere delegato, la Corte, avendo definito il giudizio sostanzialmente in conformità della proposta, applica l’art. 96, 3° e 4° comma, cod.proc.civ., come previsto dall’art. 380 -bis , ult. comma, cod.proc.civ.
Sulla scorta di quanto esposto, la ricorrente va altresì condannata al pagamento della somma di euro 6.200,00 (valutata equitativamente in relazione al valore della controversia) in favore del controricorrente ex art. 96, 3° comma, cod.proc.civ., nonché al pagamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende ex art. 96, 4° comma, cod.proc.civ.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; della somma di euro 6.000,00 ai sensi dell’art. 96, 3° comma, cod.proc.civ. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle Ammende, di euro 1.000,00, ai sensi dell’art. 96, 4° comma, cod.proc.civ.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il
versamento al competente ufficio di merito, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, in