Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 34242 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 34242 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 2681/2021 r.g. proposto da:
Avv. COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE COGNOME COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, come da procura in atti.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore pro tempore.
-intimato – avverso il decreto del Tribunale di Crotone in n. 1449/2020, depositato in data 16.12.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con il decreto impugnato il Tribunale di Crotone ha rigettato l’opposizione allo stato passivo presentata, ai sensi degli artt. 98 e 99 l. fall., dall’ Avv. NOME COGNOME nei confronti del RAGIONE_SOCIALE avverso il provvedimento del g.d., con il quale era stata respinta, a sua volta, la domanda di ammissione al passivo fallimentare, in relazione ad un credito per attività professionale pari ad euro 76.169,04 (del quale si reclamava l’ammissione in privilegio ex art. 2751 bis n. 2 c.c.), attività in relazione alla quale il professionista opponente aveva dedotto di aver prestato assistenza tecnica professionale per una transazione tra la società debitrice in bonis e la società RAGIONE_SOCIALE e di aver pattuito un compenso determinato in una quota fissa pari ad euro 10.000,00 e in una quota variabile, parametrata al valore degli immobili o ggetto di transazione (l’attività professionale avrebbe anche compreso la cancellazione della domanda giudiziale, che riguardava la causa civile pendente innanzi alla Corte di appello di Catanzaro).
Il Tribunale ha osservato e rilevato che: (i) dall’esame del mandato professionale rilasciato dalle due società al difensore si evinceva che l’attività concordata riguardava solo ed esclusivamente la transazione della controversia giudiziale tra le due società e gli eredi COGNOME; (ii) più in particolare al punto n. 8, lett. a, del predetto contratto di mandato, le parti avevano stabilito, quale compenso professionale per le attività demandate, un emolumento di euro 10.000,00, oltre oneri accessori, avendo peraltro precisato che la definizione transattiva della controversia dovesse avvenire entro il limite massimo disponibile pari ad euro 30.000; (iii) non era pertanto dato rintracciare contrattualmente la dedotta ulteriore quota variabile del compenso, di cui si era allegata la misura nel 3% del valore dei beni immobili in possesso alla società debitrice, in quanto la stessa era una pattuizione non confluita nel contratto di mandato inter partes e dunque come tale non opponibile alla curatela fallimentare; (iv) la quantificazione del compenso professionale, di cui si era chiesta l’ammissione al passivo fallimentare , si mostrava inoltre inverosimile rispetto al contenuto e all ‘ interpretazione
letterale del documento contrattuale, posto che le società mandanti non avrebbero avuto alcun interesse, sia economico che logico, a pattuire con il legale – incaricato per la conduzione delle trattative – un compenso pari ad oltre il doppio del tetto massimo individuato per la definizione bonaria della controversia, e cioè il valore di euro 30.000; (v) pur non essendo contestato che l’opponente avesse prestato assistenza professionale alla società RAGIONE_SOCIALE, per quanto concerneva invece la spettanza e l’entità del credito il professionista non aveva invece fornito alcuna prova sulla tipologia, effetti vità e sull’entità delle attività espletate per tutta la durata dell’incarico; (vi) anche la corrispondenza prodotta in atti (diffide a mezzo pec) nulla aveva dimostrato circa l’effettivo svolgimento delle singole attività professionali richiamate dall’opponente; (vii) l’unico documento nel quale, in realtà, si faceva riferimento al compenso parametrato al 3% del valore degli immobili era la missiva del consulente societario, dott. COGNOME il quale aveva dichiarato di aver tratto la sussistenza della voce di credito in parola proprio da quel contratto di mandato professionale del 29 novembre 2013 che, tuttavia, non aveva fatto alcun riferimento né espresso né implicito a compensi diversi dalla pattuita somma di euro 10.000; (viii) la documentazione acquisita in atti non era peraltro idonea ad essere opposta alla curatela fallimentare, quale soggetto terzo rispetto alle vicende che avevano interessato l’imprenditore in bonis , ai sensi dell’art. 2704 c.c. 2.Il decreto, pubblicato il 16.12.2020, è stato impugnato da ll’ Avv. NOME COGNOME con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE, intimato, non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e degli artt. 98 e 99 l. fall., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. e vizio di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. e ulteriore violazione dell’art. 112 c.p.c. e viola zione dei principi in materia di impugnazione con vizio ‘in procedendo’ , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p. c., sul rilievo che erroneamente
il Tribunale avrebbe ritenuto non sussistente l’obbligo , negozialmente pattuito, di corresponsione in suo favore anche della quota variabile del compenso nella misura del 3%.
1.1 Secondo il ricorrente, il Tribunale sarebbe incorso nel vizio di non corrispondenza tra chiesto e pronunciato, con inammissibile proposizione di ‘motivazioni sollevate d’ufficio e senza alcun contraddittorio tra le parti’, vizio come tale sussistente perché: (a) il Tribunale nell’escludere l’ esistenza del patto contrattuale sulla ‘dovutezza’ del compenso nella misura del 3% – non avrebbe considerato che la richiesta della parte aveva il supporto della scrittura contrattuale esibita in atti e prodotta in giudizio anche unitamente al ricorso ex art. 702 c.p.c. , circostanza quest’ultima che già di per sé avrebbe fornito prova certa della data anche al contratto di mandato, versato in atti; asserita basandosi su una inammissibile eccezione
(b) sempre il Tribunale avrebbe argomentato -quanto all ‘ impossibilità di tale pattuizione -sollevata d’ufficio, in difetto, peraltro, di qualsiasi prova presente in atti.
1.1 Il primo motivo è inammissibile.
1.1.1 In primo luogo, va rilevato che le doglianze così proposte dal ricorrente risultano intrinsecamente contraddittorie e comunque di difficile comprensione giuridica. Ed invero, il ricorrente prima preannuncia, in rubrica e nell ‘ epigrafe del motivo, una censura di violazione dell’ art. 112 c.p.c. e, poi, nel corpo del motivo si dilunga su altre questioni, con deduzioni non conferenti con la dedotta iniziale violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e che riguardano, in buona sostanza, la richiesta a questo giudice di legittimità di un diverso apprezzamento della prova documentale e la mancata acquisizione di prove nel corso del giudizio di opposizione allo stato passivo, prove di cui, tuttavia, neanche si chiarisce la utilità probatoria e la decisività.
1.1.2 Si evidenzia nel primo motivo, inoltre ed in modo manifestamente infondato, la violazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., senza tuttavia ricordare che la curatela era stata contumace nel giudizio di opposizione e dunque tale censura non risulta neanche astrattamente prospettabile.
1.1.3 Senza, poi, contare che le doglianze così proposte trascurano di censurare la ratio decidendi del provvedimento impugnato, e cioè che, sul punto ora in esame, era stata affermata da parte del Tribunale la implausibilità di un accordo (quello che prevedeva, cioè, la parte variabile del compenso) che riconosceva, con il parametro del 3% sul valore degli immobili, più del doppio del tetto con cui ‘ chiudere ‘, invece, a 30mila euro la transazione.
1.1.4 Per il resto le censure proposte dal ricorrente dimenticano anche che il Tribunale ben poteva rilevare la non opponibilità dei documenti alla curatela, ai sensi dell’art. 2704 cod. civ., anche d’ufficio (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4213 del 20/02/2013) e che rientra nel sindacato dei giudici di merito l’apprezzamento del contenuto negoziale del contratto, come tale non più sindacabile in questo giudizio di cassazione, per lo meno nei termini qui prospettati dalla parte ricorrente.
Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 112 c.p.c., nonché vizio di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., nonché violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.
2.1 Anche il secondo motivo non supera il vaglio di ammissibilità, posto che le censure, anche in questo caso, non considerano, sul punto qui da ultimo in discussione, quella che è logicamente la ratio decidendi principale del provvedimento impugnato, e cioè che la documentazione allegata non aveva data certa e dunque non era opponibile alla procedura, sicchè le ulteriori richieste di un nuovo apprezzamento dei documenti – peraltro già di per sè inammissibili, perché riguardanti, comunque, il merito della decisione rimessa invece all ‘ esclusiva cognizione dei giudici delle precedenti fasi di giudizio devono ritenersi inammissibili perché ‘ fuori fuoco ‘ rispetto alle predette ragioni decisorie.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 2704 cod. civ. e degli artt. 98 e 99 l. fall., nonché per vizio di ‘omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ‘ .
Il terzo ed ultimo motivo è invece inammissibile per difetto di specificità e di autosufficienza.
Invero, non è dato comprendere dalle allegazioni contenute nel ricorso introduttivo ove (e in quale momento processuale) la questione del deposito della documentazione nell’altro giudizio ( dichiarato precedente alla dichiarazione di fallimento) fosse stata dedotta nel giudizio di opposizione allo stato passivo, per gli apprezzamenti di cui all’art. 2704 cod. civ.
Ebbene, in mancanza di tale deduzione ed in assenza di accenni in tal senso nel provvedimento impugnato, la questione deve ritenersi pertanto anche nuova in questo giudizio di legittimità e come tale inammissibile per tale ulteriore ragione.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa del fallimento intimato.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 6.11.2024