Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5305 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5305 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31150/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonchè contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’INTERNO, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, AGENZIA DEL DEMANIO, COGNOME NOME
– intimati –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA, n. 2192/2020 depositata il 04/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La società RAGIONE_SOCIALE citava il Ministero delle Finanze, degli Interni, della Giustizia e la Presidenza del Consiglio dei Ministri per sentir riconoscere la sua piena ed esclusiva proprietà degli immobili oggetto di confisca . L’attrice deduceva che la società RAGIONE_SOCIALE con atto a rogito del notaio COGNOME del 6 marzo 1997 aveva acquistato dalla RAGIONE_SOCIALE le quote rappresentative del 99 per cento del suo capitale sociale costituito dagli immobili siti in Roma, INDIRIZZO villino C; INDIRIZZO interno INDIRIZZO; INDIRIZZO, stabile A interno 6; appartamento sito in Arzachena-Porto Cervo nel complesso ‘L a residenza sul porto ‘. A ll’atto della compravendita gli immobili e le quote sociali non risultavano gravati da alcun peso pregiudizievole scaturente dal procedimento penale che aveva interessato vari soggetti, tra i quali NOME COGNOME con riferimento alle vicende relative ai fondi riservati del Sisde, essendo stato dichiarato nullo il sequestro disposto in data 7 gennaio 1991 dalla procura della Repubblica di Roma. Di conseguenza, stante l’omessa trascrizione dei provvedimenti preventivi di natura penale nessun
vincolo sui beni derivanti dal procedimento penale era opponibile al terzo acquirente.
Con provvedimento del 23 giugno 2004 la Corte di Appello di Roma provvedeva a dare esecuzione alla confisca disposta con la sentenza del 30 marzo 1999 dalla stessa C orte d’appello sui beni immobili indicati e alla trascrizione del provvedimento di messa in esecuzione. La società proprietaria avuta notizia della confisca aveva proposto incidente di esecuzione dinanzi al giudice penale evidenziando di essere del tutto estranea a tale giudizio concluso con la sentenza della C orte d’appello di Roma con la quale era stata disposta la confisca poi impropriamente eseguita sugli immobili sopraindicati.
Le amministrazioni convenute eccepivano l’improponibilità della domanda dinanzi al giudice civile assumendo che la rivendicazione da parte del terzo del diritto di proprietà sul bene confiscato deve essere proposta dinanzi al giudice dell’esecuzione penale.
Il Tribunale di Roma dichiarava improponibile la domanda.
La società RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
Le amministrazioni appellate si costituivano chiedendo il rigetto del gravame.
La C orte d’appello di Roma rigettava l’appello e confermava la sentenza impugnata. In particolare, condivideva il principio espresso già in primo grado secondo cui l’opponibilità della confisca alla attrice doveva essere vagliata preventivamente in sede penale. La società attrice aveva dapprima dedotto che la società dante causa aveva acquistato da altra società le quote rappresentative
del 99 per cento del capitale e poi, nel successivo atto di citazione in rinnovazione, aveva chiesto di riconoscere che gli immobili oggetto di confisca fossero di sua piena ed esclusiva proprietà senza fornire alcuna spiegazione o chiarimento sul punto.
Già di per sé questo rendeva inaccoglibile la domanda con riferimento alla sua mancanza di legittimazione attiva.
Inoltre, dai documenti depositati non era dato evincere la sussistenza delle condizioni per ritenere che i beni oggetto di confisca appartenessero a terzi già prima del provvedimento di sequestro e che il soggetto sottoposto a procedimento penale non ne potesse disporre.
Agli atti risultava, infatti, prodotta la sentenza penale della C orte d’ Appello di Roma che aveva rideterminato le pene nei confronti degli imputati condannati e riguardo al provvedimento di confisca detta sentenza aveva provveduto solo relativamente ai beni immobili di proprietà di NOME COGNOME così come statuito dalla Suprema Corte. Inoltre, in detto provvedimento, nella parte relativa allo svolgimento del processo veniva dato atto che con la sentenza di primo grado il Tribunale penale aveva disposto la confisca delle somme e degli immobili in sequestro ad eccezione di alcuni beni analiticamente indicate nel relativo dispositivo e la sentenza del 13 aprile 96 rese in sede di impugnazione aveva revocato la confisca di sette immobili di cui sei della Sorrentino. Era dunque onere dell’attrice fornire la prova del suo diritto di proprietà sugli immobili rivendicati in epoca precedente al provvedimento di sequestro non allegato e che il COGNOME non ne avesse la disponibilità diretta o indiretta.
La società non solo non aveva depositato il provvedimento di sequestro per consentire alla Corte d’Appello di valutare la preesistenza della proprietà degli stessi ma non aveva dimostrato in alcun modo che il COGNOME non ne aveva la disponibilità.
Al contrario dal capo di imputazione riportato nella sentenza per il quale gli imputati erano stati tutti condannati si evinceva che i predetti, compreso il COGNOME, si erano appropriati di ingenti somme di denaro utilizzato per acquistare numerosi immobili, tra i quali quelli di causa. N on era quindi dimostrato che l’attrice , che peraltro con l’atto di cessione delle quote aveva mantenuto solo l’ un per cento del suo capitale sociale, fosse proprietaria di detti beni da epoca precedente al sequestro e che la stessa potesse ritenersi terza di buona fede, trattandosi di società che da quanto emergeva dalle ricostruzione dei fatti contenuta nel provvedimento penale era riferibile all’imputato COGNOME mentre gli immobili risultavano essere stati acquistati con i proventi dei reati per i quali il predetto era stato condannato con sentenza irrevocabile.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.
Il M inistero dell’economia , l’ Agenzia del demanio, la Presidenza del Consiglio, il Ministero dell’Interno , il Ministero della Giustizia hanno resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 832, 948, c.c. in relazione agli articoli 2643, 2644 2659 c.c. ed all’art . 8 c.p.c. e 665 c.p.p. competenza del giudice civile a conoscere della controversia.
Secondo parte ricorrente sussisterebbero le due condizioni che, oltre a legittimare il ricorrente alla domanda di rivendica della proprietà quale terzo in buona fede, radicherebbero la competenza del giudice civile. Le due condizioni sarebbero: la preesistenza della trascrizione del diritto rivendicato sugli immobili successivamente gravati della trascrizione del peso pregiudizievole e la circostanza della rivendicazione di un bene del quale il soggetto sottoposto al procedimento penale non poteva disporre.
Parte ricorrente evidenzia l’erronea statuizione circa la legittimazione attiva e di aver provato la preesistenza del diritto di proprietà sui beni.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione degli artt. 832 e 948 c.c. in relazione agli articoli 2643, 2644 c.c. all’articolo 100 c.p.c. inidoneità del titolo ed interesse ad agire.
Si lamenta l’erronea valutazione della C orte d’appello circa il motivo di doglianza attinente all’estraneità della statuizione contenuta nel titolo rispetto al diritto soggettivo leso con l’illegittima trascrizione . Infatti, la trascrizione riguarderebbe beni del tutto estranei alla statuizione della sentenza oggetto della medesima trascrizione. In sostanza si afferma l’inidoneità del titolo alla trascrizione e l’illegittimità della nota di trascrizione non opponibile ai proprietari dei beni non indicati in seno alla sentenza trascritta.
Secondo la ricorrente mancherebbe il titolo costituito dalla sentenza penale di condanna che ha statuito solo sui diritti patrimoniali di NOME COGNOME. Sarebbe stato trascritto solo il
provvedimento di messa in esecuzione e dunque la trascrizione sarebbe illegittima e non opponibile ai terzi
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione dell’articolo 2659 c.c. nullità della nota di trascrizione.
Parte ricorrente lamenta le evidenti irregolarità della nota di trascrizione e la non corrispondenza del quadro a. Non vi sarebbe pertanto corrispondenza nella descrizione del titolo, della data di riferimento al numero di repertorio riferito all’atto giudiziario e neanche l’indicazione della terza sezione penale della corte d’appello anziché la prima che emise la sentenza. Pertanto, ai sensi dell’articolo 2659 c.c. , mancherebbero i presupposti essendo incerta la persona del bene rapporto giuridico a cui si riferisce l’atto .
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 c.c. in relazione agli articoli 2659, 2643 2144 c.c. danno conseguente all’illegittima trascrizione.
In caso di accoglimento dei primi tre motivi dovrebbe rivalutarsi in sede di rinvio il risarcimento del danno
4.1 I primi tre motivi di ricorso sono inammissibili.
Preliminarmente deve ribadirsi che: In caso di procedimento di sequestro e confisca ex l. n. 575 del 1965 ratione temporis vigente, il terzo che assume di essere proprietario del bene per averlo usucapito o acquistato anteriormente alla confisca o al sequestro, può adire il giudice civile per l’accertamento del proprio diritto, solo dopo essersi preliminarmente rivolto al giudice penale della prevenzione o dell’esecuzione, nelle forme ivi consentite, al fine di dimostrare la propria buona fede e ottenere la revoca del provvedimento di confisca (Sez. 2, Ordinanza n. 17813 del 27/06/2024, Rv. 671714 – 01).
Peraltro, nella sentenza impugnata si legge che la ricorrente ha proposto incidente di esecuzione dinanzi al giudice penale e che tale giudizio, al momento della sentenza impugnata, era ancora pendente.
Quanto detto già è sufficiente per affermare l’inammissibilità dei motivi in esame. In ogni caso i suddetti motivi sono inammissibili anche per altra concomitante ragione, in quanto non si confrontano con l ‘ulteriore ratio decidendi della sentenza impugnata che ha evidenziato oltre alla mancanza della prova dell’acquisto dei beni in data antecedente il sequestro la totale mancanza del presupposto della buona fede, trattandosi di società che da quanto emergeva dalla ricostruzione dei fatti contenuta nei provvedimenti penali presupposti e allegati era riferibile all’imputato NOME COGNOME Allo stesso modo dalla sentenza penale emergeva che gli immobili erano stati acquistati con i proventi dei reati per i quali il predetto COGNOME era stato condannato con sentenza irrevocabile.
Tale ratio decidendi che è idonea di per sé a sorreggere la decisione impugnata non viene attinta dal ricorso della Società RAGIONE_SOCIALE che pertanto risulta anche sotto questo profilo inammissibile.
4.2 Il quarto motivo di ricorso è inammissibile in quanto logicamente subordinato all’accoglimento di uno dei primi tre.
Il ricorso è inammissibile.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 14000, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione