Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9329 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9329 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/04/2024
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 22902/20 proposto da:
-) RAGIONE_SOCIALE , in persona del rappresentante speciale pro tempore , domiciliato ex lege all ‘ indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’avvocato NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
-) NOME , domiciliato ex lege all ‘ indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’avvocato NOME COGNOME ed NOME COGNOME;
contro
ricorrente –
nonché
-) COGNOME NOME ;
– intimato – avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia 27 luglio 2020 n. 1927; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 marzo 2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Nel 2014 NOME COGNOME convenne dinanzi al Tribunale di Padova la società RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, esponendo che:
-) nel 1999 stipulò un contratto di assicurazione sulla vita con la società RAGIONE_SOCIALE (il cui portafoglio, in seguito a successive fusioni ed incorporazioni, pervenne alla RAGIONE_SOCIALE), per il tramite dell ‘ agente NOME COGNOME;
Oggetto: assicurazione – infedeltà dell ‘ intermediario -opponibilità all ‘ assicuratore -prova della distrazione di somme – opponibilità all ‘ assicuratore – presupposti.
-) dopo avere versato un premio iniziale di euro 200.000 oltre accessori, nel corso degli anni tra il 1999 ed il 2004 effettuò reiterati versamenti di premi aggiuntivi intesi ad incrementare il capitale assicurato, fino a raggiungere l ‘ importo complessivo di euro 551.327,35;
-) nel 2013 esercitò il diritto di riscatto (deve presumersi, ex art. 1925 c.c.) chiedendo la restituzione del capitale via via versato, ma la compagnia negò di avere ricevuto premi aggiuntivi oltre il primo.
L ‘ attore concluse pertanto chiedendo:
la condanna della compagnia alla restituzione del capitale il cui versamento non era in contestazione;
la condanna di NOME COGNOME e della compagnia, in solido, al risarcimento del danno consistito nella perdita dei premi aggiuntivi, versati a NOME COGNOME e da questi distratti. Tale domanda veniva formulata ai sensi dell ‘ art. 2043 c.c. nei confronti dell ‘ intermediario assicurativo; ed ai sensi dell ‘ art. 2049 c.c. nei confronti della compagnia preponente.
2. La RAGIONE_SOCIALE si costituì eccependo:
-) che i documenti depositati dall ‘ attore, a riprova degli avvenuti versamenti, erano falsi;
-) che in ogni caso quei documenti, sottoscritti dall ‘ intermediario, erano inopponibili alla compagnia;
-) che, ancora, quei documenti erano delle mere ‘proposte’ contrattuali, e non delle quietanze di pagamento;
-) che NOME COGNOME non aveva il potere di rappresentare la compagnia;
-) che l ‘ emissione dei documenti contrattuali non poteva che avvenire nella sede della compagnia, non nella sede dell ‘ intermediario.
Con sentenza 13.2.2017 n. 395 il Tribunale di Padova rigettò la domanda di risarcimento del danno.
Ritenne il Tribunale che:
-) i documenti depositati dall ‘ attore non dimostravano l ‘ avvenuto pagamento dei premi aggiuntivi, poiché essi contenevano mere proposte;
-) in ogni caso la proposta di incremento del capitale assicurato sarebbe divenuta vincolante solo per effetto dell ‘ emissione da parte dell ‘ assicuratore di un apposito documento, emissione mai avvenuta;
-) l ‘ attore non aveva redditi tali da giustificare così cospicui pagamenti in contanti all ‘ intermediario;
-) la RAGIONE_SOCIALE aveva provato, depositando il relativo contratto, che NOME COGNOME era solo un procacciatore d ‘ affari, privo del potere di rappresentare la compagnia.
La sentenza fu appellata da NOME COGNOME.
Con sentenza 27.7.2020 n. 1927 la Corte d ‘ appello di Venezia accolse il gravame e condannò la RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore di NOME COGNOME della somma di euro 448.035,98, oltre accessori.
La Corte d
‘
appello ritenne che:
-) i documenti depositati dall ‘ attore costituivano delle quietanze , e non delle proposte di modifiche contrattuali;
-) la mancata emissione, da parte dell ‘ assicuratore, dei documenti contrattuali attestanti l ‘ avvenuto incremento del capitale assicurato non impediva di ritenere dimostrato l ‘ avvenuto pagamento dei premi, perché quei documenti ‘ attenevano solo all ‘ ambito contrattuale, ed erano necessari perché il versamento venisse contrattualmente computato nel capitale di polizza’ ;
-) i documenti depositati dall ‘ attore, sottoscritti da NOME COGNOME, costituivano una confessione resa da quest ‘ ultimo dell ‘ avvenuto incasso;
-) la suddetta confessione di NOME COGNOME, pur non essendo in quanto tale opponibile alla compagnia, costituiva comunque nei confronti di quest ‘ultima ‘ valida prova di carattere indiziario dell ‘ avvenuto pagamento, in considerazione delle argomentazioni (…) ricavabili dal tenore letterale di quanto indicato nel modulo predisposto ‘ dall ‘ assicuratore;
-) essendo dunque dimostrato l ‘ avvenuto pagamento dei premi nelle mani di NOME COGNOME, la compagnia doveva rispondere ex art. 2049 c.c., a titolo oggettivo, del fatto illecito (distrazione) da quegli commesso;
-) il concorso colposo della vittima – invocato dalla RAGIONE_SOCIALE – doveva escludersi: questo infatti può dirsi sussistente soltanto se la vittima avesse potuto ‘ chiaramente percepire’ che l ‘ intermediario stava incassando del denaro abusando dei suoi poteri;
-) tale ipotesi non ricorreva nel caso di specie, poiché NOME COGNOME eseguì i vari pagamenti integrativi del capitale ‘ nei locali della compagnia assicurativa’ ; nelle mani di persona qualificatasi ‘agente generale’ , ed avvalendosi di modulistica formalmente riconducibile alla compagnia;
-) che l ‘ attore non avesse un reddito tale da consentirgli così cospicui investimenti in contanti era ‘circostanza irrilevante’, dal momento che il denaro versato a NOME COGNOME ‘ ben poteva derivare da altre e diverse fonti’ .
La sentenza d ‘ appello è stata impugnata per Cassazione dalla RAGIONE_SOCIALE con ricorso fondato su quattro motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Ambo le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio ha disposto il deposito della motivazione nel termine di cui all ‘ art. 380 bis, secondo comma, c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Il primo motivo di ricorso prospetta (formalmente) la violazione degli artt. 2697, 2702, 2719 c.c.; nonché degli artt. 115 e 214 c.p.c..
Nell ‘ illustrazione (pp. 7-14 del ricorso) sono contenute plurime censure così riassumibili:
ha errato la Corte d ‘ appello nel ritenere che i documenti prodotti dall ‘attore fossero ‘quietanze’; essi erano infatti solo delle proposte contrattuali;
ha errato la Corte d ‘ appello nel ritenere quei documenti opponibili alla RAGIONE_SOCIALE; essi, infatti, erano stati disconosciuti e contestati;
ha errato la Corte d ‘ appello nel ritenere che la confessione stragiudiziale resa da NOME COGNOME ( scilicet , le false quietanze da questi rilasciate al contraente) potesse costituir e un ‘indizio’ sufficiente nei confronti della RAGIONE_SOCIALE: sia perché la Corte d ‘ appello ha trascurato di considerare il livello dei redditi della vittima, insufficienti a spiegare così cospicui e frequenti versamenti in contanti (p. 12); sia perché mancavano ‘ altri elementi di prova’ (p. 14 del ricorso).
1.2. La censura sub (a) è inammissibile, perché nella sostanza si riduce a ciò: che il giudice d ‘ appello avrebbe male interpretato e qualificato un atto giuridico unilaterale.
Ma, quanto al preteso errore di interpretazione, va ricordato che l ‘ interpretazione dei negozi giuridici è questione di fatto riservata al giudice di merito, sindacabile in questa sede se sono violate le regole legali di ermeneutica: violazione che la società ricorrente nemmeno ha prospettato.
Quanto al preteso errore di qualificazione, esso è solo enunciato (p. 10, § I.4), ma è privo di illustrazione e perciò inammissibile ex art. 366, n. 4, c.p.c..
1.3. La censura sub (b) è infondata, per più ragioni.
In primo luogo, è inammissibile perché il disconoscimento della scrittura privata (art. 214 c.p.c.) priva di efficacia probatoria non qualsiasi documento, ma solo il documento scritto o sottoscritto dalla parte contro cui è prodotto. Quel che si ha l ‘ onere di disconoscere, a pena di inoppugnabilità, è il documento proprio, non il documento altrui.
Se, dunque, una delle parti produce in giudizio un documento sottoscritto da terzi, l ‘ unica questione di cui si può discorrere rispetto a quel documento è se esso sia o non sia una prova attendibile, ma non se sia stato validamente disconosciuto. Il documento proveniente da un terzo, in quanto non rientrante nella previsione di cui all ‘ art. 214 c.p.c., è utilizzabile anche se ‘disconosciuto’ dalla parte contro cui è prodotto; per la stessa ragione può essere dal giudice ritenuto inattendibile anche se non se ne sia contestata l ‘ autenticità.
Dunque nel caso di specie la circostanza che la RAGIONE_SOCIALE avesse ‘disconosciuto’ le false quietanze rilasciate da NOME COGNOME non impediva al giudicante di esaminare quei documenti, vagliarli, ed utilizzarli ai fini del decidere.
Va da sé, infine, che lo stabilire se davvero quei documenti fossero attendibili o meno è questione di fatto, riservata al giudice di merito ed insindacabile in questa sede.
1.4. La censura sub (c) resta assorbita dall ‘ accoglimento, per quanto si dirà, del terzo motivo di ricorso.
2. Il secondo motivo di ricorso.
Col secondo motivo la società ricorrente prospetta il vizio di omesso esame di un fatto decisivo.
Nella sua illustrazione, tuttavia, sono contenute due censure.
2.1. Con una prima censura la ricorrente sostiene che la Corte d ‘ appello avrebbe trascurato di esaminare il fatto decisivo rappresentato dalla comprovata circostanza che NOME COGNOME, nel periodo in cui assume di avere effettuato ripetuti versamenti nelle mani dell ‘ intermediario assicurativo, non disponeva di redditi tali da consentirgli investimenti per mezzo milione di euro.
Deduce la ricorrente che in primo grado, su espresso ordine del giudice, NOME COGNOME aveva dimostrato l ‘ ammontare dei redditi percepiti soltanto in alcuni degli anni nei quali si protrasse il rapporto con l ‘ intermediario assicurativo e questi redditi non superavano i 60.000 euro annui, a fronte di investimenti per 400.000 euro in 5 anni.
2.2. Con una seconda censura (p. 18, quarto capoverso), la società ricorrente deduce che la motivazione della sentenza impugnata su questo specifico punto sarebbe solo apparente, dal momento che la Corte territoriale si è limitata a sostenere che il denaro impiegato da COGNOME
NOME per i propri investimenti ‘ ben avrebbe potuto derivare da altre diverse fonti ‘ .
2.3. Nella parte in cui prospetta il vizio di omesso esame di un fatto decisivo il motivo è infondato: la circostanza della sufficienza o meno dei redditi di NOME, rispetto agli investimenti compiuti, è stata infatti presa in esame dalla Corte d ‘ appello a pagina 18, secondo capoverso, della sentenza impugnata.
2.4. Nella parte restante il motivo è fondato.
NOME COGNOME nel primo grado di giudizio:
non produsse tutte le dichiarazioni dei redditi, ma solo tre;
in queste tre dichiarazioni dei redditi risultavano per un anno un reddito di euro 30.000; per altri due anni un reddito di euro 60.000;
nel rendere l ‘ interrogatorio formale, NOME COGNOME in primo grado dichiarò di ‘ non ricordare’ l ‘ importo dei propri redditi.
A fronte di questo contesto, la Corte d ‘ appello era certamente libera di ritenere irrilevante lo iato tra redditi dimostrati e investimenti compiuti, ma non avrebbe potuto esimersi dallo spiegare perché sia plausibile che una persona non ricordi i propri redditi; quali possano essere le ‘fonti’ da cui trarre denaro contante, al di fuori del reddito; come potesse giustificarsi l ‘ esistenza di tali fonti in un caso in cui il risparmiatore non aveva provato ad esempio – né disinvestimenti immobiliari, né disinvestimento di risparmi, né acquisto di eredità.
La sentenza impugnata, tuttavia, pur avendo accertato in facto l ‘ insufficienza dei redditi dell ‘ attore rispetto al volume di investimenti effettuati, né disponendo di elementi indiziari o probatori circa la provenienza delle somme investite dall ‘ attore, ha rigettato l ‘ eccezione (che può qualificarsi di) simulazione del versamento dei premi sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE, affermando che quei premi ‘ avrebbero potuto’ derivare da introiti diversi dal reddito lavorativo.
Il che costituisce una motivazione apparente: motivare infatti significa spiegare, non affermare e tanto meno formulare non argomentate ipotesi:
pertanto, non può ritenersi una spiegazione il negare rilievo a fatti accertati, per attribuirlo ad una indimostrata ipotetica possibilità.
Dire infatti che un reddito ‘ ben avrebbe potuto’ avere una fonte diversa dal lavoro significa esprimere una mera possibilità, non una probabilità. Ma in giudizio possono essere considerate ‘prove’ gli atti o i fatti che dimostrano la probabilità d ‘ un altro o atto o fatto, non quelle che dimostrano la mera possibilità di esso.
La motivazione dunque è effettivamente ‘apparente’, là dove ha rigettato l ‘ eccezione sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE ritenendola solo ‘possibilmente infondata’ , invece che ‘probabilmente infondata’.
3. Il terzo motivo di ricorso.
Col terzo motivo la società ricorrente censura la sentenza d ‘ appello nella parte in cui ha ritenuto dimostrato l ‘ avvenuto versamento, da parte di NOME COGNOME, di circa 400.000 euro in contanti, a più riprese, nelle mani di NOME COGNOME.
Deduce che i documenti al riguardo dall ‘ attore non dimostravano affatto la consegna di denaro; che in ogni caso mancavano anche solo gli indizi di tale pagamento; che per contro vi erano indizi gravi, precisi e concordanti della inverosimiglianza di tali versamenti; che trascurando gli uni e gli altri la Corte d ‘ appello aveva non solo travisato le prove raccolte, ma anche violato le regole sulla valutazione degli indizi, di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c..
3.1. Il motivo è fondato.
La Corte d ‘ appello, dopo avere premesso che le quietanze sottoscritte da NOME COGNOME costituivano una confessione vincolante solo il confitente, ma inopponibile all ‘ assicuratore, ha aggiunto che la confessione stragiudiziale di NOME COGNOME dimostrava in via indiziaria l ‘ avvenuto pagamento in considerazione ‘ del tenore letterale ‘ dei moduli sottoscritti da NOME COGNOME.
In pratica, la sentenza impugnata ha ritenuto che la confessione dell ‘ intermediario, di per sé inopponibile all ‘ assicuratore, dimostrava il
pagamento se valutata in una ‘col tenore letterale’ del documento che la conteneva.
3.2. Questa affermazione contrasta col diritto e con la logica formale.
3.2.1. In primo luogo, sul piano della logica formale, la suddetta affermazione è tautologica e, quindi, insuscettibile di spiegare un ragionamento deduttivo.
Sul piano probatorio, infatti, una confessione scritta è un atto negoziale unilaterale che in nulla si distingue dal documento in cui è incorporata. La confessione è il documento e il documento è la confessione.
Dire pertanto che quella dichiarazione da sola non è che un indizio, ma diventa prova se valutata alla luce ‘ del suo tenore letterale’ significa affermare né più né meno che uno scritto di per sé insignificante diventa prova se valutato alla luce di se stesso. Una affermazione, dunque, non condivisibile, in quanto equivale a dire che nelle spiegazioni inferenziali l ‘ explanans coincide con l ‘ explanandum .
3.2.2. In secondo luogo, sul piano del diritto, l ‘ affermazione della sentenza impugnata sopra trascritta è erronea, poiché la prova indiziaria richiede la molteplicità di indizi e la Corte d ‘ appello ne ha individuato uno solo (la confessione), a tanto riducendosi il documento contenente la confessione ed il suo stesso contenuto.
4. Il quarto motivo di ricorso.
Il quarto motivo è formulato in via subordinata rispetto al rigetto dei precedenti : pertanto, l’accoglimento di almeno uno di questi ne comporta l’ assorbimento.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
P.q.m.
(-) Rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo (nei limiti sopra indicati) ed il terzo motivo di ricorso; dichiara assorbito il quarto;
(-) cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d ‘ appello di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile