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Opere su suolo altrui: la Cassazione sulla demolizione

Una società edile costruiva su un terreno basandosi su un contratto preliminare, pur essendo a conoscenza di una disputa sulla proprietà dello stesso. Una volta accertati giudizialmente i legittimi proprietari, questi hanno chiesto la demolizione. La Corte di Cassazione ha confermato l’ordine di rimozione delle opere su suolo altrui, negando la buona fede della società costruttrice in quanto consapevole del contenzioso esistente.

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Opere su Suolo Altrui: La Consapevolezza del Rischio Esclude la Buona Fede e Impone la Demolizione

L’edificazione di opere su suolo altrui è una questione complessa, disciplinata dall’articolo 936 del Codice Civile, che bilancia gli interessi del proprietario del terreno e del costruttore. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali su un aspetto fondamentale: la buona fede del costruttore. La Corte ha stabilito che chi costruisce pur essendo a conoscenza di una contestazione sulla titolarità del terreno non può invocare la buona fede e, di conseguenza, il proprietario ha pieno diritto di chiedere la demolizione delle opere. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa: Edificare su un Terreno Conteso

Il caso ha origine da un’azione legale intentata da un gruppo di comproprietari di un terreno. Essi, dopo aver ottenuto una sentenza passata in giudicato che ne accertava la proprietà, hanno citato in giudizio una società edile chiedendo la condanna alla rimozione di tutte le opere che questa aveva edificato sul loro fondo.

La società si difendeva sostenendo di aver agito in virtù di un contratto preliminare di permuta stipulato con un altro soggetto, il quale si era presentato come legittimo proprietario. Tuttavia, un dettaglio si è rivelato decisivo: al momento della stipula del contratto, la società era pienamente consapevole dell’esistenza di una vertenza giudiziaria tra il promittente venditore e i suoi congiunti proprio riguardo alla titolarità di quel terreno. Nonostante ciò, aveva proceduto con le edificazioni.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno dato ragione ai proprietari, ordinando la demolizione delle opere edificate.

L’analisi della Cassazione e le opere su suolo altrui

La società edile ha quindi proposto ricorso in Cassazione, basandolo su cinque distinti motivi, tutti respinti dalla Suprema Corte. I punti centrali del ricorso riguardavano la presunta buona fede della società, la decorrenza del termine per chiedere la demolizione e questioni procedurali sulla litispendenza.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso con una motivazione chiara e precisa, affrontando punto per punto le doglianze della ricorrente.

1. Sulla Litispendenza: La Corte ha chiarito che una declaratoria di litispendenza, anche se emessa con ordinanza, diventa irrevocabile se non impugnata con lo strumento specifico del regolamento di competenza. Le questioni procedurali sollevate erano quindi infondate.

2. Sulla Buona Fede (Art. 936 c.c.): Questo è il cuore della decisione. La società sosteneva di aver agito in buona fede. La Cassazione ha smontato questa tesi, sottolineando come la società fosse ben consapevole della contestata titolarità del fondo al momento della firma del contratto preliminare. Tale consapevolezza era provata sia dal contenuto del contratto stesso, che menzionava la vertenza, sia dalla trascrizione della causa prima della stipula. Di conseguenza, mancavano totalmente i presupposti per invocare la buona fede, che richiede l’ignoranza di ledere l’altrui diritto.

3. Sulla Volontà di Ritenere le Opere: La società lamentava che la Corte d’Appello avesse erroneamente giudicato tardiva la sua deduzione secondo cui i proprietari avrebbero manifestato la volontà di tenere le opere. La Cassazione ha dichiarato il motivo inammissibile per difetto di specificità, in quanto la ricorrente non aveva indicato quali concrete condotte dei proprietari avrebbero dimostrato tale volontà.

4. Sulla Decorrenza del Termine di Decadenza: La ricorrente sosteneva che il termine di sei mesi per chiedere la demolizione dovesse decorrere da quando i proprietari erano venuti a conoscenza delle opere, e non dal passaggio in giudicato della sentenza che li riconosceva proprietari. La Corte ha ritenuto corretto il ragionamento dei giudici di merito: prima della statuizione che li affermasse proprietari, i resistenti non avevano il titolo giuridico per manifestare la richiesta di rimozione. Il diritto di chiedere la demolizione sorge solo con il consolidamento del diritto di proprietà.

5. Sulle Spese di Lite: Infine, la Corte ha respinto la censura relativa alla gestione delle spese, affermando che la valutazione della soccombenza va fatta considerando l’esito globale della lite e non i singoli esiti di fasi cautelari o procedimenti intermedi.

Le Conclusioni

La pronuncia della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di opere su suolo altrui: la tutela accordata al costruttore in buona fede non si applica a chi edifica con la consapevolezza di un rischio giuridico concreto. La conoscenza di una disputa sulla proprietà del terreno equivale a una piena assunzione del rischio che l’operazione immobiliare possa essere travolta da una successiva sentenza. In tali circostanze, il costruttore non può sperare di beneficiare delle norme che proteggono chi, senza colpa, costruisce su un fondo che scopre solo in seguito essere di altri. La decisione finale è quindi netta: in assenza di buona fede, il diritto del proprietario del suolo prevale e la demolizione delle opere è la legittima conseguenza.

Può un’impresa costruttrice che edifica su un terreno, sapendo che la proprietà è contestata, essere considerata in ‘buona fede’?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la conoscenza documentata della contestazione sulla titolarità del fondo al momento della costruzione esclude categoricamente la buona fede del costruttore, rendendolo pienamente consapevole del rischio che stava assumendo.

Da quale momento decorre il termine di sei mesi per il proprietario per chiedere la rimozione delle opere costruite da un terzo sul suo suolo?
Il termine di decadenza di sei mesi, previsto dall’art. 936 c.c., decorre dal passaggio in giudicato della sentenza che accerta definitivamente il diritto di proprietà, e non dalla semplice conoscenza della costruzione. Solo da quel momento, infatti, il proprietario ha il titolo giuridico per poter validamente esercitare il suo diritto alla rimozione.

Una decisione sulla litispendenza emessa con ordinanza, invece che con sentenza, è meno vincolante?
No. La Corte ha specificato che una declaratoria di litispendenza, a prescindere dalla sua forma (ordinanza o sentenza), se non viene impugnata con lo strumento specifico previsto dalla legge, ossia il regolamento di competenza, diventa irrevocabile e non può essere più messa in discussione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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